EDITORIALE Le «ricevute» di Reviglio IL MINISTRO DELLE FINANZE, FRANCO Reviglio, gode in questo momento-con l'eccezione dei duecentomila osti e albergatori e dei loro famigliari -, indiscutibilmente, di un momento di popolarità. La ragione è semplice. Senza cadere nella facile demagogia di coloro che affermano che i lavoratori dipendenti pagano tutte le tasse dovute (quanti di loro hanno un secondo lavoro? quante piccole aziende pagano gli straordinari o integrazioni salariali «fuori busta»?), è vero che, mentre i salariati e gli stipendiati pagano gran parte dell'imposta sul reddito di loro competenza, i lavoratori autonomi evadono, in larghissima misura, la loro. La popolarità del ministro è legata al suo lodevole proposito di eliminare questa disparità, di far pagare a tutti i percettori di reddito, provenga questo da lavoro dipendente o da lavoro autonomo, l'imposta da loro dovuta. Ma che il proposito sia lodevole non può esimerci dallo svolgere alcune considerazioni, che attengono sia agli strumenti che il ministro ha già deciso di mettere in opera (come la ricevuta fiscale per i ristoranti e gli alberghi) o che propone di adottare in futuro; sia, più in generale, alla «filosofia fiscale» che traspare non solo dall'atteggiamento di Reviglio. ma soprattutto dai commenti di buona parte dei suoi sostenitori sulla stampa. V'è da dire anzitutto che la disparità nella posizione fiscale tra lavoratori dipendenti e autonomi non dipende dalla buona volontà degli uni e dalla cattiva degli altri.. Il lavoratore dipendente, almeno per le imposte che gravano sul suo salario o stipendio, si vede operare, direttamente dal datore di lavoro. la trattenuta d'imposta. Poiché invece l'imposta sui redditi del lavoratore autonomo si basa, in prima istanza, sulla sua spontanea dichiarazione, un margine di evasione esiste sempre ed esisterà comunque (ed esiste anche nei Paesi fiscalmente più civili ed evoluti). Per combattere l'evasione fiscale sui redditi da lavoro autonomo il sistema più antico e che per primo viene alla mente è quello del controllo sulle dichiarazioni: gli uffici delle imposte «accertano» redditi maggiori dei dichiarati, possono condurre, anche tramite la guardia di finanza, indagini, possono verificare la regolarità dei libri contabili obbligatori presso le sedi di lavoro (negozi, uffici, ecc.) dei lavoratori autonomi. Negli ultimi anni ha avuto voga l'idea del 2 controllo operato su un campione di certe categorie, scelto per sorteggio. Il sistema del controllo è tuttavia palesemente insufficiente, sia perché un controllo capillare implicherebbe un esercito sterminato di controllori, col rischio che, in molti casi, la spesa occorrente per acquisire al fisco l'imposta evasa potrebbe essere superiore all'effettivo ricavo; sia perché, come tutti sanno, i controllori sono , in parte, corruttibili, e tanto più lo sono quanto più l'evasione di imposta risulta rilevante. Al sistema dei controlli si è quindi cercato di affiancare, sempre più, un sistema di meccanismi automatici che, col creare un'opposizione di interessi tra i diversi operatori sul mercato, consenta al fisco di raccogliere induttivamente tutta una serie di informazioni da cui ricavare valori di reddito quanto più possibile vicini alla verità per ogni singolo operatore. li più noto di questi meccanismi è quello dell'IVA (imposta sul valore aggiunto), la cui introduzione anche in Italia, infatti, nonostante le cifre imponenti di evasione denunciate in questi giorni anche dal ministro Reviglio, ha sensibilmente modificato il quadro della fiscalità in Italia. Poiché le aziende e gli imprenditori individuali pagano l'imposta sul reddito netto della loro attività, essi avrebbero, teoricamente, tutto l'interesse ad avere tutti i propri costi fatturati regolarmente, perché la parte dei costi non fatturata non potrebbe essere inserita in bilancio: onde aumenterebbe l'attivo netto e l'imposta relativa. Ma dal momento che ogni fattura da iscrivere in passivo è contemporaneamente una fattura che un altro soggetto iscrive in attivo, la quota di attività «in nero», sottratta al controllo del fisco, dovrebbe naturalmente ridursi a valori minimi. «Dovrebbe», diciamo. Perché in realtà il meccanismo ha un punto debole che lo inceppa e spiega l'evasione fiscale denunciata in questi giorni. li consumatore finale di prodotti e servizi, infatti, paga le proprie imposte indipendentemente dalle spese che sostiene, diversamente dal caso degli operatori economici veri e propri. Il consumatore ha dunque interesse a evadere l'Iva, che per lui rappresenta un puro costo aggiuntivo. Egli preme dunque perché il suo fornitore non gli faccia pagare l'Iva, e quest'ultimo ha lo stesso suo interesse, in quanto la non fatturazione al consumatore finale riduce il suo attivo imponibile lasciando inalterato il suo /9 FEBBRAIO 1980
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