Il Leviatano - anno II - n. 6 - 19 febbraio 1980

EDITORIALE Le «ricevute» di Reviglio IL MINISTRO DELLE FINANZE, FRANCO Reviglio, gode in questo momento-con l'eccezione dei duecentomila osti e albergatori e dei loro famigliari -, indiscutibilmente, di un momento di popolarità. La ragione è semplice. Senza cadere nella facile demagogia di coloro che affermano che i lavoratori dipendenti pagano tutte le tasse dovute (quanti di loro hanno un secondo lavoro? quante piccole aziende pagano gli straordinari o integrazioni salariali «fuori busta»?), è vero che, mentre i salariati e gli stipendiati pagano gran parte dell'imposta sul reddito di loro competenza, i lavoratori autonomi evadono, in larghissima misura, la loro. La popolarità del ministro è legata al suo lodevole proposito di eliminare questa disparità, di far pagare a tutti i percettori di reddito, provenga questo da lavoro dipendente o da lavoro autonomo, l'imposta da loro dovuta. Ma che il proposito sia lodevole non può esimerci dallo svolgere alcune considerazioni, che attengono sia agli strumenti che il ministro ha già deciso di mettere in opera (come la ricevuta fiscale per i ristoranti e gli alberghi) o che propone di adottare in futuro; sia, più in generale, alla «filosofia fiscale» che traspare non solo dall'atteggiamento di Reviglio. ma soprattutto dai commenti di buona parte dei suoi sostenitori sulla stampa. V'è da dire anzitutto che la disparità nella posizione fiscale tra lavoratori dipendenti e autonomi non dipende dalla buona volontà degli uni e dalla cattiva degli altri.. Il lavoratore dipendente, almeno per le imposte che gravano sul suo salario o stipendio, si vede operare, direttamente dal datore di lavoro. la trattenuta d'imposta. Poiché invece l'imposta sui redditi del lavoratore autonomo si basa, in prima istanza, sulla sua spontanea dichiarazione, un margine di evasione esiste sempre ed esisterà comunque (ed esiste anche nei Paesi fiscalmente più civili ed evoluti). Per combattere l'evasione fiscale sui redditi da lavoro autonomo il sistema più antico e che per primo viene alla mente è quello del controllo sulle dichiarazioni: gli uffici delle imposte «accertano» redditi maggiori dei dichiarati, possono condurre, anche tramite la guardia di finanza, indagini, possono verificare la regolarità dei libri contabili obbligatori presso le sedi di lavoro (negozi, uffici, ecc.) dei lavoratori autonomi. Negli ultimi anni ha avuto voga l'idea del 2 controllo operato su un campione di certe categorie, scelto per sorteggio. Il sistema del controllo è tuttavia palesemente insufficiente, sia perché un controllo capillare implicherebbe un esercito sterminato di controllori, col rischio che, in molti casi, la spesa occorrente per acquisire al fisco l'imposta evasa potrebbe essere superiore all'effettivo ricavo; sia perché, come tutti sanno, i controllori sono , in parte, corruttibili, e tanto più lo sono quanto più l'evasione di imposta risulta rilevante. Al sistema dei controlli si è quindi cercato di affiancare, sempre più, un sistema di meccanismi automatici che, col creare un'opposizione di interessi tra i diversi operatori sul mercato, consenta al fisco di raccogliere induttivamente tutta una serie di informazioni da cui ricavare valori di reddito quanto più possibile vicini alla verità per ogni singolo operatore. li più noto di questi meccanismi è quello dell'IVA (imposta sul valore aggiunto), la cui introduzione anche in Italia, infatti, nonostante le cifre imponenti di evasione denunciate in questi giorni anche dal ministro Reviglio, ha sensibilmente modificato il quadro della fiscalità in Italia. Poiché le aziende e gli imprenditori individuali pagano l'imposta sul reddito netto della loro attività, essi avrebbero, teoricamente, tutto l'interesse ad avere tutti i propri costi fatturati regolarmente, perché la parte dei costi non fatturata non potrebbe essere inserita in bilancio: onde aumenterebbe l'attivo netto e l'imposta relativa. Ma dal momento che ogni fattura da iscrivere in passivo è contemporaneamente una fattura che un altro soggetto iscrive in attivo, la quota di attività «in nero», sottratta al controllo del fisco, dovrebbe naturalmente ridursi a valori minimi. «Dovrebbe», diciamo. Perché in realtà il meccanismo ha un punto debole che lo inceppa e spiega l'evasione fiscale denunciata in questi giorni. li consumatore finale di prodotti e servizi, infatti, paga le proprie imposte indipendentemente dalle spese che sostiene, diversamente dal caso degli operatori economici veri e propri. Il consumatore ha dunque interesse a evadere l'Iva, che per lui rappresenta un puro costo aggiuntivo. Egli preme dunque perché il suo fornitore non gli faccia pagare l'Iva, e quest'ultimo ha lo stesso suo interesse, in quanto la non fatturazione al consumatore finale riduce il suo attivo imponibile lasciando inalterato il suo /9 FEBBRAIO 1980

passivo, con conseguente riduzione finale di imposta sul reddito. Questa evasione può, in alcuni casi, raggiungere livelli tali da creare l'interesse per i fornitori di ridurre anche il passivo e quindi di premere a loro volta sul fornitore a monte perché una parte delle merci siano fomite senza fattura. Nella logica del meccanismo dell'Iva, il sistema più semplice per ottenere la conoscenza di valori vicini ai redditi reali di ciascuno sarebbe quello di consentire ai consumatori finali estese e consistenti detrazioni di imposta per determinati prodotti o servizi. Se potesse detrarsi dall'impoposta sul reddito l'Iva relativa ai servizi medici, ai prodotti culturali (libri, ecc.), fino ad arrivare, perché no, alle stesse spese per l'alimentazione, i consumatori avrebbero l'interesse ad avere, insieme a questi servizi e prodotti, la documentazione relativa alla spesa sostenuta, imponendo al loro fornitore di denunciare quote crescenti del suo effettivo giro d'affari. Invece di percorrere questa strada naturale, il ministro Reviglio sembra invece intenzionato a tornare sulla vecchia via del «controllo», tramite una «ricevuta fiscale» non detraibile e però da possedere per essere esibita alla guardia di finanza, ora all'uscita dei ristoranti, domani all'uscita dallo studio medico o dalla carrozzeria o dall'avvocato. Una strada, quella prescelta da Reviglio, per un verso non percorribile: possibile che l'Italia discuta da un mese, senza rendersi conto di perdere tempo, sui controlli dei finanzieri sugli avventori dei ristoranti e nessuno dica chiaro e tondo che Alle Olimpiadi di Mosca solo se I) a Sacharov è consentito di tornare nella capitale 2) le truppe sovietiche vengono ritirate da/1' Afghanistan Per la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale l'Unione Sovietica, Invadendo l'Afghanistan, ha inviato proprie truppe in un Paese al di fuori della zona di influenza riconosciuta a Yalta. Chi ha a cuore, nello stesso tempo, le sorti della pace mondiale e la salvaguardia della libertà e della democrazia non può tingere che non sia successo nulla. Se cosi facesse, incoraggerebbe l'aggressività dei sovietici, i quali, contando sull'impunità, riterrebbero di poter compiere altre azioni sul tipo dell'occupazione di Kabul. E alla fine delle aggressioni impunite v'è il rischio della guerra mondiale: Monaco dovrebbe pure aver insegnato qualcosa. Non basta 1tdeplorare», o anche t<COndannare», la brutale aggressione sovietica contro il popolo afghano. Bisogna c~mpiere ~tt! concreti che possano scoraggiare l'espansionismo sov,et,co. Occorre che l'URSS paghi qualche prezzo per le sue aggressioni. La via delle «ritorsioni,. non militari 1 sul terreno del commercio internazionale soprattutto, c, sembra dunque appropriata e adeguata. In questo contesto si inserisce laquestione delle Olimpiadi. D'altra parte sono state per prime le autorità sovietiche a IL LEVIATANO questi controlli non possono materialmente essere compiuti se non, dimostrativamente, per i primi giorni dopo l'entrata in vigore della «ricevuta fiscale»? E una strada, per altro verso, vessatoria, perché pretende di imporre ai singoli cittadini l'adempimento di procedure (conservare la «ricevuta») dalle quali non traggono beneficio e che attengono a doveri (il pagamento dell'Iva sul conto) che non competono loro. Per non dire poi del fatto che se, diversamente da come noi prevediamo, l'idea di Reviglio funzionasse e si riuscisse effettivamente a recuperare gli ottomila miliardi di Iva evasa, questa imponente cifra graverebbe non sugli operatori economici evasori. ma su tutti i cittadini. E che dunque sarebbe il caso di chiedersi se, contemporaneamente all'esigenza di una maggiore giustizia fiscale, non sia il caso di preoccuparsi anche del carico fiscale percentuale che, leggiamo sulla «Repubblica», diverrebbe per ogni italiano il più alto d'Europa, paragonabile solo a quello dell'Olanda. Un carico fiscale cui però non solo non corrispondono - né possono corrispondere - servizi pubblici all'olandese, ma che avverrebbe in un momento in cui, in tutto l'Occidente, crescono le preoccupazioni per l'elefantiasi degli apparati pubblici e si avverte l'esigenza di una spesa pubblica più oculata (e ridotta). In altre parole: oltre a preoccuparsi di chi non paga le tasse, non sarebbe il caso di preoccuparsi di chi le paga, e salate, riducendogliele e tagliando le spese improduttive dell'apparato pubblico di altrettanto? smentire chi vuole tenere separati sport e politica, arrestando e deportando. proprio in vista delle Olimpiadi. numerosi cittadini. Il boicottaggio dei giochi di Mosca sarebbe, dice Vladimir Bukovskij, •un colpo tremendo perii sistema sovietico, un colossale incoraggiamento per tutti i critici del regi meli>. Se questo è vero, è necessario che i Paesi democratici pongano precise condizioni, ragionevoli ed eque. per partecipare ai giochi. In particolare due condizioni ci sembrano irrinunciabili: la prima che, nello spirito di amicizia e fraternità tra i popoli che deve caratterizzare i giochi olimpici, cessi l'espulsione da Mosca dei cittadini la cui presenza le autorità considerano «indesiderabile,. e, in primo luogo, che sia consentito il ritorno di Andrej Sacharov nella capitale; la seconda che, nello spirito pacifico delle Olimpiadi, il Paese ospitante non sia nello stesso tempo impegnato in una guerra d'aggressione e che l'URSS ritiri quindi le sue truppe dal!' Afghanistan. Chiediamo quindi che le autorità italiane dichiarino fin d'ora con chiarezza che la partecipazione alle Olimpiadi di Mosca va subordinata al verificarsi delle due condizioni suddette. Giuseppe Bedeschi, Giorgio Benvenuto, Enzo Bettiza Lucio Colletti, Aldo Garosci, Carlo Ripa di Meana Rosario Romeo, Alberto Ronchey, Giulio Sa.elli PER ADERIRE A QUESTO APPELLO Rivolgersi alla Redazione del seuimanaJc ..o Ufllltano• -Via Ckffoet4'. Td. (06) Jl.41.55 -00193 Roma- Coo1ribu1iper il proseguimento di ques1a inizia1iva possonoessereversati sul conio correnle postale n. 58761008- intestato a ..11 Leviatano,.· viadell' Arco di Parma 13-00186 Roma specificando la causale J

INTERNI DEMOCRISTIANI In un vuoto di idee NON SI PUÒ CERTO DAR TORTOAl COMUNISTI quando affermano (come fa l'on. Napolitano sul n. 37 di «Rinascita») che la preparazione al congresso della Democrazia Cristiana ha confermato «un vero e proprio vuoto di strategia» di questo partito. Anche se sarebbe più giusto riferire tale vuoto al gruppo maggioritario che attualmente guida la DC, cioè all'on. Zaccagnini e ai suoi amici. Costoro sembrano avere per ora un solo imperatitivo categorico: non scegliere. E proclamano apertamente la necessità e la giustezza di tale «linea». La situazione politica - scrive per es. il direttore del «Popolo», l'on. Belci -appare rigida e bloccata; alle diversità storiche e politiche fra i due partiti maggiori, la DC e il PCI, si aggiungono acute contrapposizioni polemiche all'interno del fronte laico, nel quale, da una valutazione se non di affinità almeno di riconoscimento di un comune ruolo storico, si passa a contrasti radicali, venati di dure polemiche, fino ad arrivare a sprezzanti rifiuti. «Non si può dire allora - conclude l'on. Belci - che sia la Democrazia Cristiana a costruire ad arte questa reale complessità e la rigidità di questo quadro, per collocarsi in una posizione centrale di tipo meccanico comoda per eludere le proprie scelte•. Senonché, quello che emerge con sempre maggiore chiarezza è il fatto che il gruppo maggioritario democristiano invoca le indubbie difficoltà della situazione (in primo luogo il marasma nel quale si trova ormai il PSI) solo e soltanto per non pronunciarsi, per non elaborare un programma sostanziato di chiari contenuti, per non delineare una proposta politica. L'unica risposta che l'on. Zaccagnini e i suoi amici sanno dare alla situazione è costituita dalle parole «centralità» (democristiana) e «confronto» (con tutti). Di contenuti (di politica economica, di politica sindacale, ecc.) non si parla nemmeno. Al punto che l'on. Belci se la prende con le posizioni più ·realistiche di Amendola e individua in esse un serio pericolo. Egli afferma testualmente: «la stessa visione amendoliana (rigorosa sulle cose da fare oggi, sulle verità da dire, sui comportamenti da chiedere) appare assai pericolosa». E ciò perché questa posizione richiederebbe di «domare• la società civile e di ordinarla in modo totale! La Democrazia Cristiana, dunque, secondo l'on. Belci, non solo non può, ma non deve scegliere. Quello che conta è in primo luogo la sua centralità, e poi la sua disponibilità al «confronto» (con tutti: comunisti, socialisti, repubblicani, socialdemocratici, liberali - e altri ancora, se ce ne sono). Quanto ai contenuti (quelli del Piano Pandolfi, per intenderci), è bene andarci piano, per non commettere brutalità contro la società civile. Il minimo che si possa dire di tutto questo, è che non si tratta nemmeno di una proposta politica, bensì di una spiegazione infantile, che, in un momento difficile e drammatico della vita del Paese, elude e rinvia tutti i problemi. In realtà, il vuoto ideale e politico dell'attuale segreteria democristiana, e dell'area che ad essa si richiama, è impressionante. Manca completamente una strategia, e la politica si riduce a una piatta routine giornaliera, basata su due parole magiche: centralità e confronto. ma queste parole non sono soltanto magiche, sono anche vuote. La centralità di un partito nella vita sociale e politica può affermarsi solo e soltanto se esso ha una proposta da fare, un'indicazione da dare, un programma da realizzare. Quanto al confronto, al di là del significato nobile ma generico di questa parola (la lotta politica in una democrazia è sempre confronto), non significa nulla se mira a coinvolgere il PCI, in qualche modo e in qualche misura. Perché questo partito ha già risposto con esemplare chiarezza: o al governo, o all'opposizione. E i socialdemocratici e i liberali hanno detto con altrettanta chiarezza: nessun governo con il PCI. L'on. Zaccagnini e i suoi amici non vogliono prendere atto di ciò. E mostrano (al pari dei comunisti) un ben povero e misero concetto della democrazia, la quale dovrebbe. funzionare solo se non c'è dialettica fra maggioranza e opposizione, solo se è «consociativa» e unanimistica: solo, insomma, se è partitocrazia e regime. È significativo in questo senso un articolo di Luigi Pedrazzi (sul «Popolo• del 19 FEBBRAIO 1980

6 febbraio). •Il movimento a cui la OC darà inizio con il XIV Congresso - egli dice - valorizzerà tanto alcuni aspetti dei partiti minori quanto della sinistra, cercando di comporli in un quadro equilibrato e il più ampio possibile. Nella politica di solidarietà che la DC cercherà di rendere vincente vi è uno spazio politico per tutti i partiti, sostanzialmente proporzionato alla loro forza elettorale e culturale, e al loro reciproco complessivo bilanciamento•. Ecco, ancora una volta, l'aspirazione più profonda degli amici dell'on. Zaccagnini: non scegliere. Democristiani, più comunisti, più socialisti, più liberali, più socialdemocratici: l'importante è che ci siano tutti. •In questo disegno complesso e fine - conclude Pedrazzi - uno spazio molto significativo sarà certo riconosciuto al PCI, che già si muove nelle direzioni giuste, e più dovrà farlo, in politica estera e in politica economica. Ma il peso indubbiamente notevole del PCI verrà in qualche modo bilanciato da quello di altri alleati interni (che ci saranno)• ... Se non capiamo male, Pedrazzi vuole tanto Berlinguer quanto Pietro Longo e Zanone, per bilanciarli opportunamente. A questo punto c'è solo da augurarsi che la realtà delle cose insegni e imponga ai democristiani un poco di sana e robusta dialettica. che. come è noto. vive solo nella lotta e nella contraddizione. Bruno Anioni SOCIALISTI Nella paralisi NoN CAPITA sPEsso, È VERO, MA TALVOLTA qualcosa che 11011accade fa norizia. E così quel rivolgimenro inrerno po/irico e organiuarivo, che sembrava essere stato il pilì vistoso e concreto risultato del Comitato centrale socialista di metà gennaio, 11011 èancora avvenuto, né pare sia prossimo ad avvenire. Allo stato attuale, dunque, /'intentona diretta ad «ingabbiare» e ad «ammanettare» Craxi, si è risolta nel modo previsto da qualsiasi manuale della prassi politica italiana. Cioè con la paralisi del partito e con /"inizio dei tempi 1111111/ri. D"altra parte la stessa situazione politica 11011 lascia molto spazio al movimento, almeno fino alle co11c/usio11idel congresso della DC, malgrado le ferme e inutili richieste avanzate da 1111paio di mesi dalla sinistra del PSI di aprire la crisi del governo Cossiga, e subito. Con il e/re è stato dimostrato e/re si trattava di riclrieste irrealistiche e 1111ta111i110 capricciose. Anzi l'ironia della sorte l'Ira obbligata a votare la fiducia, sia pur tecnica. al 11overno. Ma se è vero e/re la riunione della Direzione del PSI -che avrebbe dovuto ribaltare l'assetto interno con la c'!s!ituzione di 1111«organismo collegiale con c~rattenst1c/1e politiclre e di coordinamento•, /a nstru.tturazrone dei settori operativi, dell'ammi11istrazro11ee della stampa socialista - 11011ha ancora avuto luogo, 11011 è altrettanto vero che non si si~no manif~state le prime discrasie tra il presidente e il segre(arto. La prima, in ordine di tempo, è stata I~ f?a~tec,p<:z•onedi Lombardi e Signorile, con relatw, d1scors1,al Congresso nazionale della FederaziolL LEVIATANO BETTINO CRAXI ne giovanile socialista, apertosi a Siena il giorno seguente la clriusura del Comitato centrale, e la pari assenza di Craxi, forse 11011fortuita, se si tien conto che nella FGSI la sinistra è maggioranza (80%) e gli autonomisti sono minoranza posta addirittura ali' opposizione. E qui vale, forse, la pena notare e/re i giovani autonomisti /ranno rifiutato di partecipare alla gestione del/' orgarriuazione accusando la sinistra,con 1111durissimo documento, di voler «sostituire alla dialettica unitaria la logica provocatoria dei cartelli e delle contrapposizioni di comodo, finaliuata ad interessi settari, così come già nel partito si è tentato di fare» e di aver «trasformato il Congresso in teatro degli sfoghi e dei livori di chi Irascambiato il PSI per lo scenario di urraguerra di bande». In quella sede il presidente del PSI 11011ha mancato di rimettere rrelgioco, con la consueta sclriettezza, le sue teorie di rottura le quali, partendo dalle tesi dell'alternativa e dal progetto socialista presentato al Congresso di Torino sono andate a firrire al «modo nuovo di produrre e di consumare», riproponendo la solita auardata immagirre di un PSI pitì a sinistra dei comunisti. Certo. con pitì garbo e dottrina di quel delegato e/re nella Conferenza operaia socialista (maggio 1977) affermò fra delirami applausi: «noi socialisti siamo l'uomo, i comunisti sono l'elefante che va guidato e orierrtato». L'ultima zuffa tra Craxi e la sinistra ha avuto come oggetto il solito torbido affaire EN I-Mazza111ie come teatro I' «Avanti!», a proposito della riclriesta -smentita-confermata dal 'ufficio stampa del partito - di convocazione della Direzione avanzata dal vice-segretario Signorile. Sull'organo socialista, infatti, è stata pubblicata /'8 febbraio una durissima lettera del suo vice-direttore, autoqualijìcatosi «di minoranza», nella quale Bettino Craxi è stato esplicitamente accusato di aver deciso /'atteggiamento del giornale sulla vicenda EN I «direttamente in forma esclusiva facendo valere la sua autorità nella duplice veste di direttore del/' «Avanti!. e di segretario del partito». Se il buon giorno si vede dal mattino, la mestizia delle nostre note arriva alla co11c/usio11ee/re lo sforzo di unità compiuto nel Comitato centrale si è, tutto sommato, risolto con l'annichilimento de/l'iniziativa socialista a/l'esterno e con la paralisi a/l'interno, ove le possibilità di rimaneggiamento saranno sempre pill improbabili, a meno che Craxi 11011si 5

arrenda senza combattere. li manuale Cencelli applicato agli incarichi gestiti dai due gruppi, ormai chiaramente delineati nel PSI, parla infatti chiaro. Non si vede che cosa gli autonomisti possano cedere ali' altra parte se si considera che dei 26 incarichi nei settori di lavoro della Direzione essi ne dirigono 9 e il cartello della sinistra 17, fra cui l'organizzazione e gli enti locali; settori altrettanto importanti del/'amministrazione e della propaganda. Mentre per la stampa socialista vi è praticamente parità tra la direzione autonomista del/' «Avanti!» e quella del cartello della sinistra di «Mondoperaio». Allo stato attuale delle cose, dunque, la disputa interna che dovrebbe concludersi con una ripartizione degli incarichi rischia di avere tempi lunghissimi. O addirittura nessun tempo e nessun senso giacché, nelle attuali condizioni, essa decreterebbe una sconfitta che il segretario del PSI non ha subito nel Comitato centrale. Gianni Finocchiaro ALDOMORO I limiti del «confronto» MENTRE SI SVOLGE IL CONGRESSO DEMO-. cristiano, vale la pena di tornare ancora sulla DC con l'aiuto dello storico George L. Mosse, autore di un 'intervista introduttiva agli scritti di Aldo Moro (L'intelligenza e gli avvenimenti, testi 1958-1978) raccolti recentemente da Garzanti. Mosse prende l'avvio dalla crisi del sistema parlamentare e dal difficile rapporto che intercorre tra questo e i miti e i simboli che sono costitutivi della politica in una società di massa: il caso italiano gli sembra in qualche modo esemplare per mettere in evidenza le difficoltà di un metodo politico basato su una continua mediazione, certamente inevitabile ma paralizzante e distruttiva se protratta oltre un certo limite. Dopo il risveglio del sentimento cristiano della vita negli anni dell'immediato dopoguerra, l'aspetto più caratteristico di questi ultimi venti anni è stata la riscoperta delle istituzioni e delle ideologie liberali, che sembravano entrate, nel periodo tra le due guerre, in una crisi irreversibile. L'area liberale si è estesa al punto da inglobare oggi, accanto ai partiti del liberalismo classico (ormai minoritari), anche quelli cristiani e quelli socialisti. Alcuni fra gli stessi partiti comunisti deJr Europa_ occidentale si sono venuti accostando a questa area, anche se persiste in essi, verso i valori liberali, un forte margine di ambiguità. La loro integrazione nel sistema non è ancora completa e sicura e ci si chiede se potrà mai esserlo nella misura raggiunta dai partiti socialisti e socialdemocratici. Perché questo avvenga-osserva Mosse - occorre che i cosiddetti partiti eurocomunisti abbandonino non solo la sostanza dell'ideologia comunista, ma anche le sue formule e la sua retorica: «una delle grandi tragedie del periodo tra le due guerre - afferma giustamente lo storico tedesco - fu che la retorica socialista impedì ad ampi settori dei ceti medi di comprendere che quei partiti socialisti in 6 MORO E ZACCAGNINI realtà erano ormai convertiti stabilmente alle idee liberali». Nell'attuale situazione, che non vede alternative plausibili allo Stato liberale, qual'è, allora, il ruolo dei partiti democratici cristiani? Venuta meno, per la laicizzazione della società, la specifica connotazione religiosa, non molto diversi dai socialisti per quel che concerne la fondamentale matrice liberale, la differenziazione non può ormai aversi che sul terreno della politica economica. In Germania, la scelta democristiana è stata di carattere marcatamente conservatore; in Italia, invece, coi gravi problemi sociali irrisolti e larghe masse che non aderivano ancora ai valori del sistema liberale, la DC ha assunto un ruolo riformatore dal centro-sinistra fino alla politica morotea del confronto: questo ruolo riformatore è, però, ben presto degenerato in un sistema di mediazione e spartizione corporativa, che ha finito, anche in presenza della sopravvenuta crisi economica internazionale, coll'esasperare i contlitti sociali piuttosto che risolverli. L'intuizione morotea di allargare l'area del consenso sociale all'attuale sistema politico era sostanzialmente giusta, ma il suo esasperato formalismo, la tecnica del non governo e del rinvio sistematico dei problemi, hanno prodotto effetti di vero e proprio strangolamento politico: la strategia morotea sembra essere l'ultima riprova di una celebre e più volte ripetuta affermazione di Salvemini, secondo cui in Italia di progressivo c'è soltanto la paralisi. Forse, una scelta della DC in senso chiaramente conservatore o per lo meno apertamente moderato semplificherebbe i termini del problema politico italiano, permettendo un parallelo chiarimento sulla sinistra dello schieramento politico, e imponendo, fra l'altro, ai comunisti italiani, di uscire dall'equivoco ideologico e programmatico in cui la falsa «centralità» democristiana consente loro di rimanere. In un dibattito apparso sul n. 6 di «Rinascita», Giuseppe Chiarante teme la comparsa di una DC giscardiana: a nostro parere, se questo avvenisse, e la DC da partito dell'assistenza si tramutasse in partito dell'efficienza neo-liberista, forse anche la sinistra sarebbe costretta a uscire dal vago dei «progetti socialisti» e delle «terze vie», per imboccare una linea di politica economica anti-demagogica e seriamente programmatoria. Siamo d'accordo con Pietro lngrao quando dice che occorre rilanciare la politica di programmazione e accusa la DC di non saper scegliere, ma restiamo perplessi di fronte alle accuse specifiche che egli muove al governo Cossiga in materia di politica estera, di lotta al terrorismo, di rapporti con i sindacati. In realtà, il governo Cossiga 19 FEBBRAIO 1980

VIA CAETAN/' riesce a governare nonostante la paralisi democristiana, e le cose che fa non sono certo peggiori di quelle fatte dal defunto governo Andreotti che si reggeva coi voti dei comunisti. Certo, lngrao coglie bene l'ambiguità e la pericolosità della linea Zaccagnini nei confronti del PCI: •essa sembra consistere in una abilitazione dei comunisti a una partecipazione subalterna a quel ruolo di mediazione ~ra interessi corporativi, che oggi appare la vocazione prevalente della DC•, sicché, dice lngrao, •per essere legittimati dovremmo in qualche modo diventare •simili• alla DC attuale: partito •sensale•, mediatore statale dell'esistente semmai con una certa spartizione dei campi di in'. fluenza sociale, in termini tali che naturalmente non intacchino la •centralità• della Democrazia cristiana. Naturalmente, la «legittimazione• che i partiti dell'area laica e socialista devono chiedere ai comunisti è ben altra, esattamente opposta a quella richiesta dai democristiani: deve essere l'impegno a compiere scelte, non solo in politica estera ma anche in politica economica, quanto mai drastiche e se necessario impopolari. A loro volta, i partiti Ìaici e socialisti faranno bene, nel loro inevitabile rapporto con la DC, a non ripetere antichi errori: anche per loro, soprattutto per loro, vale l'osservazione di lngrao secondo cui la DC continua a vedere •le alleanze come aggregazione di partners subalterni•. Molto del credito che questi partiti hanno perduto presso l'opinion~ pubbli~a più ill~minata, se n'è andato per la loro incapacità a porsi come credibile alternativa ai vizi del potere democristiano. Paolo Bonetti DC-PCI La pia illusione ~ A SITUAZIONE POLITICA ITALIANA SI TROVA !n una impasse ~opra!tutto per il fatto che due partiti, 1~PC! e la ~C, .1quah, avendo posizioni inconciliabi- ~1, ~ ngor d1 logica non potrebbero fonnare il governo ms_1em~,raccolgono la gran parte dei suffragi elettorali. D1 conseguenza, da questa situazione non si esce nean~he con elezioni anticipale, se non si trova 11 modo d1 far sl che i consensi vengano redistribuiti tra le forze politiche. IL LEVIATANO Ma un esame del comportamento degli elettori negli ultimi anni lascia credere che i due partiti si alimentino a vicenda. Da ·un lato, l'aumento dei voti comunisti porta molti elettori, sia pure a malincuore, a mantenere, e anche ad accrescere, i consensi al partito che ancora si presenta come il baluardo più consistente contro il pericolo comunista. Dall'altro lato, il malgoverno della DC durante gli ultimi trenta anni ha portato larghi settori di intellettuali e di lavoratori a rafforzare il partito di opposizione più forte, più attivo, e che quindi, apparentemente costituisce potenzialmente la forza di governo di 'ricambio. li Partito comunista si trova dunque sottoposto a due spinte contrastanti. Da un lato, la sua stessa origine e ideologia ed i suoi legami internazionali lo ~i:tano ~ restare fenno sulla sua posizione di opposmone, m attesa che si realizzino le condizioni favorevoli alla presa del potere. Vista con questa ottica, la sua partecipazione al governo non sarebbe che una mossa tattica, mirante a preparare il terreno alla realizzazione dell'obiettivo finale. Dall'altro lato, il fatto che i suoi stessi consensi, o almeno una parte notevole di essi, siano stati dati per ottenere un mutamento di politica e un nuovo modo di governare. opera in direzione di una realizzazione del cosiddetto •governo di emergenza-. Queste due spinte sono presenti all'interno del PCI, e possono essere anche individuate in due diverse tendenze, dando, beninteso, al rennine •tendenza• il significato particolare che può avere nell'ambiente comunista. Il PCI, tuttavia. non può accettare come linea strategica le sollecitazioni che provengono dalla seconda spinta; se lo facesse, dovrebbe cambiare la sua natura, e la sua collocazione, in campo internazionale. Nello stesso tempo. non può apertamente rifiutare di giuocare il ruolo •rifonnista•. senza rischiare di perdere consensi. Ciò spiega il fatto che, quando gli si presentano possibilità più concrete di inserimento nel governo, il PCI, invece di mostrarsi più condiscendente e agevolare cosi le forze che propongono il governo «di emergenza•, alza notevolmente il prezzo. Questa analisi dovrebbe essere tradotta in indicazioni di azione politica da parte dei partiti dell'alternativa socialista democratica e laica. Uno degli elementi qualificanti di tale azione dovrebbe essere un chiaro discorso rivolto all'elettorato comunista, mirante a dimostrare che il PCI non è e non sarà mai una forza di governo accettabile dall'area democratica. Di conseguenza, qualsiasi speranza nutrita da lavoratori e intellettuali di liquidare il regime democristiano, tramite il PCI-forza di governo, non è che una pia illusione, fuori della realtà politica italiana. Solo con un discorso così impostato. ovviamente articolato nelrambito di una consistente campagna di propaganda, si potrà puntare al ridimensionamento della forza elettorale del PCI e alla conquista di una parte di tale forza all'alternativa socialista democratica e laica. Sirio Di Giulwmaria Il nuovo indirizzo del Leviatano è in via Cicerone 44. 00193 Roma telefono 38.41.55 7

ESTERI VIETNAM Vasta epurazione IL 7 FEBBRAIO L'AGENZIA· VIETNAMITA VNA ha annunciato ufficialmente un profondo rimpasto all'interno della struttura governativa. Lasciano i loro posti il ministro della difesa Giap, il ministro degli esteri Trinh e quello della pianificazione Le Tanh Nghi. Lasciano il loro posto anche il ministro degli interni, quello del commercio estero e quello dei trasporti. Resta intatto invece il vertice:il segretario Le Duan. il presidente dell'assemblea nazionale Truong Chinh e il primo ministro Pham Van Dong. Negli stessi giorni ha segnato una pesante battuta d'arresto il negoziato tra Cina e Vietnam. Dopo che la Cina aveva rifiutato la tregua per il capodanno buddista proposta da Hanoi perché essa secondo Pechino, sarebbe servita ai vietnamiti escl~sivamente per sviluppare la loro offensiva in Cambogia, e dopo che i colloqui tra Cina e Tailhandia si erano conclusi con impegni reciproci di difesa e di aiuti contro il pericolo vietnamita, il vice ministro degli esteri vietnamita è ripartito da Pechino per far ritorno ad Hanoi. facendo prima scalo, significativamente in Unione Sovietica. Contemporaneamente riprendevano, con più frequenza e intensità, le scaramucce di frontiera tra i due Paesi, che hanno fatto ritenere a molti osservatori che sia sempre più imminente una ripresa delle ostilità aperte. Sempre in queste ultime settimane è stata annunciata poi una vasta e massiccia epurazione all'interno del partito comunista vietnamita. In occasione del c_inq~antesimoanniversa_riodella fondazione del parttto, e _st~tafatta una revisione generale degli iscritti, per ehmmare, come ha dichiarato il segretario Le Duan, tutti gli elementi indegni. Significativamente, PHAM VAN DONG 8 IL GENERALE GIAP nel suo discorso, il segretario ha legato la necessità di ripulire il partito da quanti non sono pronti a mobilitarsi con tutte le loro forze per far fronte alle gravi necessità del momento, con le difficoltà della situazione politica internazionale, e in particolare con il pericolo cinese e con la conseguente necessità di rafforzare il legame con l'Unione Sovietica. Si capisce quindi meglio l'entità dell'epurazione decisa dai vertici del partito. Di un milione e mezzo di iscritti del 1976, pare che meno di un milione abbiano o~i ~icevut? nuovamente la tessera. Siccome pare d1ffic1le1pottzzare un numero così elevato di corrotti, è facile concludere che sono stati eliminati dal partito diverse categorie di oppositori; in particolare e moUo probabile che siano stati estromessi tutti quei gruppi, numerosi soprattutto al Sud, non tanto filocinesi quanto meno disposti a legare il destino del paese all'Unione Sovietica. Dopo l'eliminazione degli alleati del Fronte di liberazione, dopo la fuga degli intellettuali e dei gruppi economici non assorbibili dalla collettivizzazione, dopo l'espulsione della minorl;ln;2:el tnica cinese dall'intero Vietnam, si procede oggi mfine anche all'eliminazione dal partito dei possibili oppositori . . L'.obiettivo è evidentemente di «purificare» il parttto m un momento di grave crisi internazionale che vede il Vietnam sempre nell'occhio del ciclone: e di altrettanto grave crisi interna. per le difficoltà che il paese incontra nel far fronte anche alle sue minime necessità alimentari. Proiettato ormai completamente nell'alleanza per la vita e per la morte con l'URSS (a proposito dell'Afghanistan, ma il discorso avrebbe potut~ ':'alere .anche per la Cambogia, Hanoi ha d~fimto ti non-mte!"ento n~gli altri Paesi un «principto astratto»), ti Vietnam s1prepara alla mobilitazione e a una possibile ripresa delle ostilità eliminando in partenza tutti i possibili oppositori. Questo spiega l'epurazione nel partito e in parte i cambiamenti nel g?_verno, ~n1:he se qui le interpretazioni divengono p1u aggrov1ghate. Solo i prossimi mesi diranno infatti se i cambiamenti al vertice siano stati semplici ringiovanimenti in vista dei tempi duri (come molti comm_entl:1toraiffermano) o qualcosa di più comples_. so e d1 cui ancora non s1vede con precisione la dinamica e gli sviluppi. j.a.c. /9 FEBBRAIO 1980

) I UNIONE SOVIETICA Distensione di comodo AuuNJ GIORNI OR SONO, NEI COMMENTI REiativi alla scelta sovietica di invadere l'Afghanistan è stata ripetuta sempre più spesso un'osservazione di metodo con cui interpretare le dichiarazioni sovietiche che ci sembra di particolare interesse. In sostanza, molti sovietologi hanno invitato politici e militari occidentali a prendere con maggiore serietà e considerazione le dichiarazioni «strategiche» o di lungo periodo rilasciate dagli esponenti sovietici, quelle in cui essi enunciano contemporaneamente i programmi a lungo termine nei quali l'URSS si sente impegnata e le concessioni a breve termine che è disposta a fare. A rendere il richiamo di immediata al/ualità sono venute alcune dichiarazioni dell'agenzia sovietica Tass del 7 febbraio, nelle quali viene fatta una delle analisi più lucide e conseguenti del significato che i sovietici a11ribuiscono alla strategia della distensione. Il testo si apre con una breve valutazione della situazione in Afghanistan, nella quale per la prima volta si fa riferimento esplicito al ruolo che la preoccupazione per la sicurezza dell'Unione Sovietica ha avuto nella scelta dell'intervento. Non si parla più di trame della CIA, ma si afferma semplicemente che l'Unione Sovietica non poteva tollerare ai suoi confini una zona di «instabilità politica che rappres.entava una minaccia per la sicurezza dell'URSS». E una conferma indiretta di quel complesso «dei confini» che secondo il cancelliere tedesco Schmidt guida così spesso la politica sovietica inducendola a volte a scelte pericolose e soprattutto costose, per le quali l'URSS è costretta a pagare prezzi molto elevati ottenendo in cambio anche risultati strategicamente modesti. Il testo prosegue poi con una conferma di quella strategia mondiale di affermazione del comunismo sovietico, che i cinesi chiamano «l'egemonismo di Mosca». «Per l'URSS - scrive la Tass - la distensione non significa affatto la rinuncia alla lotta di classe su scala mondiale. Mentre respinge categoricamente il conce/lo di "rivoluzione esportata" il nostro paese rimane fedele all'internazionalismo proletario e alla solidarietà di classe. Esso ha dato appoggio e continuerà a darlo alle lolle anti-imperia- /istiche e ai movimenti nazionali di liberazione in tulio il mondo». Come i paesi occidentali continuano ad appoggiare i regimi reazionari di tutto il mondo e questo non ha impedito il ·cammino della distensione, così secondo il commentatore della Tass non si può ricavare dall'intervento sovietico in Afghanistan un motivo per interrompere la politica della distensione. Il portavoce del Cremlino ribadisce quindi la cosiddel/a «distensione selelliva» contro la posizione occidentale della «distensione indivisibile». Il messaggio è chiaramente rivolto alle potenze europee ali' indomani del vertice Schmidt-Giscard che aveva visto prendere piede la possibilità di un maggiore impegno dei Paesi della NATO al fianco degli Stati Uniti e della politica delle sanzioni e del confronto IL LEVIATANO DAL «WASHINGTON POST» con l'URSS su tutti i terreni: dalle Olimpiadi, agli aiuti economici, alla tecnologia, agli aiuti militari ai paesi minacciati dalla politica sovietica. Di fronte a questa mobilitazione dell'Occidente, i vertici del Cremlino rilanciano con molta chiarezza la loro distensione. L'intervento in Afghanistan è giustificato dai pericoli per la sicurezza dell'URSS, la quale ribadisce il suo diritto rivoluzionario ad allargare la sua sfera d'influenza nel mondo. La reazione americana compromelle la distensione e se i paesi occidentali vogliono salvarla (almeno a casa loro) devono staccarsi dagli Stati Uniti e marciare autonomamente. Altrimenti essi saranno inevitabilmente coinvolti nella politica di confronto e di reazione che l'URSS sarà costretta ad adottare. Mai enunciazioni furono tanto chiare e mai minacce tanto esplicite. Per l'URSS l'unica distensione possibile è quella selettiva, per cui mentre la «rivoluzione» avanza in Africa, in Iran, in Afghanistan ecc., la distensione prosegue in Europa e fino a ieri con l'America (fino a quando l'America non si è sentita in pericolo nei suoi interessi vitali). · Per l'Occidente la cosa è più complessa. Da una parte vi sono gli Stati Uniti e alcuni altri che si sono recentemente convertiti senza più esitazioni ali' idea della distensione indivisibile; dall'altra quanti pensano che vadano mantenuti gli spazi anche limitati di distensione per favorirne un processo di allargamento fino alla distensione globale e, a quel punto, indivisibile. Interpreti di questa linea, anche se con toni alterni, Germania e Francia; più sensibile la prima alle necessità americane e globali di difesa, più gelosa la seconda dei propri privilegi nazionali e più propensa a distensioni separate, come il recente incredibile rifiuto del «vertice» occidemale ha messo in evidenza. la teoria occidentale della distensione indivisibile è quella sovietica della distensione selelliva non potrebbero essere più contraddittorie. la prima presuppone la rinuncia sovietica ali' espansionismo, la seconda lo prevede esplicitamente. la distensione separata della «terza via» si fonda invece su un equivoco circa le intenzioni sovietiche o sulla rinuncia a misurarsi con i problemi di una politica mondiale. Tutto si potrà rimproverare ai sovietici in queste circostanze, tranne l'ambiguità. a.g.r. 9

CULTURA REZA PALHAVI La coda del Pavone VERSO LA METÀ DEGLI ANNI SETTANTA l'Iran poteva essere considerato anche dagli osservatori più attenti come una grande potenza regionale, avviata a diventare in tempi brevi una delle maggiori potenze economiche mondiali. Il reddito nazionale aveva superato nel 1975i 50 miliardi di dollari con un incremento annuo del 10%e un reddito pro-capite di 1529dollari (che sarebbero diventati 2200 nel 1978); mentre la bilancia dei pagamenti era in fortissimo attivo già dal 1974- e le riserve valutarie superavano gli 8 miliardi di dollari. La produzione di petrolio, fonte principale di ricchezza e motore dello sviluppo del paese, era di 267.624.000 tonnellate nel 1975.2%.484.000 nel 1976 e continuava a crescere con riserve valutabili ad oltre il 10% del totale mondiale. Le forze armate, che assorbivano il 27% del bilancio e il 17,4%del prodotto nazionale lordo, costituivano una struttura sotto ogni apparenza formidabile: 200.000 uomini e 1360 carri armati, oltre 60 navi, 300 caccia-bombardieri e parecchie centinaia di elicotteri da combattimento e da trasporto. li sistema sanitario e i programmi di sicurezza sociale avevano raggiunto risultati insperabili per un paese del terzo mondo. Nel 1975erano disponibili 45.604 letti in 498 ospedali. con un personale comprendente IO mila fra medici e chirurghi e 1462 dentisti; mentre una rete di centri d'igiene e di medicina rurali, di laboratori e di dispensari si estendeva nelle provincie più remote. Esisteva, è vero, un'altra faccia dell'Iran, meno ufficiale ma non meno reale: quella delle sacche di miseria, delle enormi differenze di reddito, delle aspettative deluse, delle cospirazioni, quella della Savak, la polizia segreta di Stato, delle repressioni e delle torture. li quadro generale dava tuttavia l'impressione di un regime saldo e stabile, e la fedeltà alle alleanze politiche e militari con l'occidente ne faceva un elemento insopprimibile nel sistema di difesa e di equilibrio geopolitico dell'Asia centrooccidentale o, come si preferiva dire, •il gendarme del Goldo Persico». Senza ombra di esitazioni o di dubbi lo scià poteva permettersi di ricordare ad ogni occasione (scritti, discorsi, interviste) il cammino compiuto dal suo paese e, addirittura, un suo possibile destino di grande potenza. Si illudeva di aver realizzato, a quindici anni dall'inizio (1%3) della Rivoluzione Bianca (la •Rivoluzione dello scià e del Popolo»), solide premesse all'instaurazione di una «nuova civiltà», nel processo di sviluppo economico, nel miglioramento delle condizioni sociali, dell'igiene e della sanità. Sognava per il 1982 di fare delle forze armate dell'Iran uno strumento di potenza impressionante, per effettivi e IO per mezzi, con 760.000 uomini, oltre 3400 carri armati, 690 aerei da combattimento, centinaia di elicotteri, 4 incrociatori, 24 cacciatorpediniere, 12 sottomarini: una forza convenzionale •tra le prime del mondo» e in grado, secondo le sue stesse parole, «non solo di assicurare la salvaguardia degli interessi del paese nel Golfo Persico. ma di continuare a mantenere la stabilità e la pace nell'Oceano Indiano». Pochi mesi sono bastati a rovesciare questo scenario. Oggi l'Iran è un paese sconvolto, lacerato da contraddizioni e contrasti gravissimi, con l'economia sull'orlo del collasso, il potere politico diviso e incerto, in preda ai fanatismi e agli estremismi più irrazionali. Le forze armate imperiali, decapitate, senza alcuna resistenza. di tutti gli alti gradi. non rappresentano più uno strumento operazionale di qualche rilievo. Arresti, processi popolari ed esecuzioni sommarie hanno decimato la vecchia classe dirigente. La stessa unità nazionale è messa a prova dal riesplodere delle tensioni centrifughe nelle province. Il terrorismo, la presa di ostaggi, il rifiuto di ogni convenzione e di ogni autorità internazionale, sono divenuti strumento della politica dello stato ed hanno tolto ogni credibilità al governo del paese. 11' «bastione» delle posizioni occidentali nel Medio Oriente, il garante dell'equilibrio e della stabilità della regione, si è trasformato in un fattore di instabilità e di insicurezza. Come è potuto accadere tutto questo? Dall'esilio americano, con un libro (Réponse à l'histoire, Paris, Albin Michel, 1979) e più di recente in una lunga intervista da Contadora a David Frost per la rete televisiva americana ABC, il deposto sovrano si è sforzato di dare la sua risposta, che, se in parte è la /9 FEBBRAIO /98(}

noiosa ripetizione di testimonianze precedenti, per altro verso rimane un contributo essenziale per comprendere gli avvenimenti che hanno sconvolto e continuano a sconvolgere l'Iran. Figura enigmatica e contraddittoria, sicuro di sé sino all'arroganza, non privo di una sua solitaria grandezza, diviso tra una devozione visionaria all'Islam e una concezione moderna delle cose, Reza Pahlavi ha finito con l'essere travolto dalla sua stessa sicurezza. Per questo la sua «Risposta», se testimonia spesso di una grande lucidità di giudizio, riesce solo parzialmente a chiarire le ragioni profonde di una crisi che ha gettato un popolo intero nel caos e forse il mondo sull'orlo del conflitto nucleare. Rimane comunque un documento appassionato e inquietante, che, come ha scritto di recente «L'Aurore», rion mancherà di •provocare agitazioni in quelle che sino ad ieri era consuetudine chiamare cancellerie». Non credo che alcuno possa mettere in dubbio il ruolo che i Pahlavi, e in particolare l'ultimo scià, hanno avuto nel processo di ammodernamento della Persia, in quel salto verso il mondo moderno che per la Turchia aveva rappresentato il regime di Kemal Atatiirk, o prima, per il Giappone, l'era Meiji. Ma rapertura all'Occidente, la laicizzazione dello Stato, il processo di rinnovamento delle strutture, la lotta contro l'ignoranza e la corruzione dovevano urtare interessi troppo potenti, provocando l'accumularsi di fortissime resistenze e tensioni interne, che una particolare collocazione geopolitica ed un critico contesto internazionale avrebbero portato al livello d'esplosione. Ora egli riconosce, in uno sforzo appassionato di autocritica, tutta una serie di errori e di decisioni affrettate, i cui effetti potevano essere previsti tempestivamente anche se minimizza o circoscrive gli eccessi del regime, i sistemi repressivi della Savak, i casi di tortura e gli assassinii politici, così come gli episodi di corruzione o di venalità della classe dirigente e in seno alla stessa famiglia imperiale; e trova giustificazione alle scelte autoritarie nella necessità di una «mobilitazione generale» di tutte le risorse naturali ed umane in una situazione di emergenza. Una situazione in cui avrebbe fatto· da detonatore la campagna di opinione scatenata contro il regime, alla fine del 1976, da oppositori radicali e di sinistra, cui ai primi del 1978 si sarebbero aggiunti i mullah, i quali avrebbero usufruito anche dell'appoggio esterno e determinante di forze diverse interessate a rovesciare il regime (la Libia, altre potenze?) Reza Pahlavi denuncia senza mezzi termini anche le multinazionali del petrolio, le quali addirittura dal 1958, anno della nazionalizzazione dei giacimenti iraniani, avrebbero avuto un ruolo nella campagna di denigrazione e nella recrudescimza di attività sovversive che minacciavano da lungo tempo la stabilità del paese. Negli ultimi anni poi la lobby del petrolio avrebbe lavorato attivamente alla caduta del regime, anche al rischio delle gravi conseguenze internazionali di una crisi energetica, pur di non dare il proprio assenso alla politica del petrolio a giusto prezzo invocata da Teheran. Una delle conclusioni che emergono dalle considerazioni dello scià è quindi quella secondo cui la •congiura criminale» che ha posto fine al suo regime, ha tra i tanti effetti, anche quello di permettere ad altri di «riprendere per proprio conto e per proprio profitto la politica detta del petrolio caro, del petrolio cioè al suo giusto valore». Renaio Grispo IL LEVIATANO COMUNISTI Politica e intellettuali IL NUMERO 4 DI «RINASCITA• (25 GENNAIO) pubblica la tavola rotonda che conclude il «dibattito sulla politica del PCI e gli intellettuali», aperto il 26 ottobre 1979 da Aldo Tortorella. Il dibattito ha visto partecipare, tra gli altri, Giuseppe Vacca, Salvatore Veca, Nicola Badaloni, Biagio De Giovanni, Luciano Gruppi, Giacomo Marramao, Massimo Cacciari, Gabriele Giannantoni, Alberto Asor Rosa, Giorgio Napolitano, Remo Bodei, Giuseppe Gavioli. Alla tavola rotonda partecipano Asor Rosa, Badaloni, Tortorella, Luciano Barca e Massimo Boffa. Il dibattito era partito dalla constatazione del fallimento degli obiettivi del convegno dell'Eliseo, nel gennaio 1977, in cui Berlinguer aveva fatto il tentativo di coinvolgere strati intellettuali in un progetto di trasformazione fondato sulla parola d'ordine del1' «austerità». Si chiedeva agli intellettuali - come dice Tortorella nell'intervento di apertura - •di farsi protagonisti e autori della trasformazione, a partire dal loro specifico, in quanto portatori di conoscenza». Invece, osserva Tortorella, «vi furono fin dall'inizio deformazioni pesantissime: fino al puro e semplice rovesciamento del vero». Si disse- che il PCI aveva chiesto agli intellettuali di essere i propagandisti della sua linea politica, e contemporaneamente venne alimentata una campagna sulla repressione del dissenso da parte di comunisti. La reazione di Tortorella è comprensibile, e in parte - ci sembra - anche giustificata. E tuttavia è difficile immaginare che un partito politico si rivolga agli intellettuali unicamente per invitarli alla ricerca pura. Non occorre una dose eccessiva di malizia per sospettare che la speranza segreta che anima operazioni del genere sia quella di vedere trionfare, con il conforto degli specialisti, il proprio «punto di vista•. E infatti, come precisa Tortorella, il PCI è un partito laico (l'affermazione, come è noto, era già contenuta nella lettera di Berlinguer al vescovo di Ivrea), ma ALDO TORTORELLA 11

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