TITO giorni ha reso l'interrogativo addirittura spasmodico. Dalla modesta esperienza acquisita in alcuni anni di soggiorno in Jugoslavia quale corrispondente di un quotidiano politico italiano, saremmo tentati di rispondere con una sola parola: nulla. Intendendo dire con ciò che l'atteso e temuto dopo-Tito, almeno per parecchi anni ancora, non provocherà nulla che possa rovesciare il quadro politico di quel Paese. il suo ruolo in Europa e il suo sistema economicosociale; anche se certamente vi saranno correzioni, aggiustamenti e modifiche. Ma, tutto sommato, la opera di quell'irripetibile personaggio della storia europea degli ultimi 40 anni. qual'è stato Josip Broz Tito, ha raggiunto un tale grado di irreversibilità da far considerare superata la definizione della pubblicistica politica fra le due guerre, secondo la quale la Jugoslavia era null'altro che •il trionfo della diplomazia sulla storia. sulla geografia e sulla politica•. A quarant'anni dalla sua ricostituzione statuale, la -1µgoslavia di oggi è uno Stato plurinazionale che ha già percorso un lungo tratto di strada verso la creazione di una identità nazionale. sia pure di popoli diversi. E, dopo "tutto, non è vero che tali miracoli non siano accaduti nella storia della formazione delle nazioni moderne se accettiamo l'esempio della Svizzera, del Belgio e, in un certo qual modo, degli Stati Uniti. Merito storico di Tito è che la Jugoslavia ha percorso un lungo tratto verso l'identità nazionale in poco meno di quarant'anni. E' indubbio che uno degli elementi straordinari del sistema jugoslavo è l'incredibile stabilità politica fin qui mantenuta. restando estraneo ed indenne dai fermenti e dalle turbolenze di gran parte dei paesi dell'Europa dell'Est e dello stesso Occidente. E sarebbe troppo facile ed elementare attribuire quella stabilità alla •dittatura del proletariato• sul cui principio è sostanzialmente fondato il regime jugoslavo. li mistero non è tale se si tiene conto di un fenomeno politico riguardante la classe dirigente jugoslava: la sua straordinaria omogeneità e i profondi legami con il proprio popolo. Se abbiamo adoperato il termine di •classe• anziché di •gruppo• dirigente lo abbiamo fatto di proposito per indicare che il suo peso e, in un certo senso. la sua entità nella società jugoslava è tale da giustifi- /L LEVIATANO cario. Discesi dalle montagne della Serbia, della Bosnia. della Slovenia sulle quali si erano inerpicati al seguito dello •stari• (vecchio), il cinquantenne Josip Broz Tito, i ventenni del I945 si ritrovarono ministri, funzionari di Stato, dirigenti del partito, sindaci, direttori di fabbriche e di aziende agricole, intellettuali di regime. tecnici, generali, ufficiali di polizia e dell'esercito, magistrati ecc. Nella furia dell'ortodossia ideologica (della quale si son poi amaramente pentiti) nazionalizzarono e statizzarono tutto: dal più piccolo negozio alle imprese siderurgiche, dal più modesto pezzo di terra ai latifondi. Rivoltarono come un guanto rapporti sociali e legislazione, amministrazione pubblica e sistema economico. Oggi, fra i cinquanta e i sessant'anni, nel pieno vigore della loro esperienza politica, questi ex-partigiani, sono tutti figli della •via jugoslava al socialismo•; vale a dire •comunisti dai colori della Jugoslavia» .. I loro legami con il popolo, oltre che all'estrazione sociale popolare, risalgono alla stessa epopea partigiana che coinvolse tutti gli jugoslavi. come testimonia quel milione e 700 mila morti contati alla fine della guerra. La classe dirigente jugoslava è questa. Essa, forse, culturalmente, spiritualmente, ideologicamente e politicamente è la più omogenea d'Europa. Altre e più complesse sono le cose sui rapporti internazionali. A nostro sommesso parere, i timori di un rivolgimento della politica estera jugoslava sovente avanzati in Occidente. non sembrano molto fondati. E ciò non soltanto per la ventennale politica di non allineamento, quanto perché le vocazioni al non impegno della Jugoslavia sono antiche e risalgono addirittura al periodo fra le due guerre, quando la necessità della sopravvivenza la spingeva a sostenere lo status quo uscito da Versailles. Quella politica è di fatto reiterata ancora oggi con il sostegno della politica di rifiuto della spartizione di Yalta, che la classe dirigente jugoslava scelse addirittura nel corso della guerra partigiana. La tesi di un richiamo panslavistico cui si appigliano i previsionisti del «ritorno• è ormai una suggestiva immaginazione che va confinata nella sfera della letteratura poetica, e, semmai, della religione ortodossa. Nulla di più. Dopo oltre trent'anni di estraneità da mondo comunista non è facile trova uno jugoslavo disposto a consegnarsi spontaneamente al blocco comunista in nome di solidarietà e unità ideologiche che non esistono più da decenni. Intendiamo, insomma, dire che se fino alle soglie degli anni sessanta, il comunismo sovietico poteva avere nei confronti della Jugoslavia una qualche forza di attrazione oggi che il mondo comunista è profondamente diviso e frazionato. Altra cosa, infine, sono le pressioni che l'URSS potrebbe esercitare sul Paese con la scomparsa del capo carismatico. Josip Broz Tito. Ma anche queste possibilità sono molto più ridotte di quanto possa apparire e. in ogni caso, mai potrebbero portare a una sorta di •kabulizzazione•. Sarebbe facilmente e fatalmente lo scontro armato fra i due blocchi contrapposti. Ma in tal caso Belgrado equivarrebbe a Berlino. Certo il dopo-Tito della Jugoslavia non sarà facile né semplice. Tuttavia siamo convinti che se l'Occidente non premerà perché faccia una sorta di scelta di campo, che sarebbe comunque angosciosa. il trapasso verso larghi spazi di sviluppo democratico della Jugoslavia avrà serie possibilità di essere realizzato pacificamente. Gianni Finocchiaro IJ
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