MASSIMO CACCIAR/ l'affermazione della laicità «non significa però assenza di principi». L'idea della laicità - continua Tortorella - non si sarebbe neppure costituita «senza il lavorio culturale, filosofico e scientifico che l'ha fondata». Dietro i documenti politici congressuali - «pienamente laici• - c'è dunque «un'ispirazione culturale assai precisa, quella di un marxismo che ha saputo confrontarsi e vuole confrontarsi con la scienza e il mondo moderno». Essere antidogmatici, conclude Tortorella, non vuol dire avere smarrito ogni criterio, vagare sperduti in terra di nessuno. Che la ricerca scientifica, e la cultura in generale, presuppongano un «criterio» di selezione, una «relazione ai valori», è un fatto di cui oggi non dubita più nessuno. Ma è noto come per Weber la «relazione al valore» sia cosa ben diversa dal «giudizio di valore», e come essa, rn sostanza, sia inutile ai fini pratici, che il politico ha particolarmente a cuore. Non a caso i «distinguo» di Tortorella diventano malcelata ins~fferenza nell'intervento di Badaloni, che rimprovera apertamente Veca di avere una visione «tecnicistica» della ragione. Veca, ragionando più coerentemente di Tortorella, aveva affermato (n. 43, 1979) che in una visione laica del mondo «perde senso l'espressione <:ulturale comunista in senso forte», e resta l'accezione banale per cui vi è, certamente, una cultura dei comunisti che si riferiscono a, definiscono, ridefiniscono, praticano un programma determinato. «Ciò che mi domando - osserva Badaloni (n. 45, '79) - è se in quel definire e ridefinire (quasi un nuovo galileiano provare e riprovare) si esaurisca la potenzialità scientifica che il marxismo può sprigionare». Vi domina piuttosto - continua Badaloni - quello che Althusser chiamerebbe la filosofia spontanea degli scienziati. Ma Althusser stesso ha dimostrato «che tale filosofia è poi di origine positivistica e inconsapevolmente si appoggia a tale clima filoso-- fico». Non a caso, ancora, nell'intervento di Carla ~asqui~elli (che, pure, è pieno di spunti interessanti), s1 d1ch1ara non riproponibile «l'idea weberiana di scientifizzazione della politica, fondata sulla dualità tra sapere tecnico ed esercizio del dominio» (n. 48, '79). Queste insofferenze non devono stupire: come diceva Weber, per il politico prendere partito è «doveroso», così come lo è il 11011 prenderlo per lo scienziato e l'intellettuale. Il punto non è questo. Il 12 punto è che non esistono alternative, per il politico, tra il chiedere agli intellettuali di essere i propagandisti di una linea politica, rinunciando alla scienza, e il chiedere agli intellettuali di assumere l'atteggiamento degli scienziati, rinunciando alla politica (ma non si vede perché un politico dovrebbe fare una richiesta del ge~ere). Che una «terza via» non esista, nemmeno ,n questo caso, è dimostrato dal dibattito promosso da «Rinascita», i cui protagonisti, non potendo scegliere tta scienza e politica, hanno tentato di salvare capra e cavoli rifugiandosi nelle nebbie della metodologia. Ma in tal modo, come hanno riconosciuto alcuni dei protagonisti, il dibattito ha fallito il suo scopo. «Non sembra - dice ad es. Gavioli - che nella discussione sugli intellettuali e la politica comunista sia stato pienamente accolto l'invito alla verifica comune della nostra analisi (... ). Prevale una riflessione sul rapporto - molto generale - partito e intellettuali che precede, invece di accompagnare, lo sforzo necessario di comprensione dei processi reali (... ). La gran parte degli interventi pare muoversi largamente al di fuori delle appassionate discussioni di questi mesi, e sembra trascuri di cogliere, anche criticamente, diverse sollecitazioni contenute da ultimo nelle Tesi del congresso» (n. 2, 1980). E la stessa presentazione della «tavola rotonda• fatta da «Rinascita» lamenta che «non sempre si è riusciti a trovare un terreno comune e una saldatura efficace tra un prevalente discorso metodologico e le questioni politiche generali che pure gli facevano da sfondo•. Una osservazione conclusiva. È noto, perché è stato detto più di una volta, che nel PCI gli intellettuali sono molto indietro rispetto ai politici. Una nuova prova, in questo dibattito, è offerta dal malcelato disprezzo con cui, quando capita, si parla di liberalismo. Ma se il PCI è un partito laico, e se è vero che «non c'è socialismo senza democrazia», come ha affermato più volte Berlinguer, sarebbe doveroso assumere, nei confronti del liberalismo, un atteggiamento diverso. Bernstein, che ha affermato che non c'è socialismo senza democrazia molto prima di Berlinguer, consigliava coerentemente «una certa moderazione nelle dichiarazioni di guerra al "liberalismo"», perché «per quanto riguarda il liberalismo come movimento storico universale, il socialismo ne è l'erede legittimo non solo dal punto di vista cronologico ma anche da quello del contenuto ideale». Ma Bernstein scriveva in un'epoca in cuigli intellettuali avevano il dovere di conoscere il significato delle parole: oggi, evidentemente, se ne può anche fare a meno. Luca Serpieri Abbonatevi al «Leviatano» Abbonamento annuo: L. 20.000 Abbonamento semestrale: L. 11.000 Sconto speciale per chi risiede nelle città e nei paesi dove «Il Leviatano» non arriva in edicola: abbonamento annuo a sole L. 14.000. Conto corrente postale n. 58761008 intestato a «li Leviatano» via dell'Arco di Parma 13- 00186 Roma 19 FEBBRAIO /980
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