Il Leviatano - anno II - n. 4 - 5 febbraio 1980

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EDITORIALE Una trattativa fantasma LA POSIZIONE INTERNAZIONALE DEL Partito comunista, così come appare dalla relazione di Bufalini e dall'intervento di Berlinguer alla riunione dei segretari di federazione («L'Unità», 26-27 gennaio), fa risalire la crisi attuale della distensione alla decisione della NATO di installare, in alcuni Paesi dell'Europa occidentale, i missili Pershing e Cruise: «è accaduto, come avevamo paventato - dice Bufalini -, che la decisione preventiva della NATO di installare i Pershing e i Cruise è stata accolta come un atto di rottura da parte del1'URSS». Si trascura del tutto l'origine della decisione della NATO, e cioè lo squilibrio determinato dall'installazione dei missili SS 20 sovietici, che continuano ad essere prodotti al ritmo di uno ogni settimana. L'invasione del1' Afghanistan sarebbe, dunque, una ritorsione nei confronti di una politica aggressiva dell'Occidente, cui oggi l'Occidente risponde, erroneamente, secondo Bufalini, con altre ritorsioni: «si è imboccata la strada delle ritorsioni a catena». Anche Berlinguer cerca nell'Occidente le responsabilità dell'attuale crisi: dall'«atteggiamento preso dall'amministrazione Carter, fin dagli inizi, sulla questione dei diritti civili e umani», alla «pace separata fra Egitto e Israele» che escludeva «platealmente qualunque partecipazione dell'URSS», alle «dichiarazioni di Brzezinskij che addirittura teorizzava la corsa agli armamenti». «Nel contempo - prosegue Berlinguer - l'URSS, certamente, proseguiva in una politica di sviluppo della distensione e della cooperazione in Europa», anche se «utilizzava anche alcuni fattori oggettivi della situazione» (che delicatezza!) «per attuare alcuni interventi diretti e indiretti in alcune zone in Africa e in Asia». Bufalini e Berlinguer, a questo punto, confermano la condanna dell'invasione dell' Afghanistan da parte delle truppe sovietiche, anche se la ricostruzione storica degli avvenimenti e quella psicologica dei moventi ne annacquano molto il significato. Ma non è su questo che intendiamo attirare l'attenzione dei nostri lettori, quanto sulla parte propositiva della linea comunista, sul «che fare» che, a loro dire, oggi si impone. Occorre, dicono i comunisti, uscire dalla logica delle «ritorsioni a catena», occorre respingere la linea dei «falchi», delle «forze più aggressive dell'imperialismo", e tornare alle 2 «trattative», continuare a lavorare per una distensione, che riguardi anzitutto le due superpotenze. Ma parlando di «trattative» i comunisti intendono invece una «supplica», o tutt'al più una «amichevole richiesta» all'URSS perché si accordi con l'Occidente e in primo luogo con gli Stati Uniti d'America. La guerra è il modo di risolvere le controversie internazionali per mezzo della forza. La «trattativa» è il modo di risolvere le stesse controversie per mezzo di accordi pacifici. Ma, come insegna il vocabolario, una «trattativa» è «un vaglio o uno scambio di proposte che precedono la conclusione di un affare», è il «negoziare» in vista di un accordo. Supponiamo che a me piaccia di andare a vivere in un certo appartamento. Posso prenderlo con la forza, scacciarne l'inquilino e installarmi al suo posto. So però, che domani ne sarei a mia volta scacciato dalla polizia chiamata dal legittimo possessore (anche se questo, da noi, non sempre avviene). Reputo allora più vantaggioso _procedere a un pacifico accordo per prendere possesso di quell'appartamento, e avvio una «trattativa» con il proprietario, offrendogli una certa cifra perché me lo venda o me lo affitti. PAOLO BUFALINI 5 FEBBRAIO 1980

L'affare si concluderà - e io potrò entrare nell'appartamento desiderato - quando l'offerta di denaro sarà ritenuta soddisfacente dal proprietario e non sarà così elevata da farmi preferire un altro appartamento. L'affare si concluderà dunque quando ci sarà reciproca soddisfazione. , Ma perché ciò avvenga è evidente che dovrò avere qualche cosa (nel nostro caso il denaro) da offrire al ·proprietario in cambio dell'appartamento che egli mi concede; o, qualora avessi occupato l'appartamento con la forza, lo lascerò se riceverò una minaccia (la polizia) che mi consigli di cederlo piuttosto che affrontare uno scontro dal quale presumo di uscire soccombente. E infatti, senza l'intervento o la minaccia di intervento della polizia, nessuno lascia un appartamento occupato abusivamente; senza una offerta di denaro adeguata, nessuno concede ad altri il possesso del proprio appartamento. Chi chiamerebbe «trattativa» la semplice richiesta a un proprietario di lasciarci abitare gratis il suo appartamento? Oppure, chi chiamerebbe «trattativa» il chiedere a un abusivo di lasciare l'appartamento indebitamente occupato senza il ricorso, se non alla forza, alla minaccia di usarla? I comunisti invece intendono per «trattativa» nei rapporti internazionali esattamente ciò che qualunque persona dotata di buon senso non chiamerebbe «trattativa». I russi occupano illegittimamente l'Afghanistan. Si può rispondere con la forza delle armi alle armi da loro impiegate. Ma nessuno l'ha fatto e nessuno lo ha auspicato. Invece dello scontro si intende usare la·«trattativa». Ma quale «trattativa» può essere quella in cui una parte non ha niente da offrire e nessuna minaccia da avanzare e l'altra parte non ha nessun vanC'1ggioda sperare e nessuna perdita da temere? Chi può chiamare «trattativa» l'umile richiesta (che peraltro i comunisti non fanno) all'URSS di tornarsene nei propri territori? Coloro dunque che vengono accusati di non voler trattare, in quanto applicano ritorsioni o minacciano eventi non graditi alla controparte in caso di non ritiro delle truppe dall' Afghanistan, sono esattamente coloro che imbastiscono gli strumenti della trattativa. dell'offerta di vantaggi in caso di accordo e svantaggi in caso di disaccordo. Non approvare il Salt 2 significa gravare l'URSS di un peso proporzionalmente più pesante rispetto agli Stati Uniti d'America per il mantenimento dell'equilibrio strategico; sospendere la vendita di grano significa presumere di poter produrre difficoltà economiche in Russia maggiori di quante non se ne creino per gli agricoltori americani; minacciare il boicottaggio delle Olimpiadi significa far gravare una punizione in caso di permanenza delle truppe sovietiche a Kabul; e, al contrario, dichiararsi disponibili a una nuova epoca di distensione in caso d ritiro delle truppe dal l'Afghanistan significa of- /L LEVIATANO frire vantaggi tangibili condizionati a certi comportamenti. La strada della «trattativa» è quella dello scambio, della soddisfazione reciproca, non quella del cedimento di una parte alla forza dell'altra. Chi invece parla di trattative ma di fatto si oppone a che una delle parti abbia qualche oggetto con cui trattare finisce per rimettere alla forza delle armi la risoluzione delle controversie: accettando il fatto compiuto di una parte, limitandosi a richiedere, in nome della pace e della trattativa, che quella parte, senza contropartite, si ritiri, equivale ad ostacolare ogni seria trattativa e a demandare la risoluzione delle controversie, in fin dei conti, alla forza. Abbiamo mantenuto questo discorso in termini volutamente astratti, indipendenti dal nostro preferire l'uno o l'altro degli schieramenti internazionali, perché riteniamo che nessuna delle due superpotenze - e in realtà nessuno Stato sovrano - faccia passare al primo posto astratti valori etici anziché la «ragione di Stato». Gli Stati Uniti, esattamente come la Russia, non cederebbero, senza contropartite, una posizione di vantaggio senza pensare di ricavarne un utile o senza pensare di sventare una minaccia. Non c'è motivo di pensare che la Russia, in questo, si comporti diversamente da qualsiasi potenza. Chi dunque, fingendo di chiedere una trattativa, chiede in realtà a una delle potenze un comportamento al di fuori della logica di potenza, o della «ragione di Stato», presume che quella potenza non persegua quella logica, ma porti avanti invece valori etici condivisibili e superiori. Chi ha questo atteggiamento, in altre parole, non è né neutrale, né equidistante: è schierato, in sostanza, da una e una sola parte. ENRICO BERLINGUER J

INTERNI MONOPOLIO Meno Rai, più Tv IL CONS/GUO DI AMMINISTRAZIONE DELLA Rai ha deciso che il trasmettitore della terza rele televisiva sul monle Sera. in Toscana. resterà spento fino al 4 febbraio, in allesa del ricorso presentato dalrazienda contro la sentenza del pretore di Lucca, che imponeva la riduzione del segnale d'uscita della nuova rete Rai. dal momento che copriva una serie di emillenti locali. Sono passati più di tre anni dalla sentenza della Corte costituzionale che legittimava la presenza di radio e televisioni con ambito locale. ed ancora non trova luce una proposta che dia corpo ad una sentenza vaga ed incerta. che pure contiene un principio di libe11àe pluralismo. La Rai scalpita contro la sentenza del pretore Biancalone e spegne per protesta il suo trasmellitore. mentre l'indice d'ascollo dei suoi programmi passa dall'89, 1% (6,7% per le IV estere e 4,2% per le private) del marzo 1977al J6,3% (6. 1%per le estere e 17.6% per le private) del marzo 1979. La seconda rete si allesta su indici d'ascolto di poco superiori alle emillenti private: 19,4 contro 17,6. Ma non è in questa «bagarre• sollevata dalla sentenza del pretore di Lucca che ci inie ressa entrare; il problema che prende le mosse da questo fallo di cronaca è di fondo. riguarda l'ambiguità intollerabile nella quale continua a vivere il sistema radiotelevisivo nel nostro Paese. La Rai ci propina da qualche giorno rubiconde madri di famiglia felici di aver tempestivamente «ollemperalo» l'obbligo del pagamento del canone radio-televisivo, ci ricorda che il primo febbraio è il termine ultimo per pagare lo stesso senza «incorrere nelle sovrallasse e sanzioni previste dalla legge• e due minuti dopo ci propina la pubblicità della Mira Lanza. Non che noi si abbia qualcosa contro la Mira Lanza o le altre centinaia di industrie che abitualmente usano i vari «caroselli» televisivi per pubblicizzare i loro prodolli. ma non si capisce perché i ciuadini dovrebbero pagare un lauto canone di abbonamento per essere «bombardati• dalla pubblicità. Si liberalizzino gli spazi pubblicitari, sollevando finalmente i contribuenti dall'onere del canone: noi amiamo particolarmente le faccine anonime «acqua e sapone» o le massaie sempre felici ed eleganti che popolano i nostri «shorts» pubblicitari, ma siamo convinti che l'unico modo per ridare fia10a un'azienda «decolla» come la Rai è una reale verifica rispello a ciò che produce, ai suoi indici di ascolto, ad una concorrenza leale Ira le varie reti pubbliche e private. Uscire da una paranoia sta1alis1a che tutto imbriglia e ostacola, toccando dimensioni risibili e preoccupanti come il pubblico processo ad Andrea Barbato. È indubbio che l'unica trasmissione televisiva 4 ANDREA BARBATO migliorala negli ultimi anni siano i telegiornali, migliorali proprio nel momento in cui sono slati messi in diretta concorrenza, divisi e autonomi: si può preferire il Tg I o il Tg2. ma è certo che dai 1elegiornali bemabeiani a oggi di passi avanti se ne sono fatti. e non pochi. Largo perciò ad una concorrenza vera Ira le reti, basta con la paura di liberalizzare le frequenze non occupate dalla Rai. Si decida quante reti nazionali possono esistere accanto alle Ire funzionanti, lo Stato dia le relative concessioni: «si lottizzeranno anche queste» è l'obiezione; bene, ma saranno le leggi di mercato, la qualità dei programmi ed il conseguente flusso di pubblicità a decretare chi funziona e chi no. Si garantisca, se si vuole, il mantenimento di una rete strettamente «culturale» svincolata da questa logica, dove programmare trasmissioni di difficile «sponsorizzazione». si scorpori finalmente la SIPRA e si ponga fine alla sua politica di monopolio e ricatti, che può esercitare attraverso il controllo contemporaneo degli spazi radiotelevisi Rai e di gran parte della stampa italiana. Ancora· domenica scorsa si poteva leggere sul1·«Unità» che la sentenza del pretore di Lucca «merita una allenta riflessione. poiché da essa prende le mosse una vera e propria aggressione al servizio pubblico. gli episodi della quale potrebbero risultare decisivi nella sua disgregazione». Ma che cosa minaccia di più un'informazione libera e pluralista, la sentenza del pretore Biancalone, o un'azienda incancrenita nelle pastoie burocratiche e nelle alchimie degli equilibri politici, che può evitare di confrontarsi con ciò che produce, perché è comunque venduto. È 5 FEBBRAIO /980

ora che la Rai esca dal torpore provinciale e ministe• riale nel quale sembra rinchiusa da anni, per divenire un'azienda competitiva sui nostri mercati ed all'este• ro. E sf che nell'unico caso in cui la Rai si cimenta in un confronto dirello con i privati - parliamo della produzione cinematografica -, i suoi prodotti rag• giungono veri record di interesse: ma questo sembra ~on basti a tranquillizzare i dirigenti di viale Mazzini. E troppo comodo lavorare con i deficit sempre coperti, è facile sventolare improbabili sondaggi su• gli indici di gradimento, quando la Rai è l'unica azienda dalla quale puoi «gradire» qualcosa. Si ri• sponderà che le frequenze sono limitale. che l'etere può essere diviso soltanto tra un numero ben delimi• lato di emittenti. Tullo questo è vero, ma i criteri si possono trovare, le possibilità di verificare chi può essere e chi non può essere in grado di gestire un'emillente radio o televisiva sono molteplici. Ma su questi problemi si evita la discussione, limitandosi periodicamente a scovare questo o quel I' «oligopolio» pronto a minacciare l'industria di Stato. È una sorta di protezionismo anni ollanta, la paura di essere sempre e comunque più deboli del proprio vicino, è una moderna riedizione del Davide e Golia, e tra Golia veri, falsi o presunti, si moltiplicano i Davide, che crescono e si sviluppano in una giungla stermina• la. Ma sono davvero i vari Mondadori o Rizzoli a mellere paura alla Rai. è la paura di vedersi soffiare per qualche milione in più la direna del gmn premio di Montecarlo che mette paura ai dirigenti di viale Mazzini? Se è questo non possiamo che rimanere sgomenti, dal momento che la Rai ha ormai decine di anni di vita e di esperienza a livello internazionale, e non dovrebbe avere paura di un confronto diretto su un terreno che per anni l'ha vista padrona indiscussa. O la paura è di altro tipo. ed è la paura di guardarsi intorno e di scoprire che per anni nei corridoi di via del Babuino e di via Teulada si è coltivata solo ed unicamente una genia di funzionari e funzionarucoli, mentre gente in grado di stare dietro una telecamera ce n'è, ahimé, troppo poca? Consumo medio televisivo del.le famiglie italiane daU'aprile '77 aU'aprile '79 RAI I RAI l -r,,....,,, Tv prlvak - IL LEVIATANO ~ 1m ---- ---- -- 1978 1979 SOCIALISTI I Lombardi alla nuova crociata A.iuoN. RICCARDO LOMBARDI TUITO SI PO· trà negare. ma non il pregio della coerenza. La linea dell'alternativa delle sinistre unite (PCI + PSI) alla Democrazia cristiana era già implicita - anche se la cosa può apparire paradossale - nel suo modo di intendere il centro-sinistra. Critico ·verso la «delimi• !azione della maggioranza», egli vide infatti nella politica di centro-sinistra non già solo un tentativo riformatore, capace di risolvere vecchi e nuovi pro• blemi della società italiana e di allargare l'area di consenso alle istituzioni democratiche. bensì anche e soprallullo un congegno per far saltare il «sistema». Come ha scritto Giuseppe Tamburrano nel suo libro Storia e cronaca del centro-sinisrra, già in quegli anni «la posizione di Lombardi è chiara: il fine dei socialisti è il superamento del capitalismo ed essi accettano di partecipare ad un governo di coalizione solo se il programma mira alla rottura di un cardine del sistema e va a trasferire il potere dalla classe capitalistica alla classe lavoratrice». Perciò Riccardo Lombardi non voleva semplicemente delle riforme serie, ma delle riforme «di struttura». cioè tali da scardinare il sistema economico-politico; acce11ava sì la collaborazione con la DC, ma solo per creare le condizioni per scalzare la DC a tutti i livelli. e sostituirla con le sinistre unite (PCI + PSI). Negli anni successivi al centro-sinistra questa po· sizione lombardiana diverrà sempre più esplicita. Mentre il giudizio sulla DC sarà sempre più negativo, e individuerà in questo partito il vero nemico da battere («li vero carattere della DC - dirà - è quello di una forza di mediazione fra il capitalismo avanzato e gli interessi parassitari e arretrati ... È proprio questo ruolo di mediazione che fa strutturai• mente della DC un partito conservatore»); per con• verso il giudizio sul PCI sarà sempre più positivo, e se gli rivolgerà delle critiche, saranno critiche «da sinistra». Riccardo Lombardi, infatti, non ha mai condiviso la proposta berlingueriana del «compromesso storico». In questa politica egli ha visto una specie di resa delle sinistre, una rinuncia a far saltare il «sistema». E si è sempre battuto, coerentemente, per I' «alterna• tiva». In un'intervista a «La Repubblica» del 19 maggio 1976, dichiarò: «Una cosa deve essere perfet· tamente chiara, una volta per tulle: noi socialisti non parteciperemo più a nessun governo che abbia il PCI all'opposizione». E ancora: «li nostro obiettivo deve essere un governo senza la DC, anzi con la DC all'of)posizione». Merita di essere rilevato che in questa concezione lombardiana il PSI perde ogni autonomia e viene appiattito sul PCI al punto da assumere solo e soltanto il ruolo di portatore d'acqua del grande fratello. Come risulta appunto dalla suddetta intervi• sta, nel corso della quale Lombardi dichiarò tranquil• lamente: «li nostro (del PSI) è soprattutto un ruolo di promozione. Occorre favorire la svolta, cioè l'alter• nativa di sinistra, il governo delle sinistre. L'altra 5

funzione dei socialisti è quella di cerniera e di garanzia,,. In altre parole, il ruolo del PSI è per Lombardi solo quello di preparare il terreno al PCI e di «garantirlo• presso quei settori di opinione pubblica che abbiano ancora delle diffidenze (ingiustificate) verso di esso. Ingiustificate, perché, secondo Lombardi, il PCI ha già portato a termine il processo di revisione ideologica e politica; e all'intervistatore che gli chiede: «nessuna condizione, quindi, per stare insieme?•, risponde: «No, io almeno non ne pongo. Tranne quella, implicita, che il PCI resti un partito autenticamente democratico•. Si capisce come la polemica scatenata nel 1978 da Craxi contro il leninismo, il centralismo democratico ecc. del PCI, abbia colto Lombardi del tutto impreparato, e lo abbia visto silenzioso e appartalo. Tutte queste cose ci sono venute in mente leggendo il resoconto del discorso di Lombardi al congresso nazionale dei giovani socialisti (sul «Corriere della Sera• del 20 gennaio). In questa occasione egli ha indicato a un'assemblea delirante di entusiasmo alcuni obiettivi di grande misura e realismo, e chiaramente non massimalistici: per es., che oggi occorre cambiare subito la vita, perché le trasformazioni tecnologiche sono in grado di liberare l'umanità dalla schiavitù del lavoro produttivo. E con ciò il vecchio Lombardi ha dato il proprio fattivo contributo, in un momento così delicato per la nostra economia, all'aumento della produttività del lavoro. Inoltre Lombardi ha inneggiato al '68, facendo una rivalutazione delle parole d'ordine di quel periodo. Per precisare il suo pensiero, dice il «Corriere•, Lombardi ha detto: «lo sono un patito del '68 e non mi farò mai persuadere che quegli anni sono la spiegazione dei fenomeni terroristici di questi anni•. Che proprio nel '68 la sinistra extraparlamentare abbia elevato l'intimidazione. la soprnffazione e la violenza a metodi di lotta politica, è un'idea che non lo sfiorn nemmeno. Così come non gli passa per la lesta che la •democrazia» sessantottesca fosse una democrazia carismatica e peronistica, senza alcun rispetto e senza alcuna tutela per i dissenzienti e per le minornnze. E come meravigliarsene? Quello che caratterizza il pensiero lombardiano è una completa insensibilità per i problemi della democrazia politica, RICCARDO LOMBARDI 6 e una concezione un po' maoistica e un po' goliardica della democrazia sociale. Ha ragione il giornalista del «Corriere della Sera,.: da quanto Lombardi ha detto ai giovani socialisti, si è compreso che con questo presidente il PSI avrà un nuovo impulso ideologico e che non sarà facile arrivare a mediazione politiche con gli altri partiti. P.S. «La Repubblica• del 27 gennaio pubblica un'altra intervista del presidente del PSI, nella quale egli ribadisce le posizioni già note: sul piano internazionale, l'equidistanza dai blocchi e una scelta neutralistica; sul piano interno, una piena adesione alla linea del PCI, col quale si fa intravedere addirittura una possibile e imminente unificazione. Ma se le cose stanno così, Lombardi dovrebbe spiegare perché mai in futuro si debba votare per il suo partito e non per il PCI. Forse solo perché il PSI è più piccolo, ha un'organizzazione più sgangherala, e qualche suo dirigente di primo piano è coinvolto in scandali e in brutte storie? Sarebbe davvero una bella pretesa! Giuseppe Betkschi COMUNISTI Una Rosa . senza spine kroNJO GRAMSCI È STATO, FORSE, L'ULTImo grande intellettuale comunista che ha proposto, con estremo rigore, una concezione totaliu.ante della società e del partito. Ma già in lui, alle prese con i problemi delle complesse e frantumate società occidelllali, l'indubbia ispirazione leninista entrava in contraddizione con autentiche esigenze di matrice liberale. Gramsci non è il monolite totalitario di certe interpretazioni scopertamente polemiche. Certo è che Gramsci non basta pi,ì: sulla via della laicizzazione integrale, il Partito comunista è costretto a lasciarsi decisamente alle spalle il suo padre fondatore e con lui anche coloro che, nell'immediato dopoguerra, vollero dar vita al ,partito nuovo». Possiamo considerare concluso questo processo "revisionistico" oc' è ancora parecchia strada da percorrere? Ciò che oggi separa i comunisti italiani dalla vasta area libera/socialista non è tanto il giudizio su singoli eventi politici ed economici (le convergenze tendono, anzi, a farsi più numerose), quanto la diversità, che ancora persiste.fra una cultura (quella liberale e socia/riformista) che ha definitivamente e laicamente bruciato ogni illusione su ipotetiche rifondazioni sociali, e una cultura (quella comunista) che ancora si attarda in concetti ed atteggiamenti di derivazione religiosa. Si prenda, a questo proposito, la tavolta rotonda che «Rinascita» del 25 gennaio ha organizzato a conclusione di 1111 lungo dibattito sul rapporto intellettuali-partito: di fronte ad Asor Rosa che denuncia apertamente la crisi irreversibile del partito-demiurgo, del partito che ha una risposta per 111110, c'è chi, come Natta, sembra rimpiangere l'egemonia di gramsciana memoria e invoca la necessità di una battaglia culturale gestita direttamente dal partito. 5 FEBBRAIO /980

D'altra parte, lo stesso Asor Rosa contrappone alla «cultura del 'emergenza», in cui i comunisti si sarebbero impaludati, una non ben precisata «cultura della trasformazione», che rischia di ridursi, se non si definiscono con esatteu.a obiettivi e strumenti, a una pura esortazione retorica e moralistica. C'è sul marxismo un'osservazione di Freud che merita di essere riportata: «benché il marxismo pratico - diceva lo scienziato viennese - abbia fatto inesorabilmente piau.a pulita di tutti i sistemi idealistici e di tutte le illusioni, ha generato a sua volta illusioni che non sono meno discutibili e gratuite delle precedenti». Freud non esitava a parlare di «misconoscimento idealistico della natura umana». Quando si parla di pragmatismo della cultura politica occidentale, s'intende dire esattamente questo: che essa è giunta, senza più rimpianti e velleità pseudo-umanistiche, a porsi i problemi nella loro concretezza e specificità, e a cercare di risolverli tenendo conto delle oggettive necessità tecniche. Si tratta anche in questo caso di una mistificazione ideologica? Può darsi, ma i teorici di una «cultura della trasformazione» debbono a questo punto, spiegarci in che cosa precisamente questa cultura consiste e qual' è la reale ipotesi politica che lefa da spina dorsale. Potremmo anche, alla fin fine, trovarci d'accort.!o. Paolo Bonetti ALBERTO ASOR ROSA COSTITUZIONE Immunità e arroganza NeL NOSTROPAESE u REALIZZAZIONEDI riforme che arrestino la degradazione delle istituzioni e della convivenza civile, introducendo una maggiore giustizia fra gli individui, i ceti e le classi, è resa difficile dalla presenza di un forte Partito comunista, che sino a ieri ha avviato entro il miraggio della rivoluzione una gran parte della classe operaia, e oggi, per collaborare alla sopravvivenza del sistema, chiede di essere messo in grado di prepararne una morte graduale e indolore dall'interno del governo. Esistono tuttavia riforme che, se venissero proposte con forza anche da pochi deputati non comunisti, il ILLEVIATANO PCI non potrebbe decentemente contrastare e insabbiare. Seppure insufficienti a riparare ai guai peggiori, esse servirebbero a ridare speranza al Paese, qualificando positivamente di fronte all'opinione pubblica le forze che si oppongono al disegno comunista. In casi come quello dell'immunità parlamentare, il PCI non può invocare la sua mancata presenza al governo, i partiti laici non possono nascondersi dietro l'alibi comunista. Perciò, se, anche dopo l'ultimo episodio, nessuno provvede, tutti dimostreranno di avere assai poco a cuore le sorti della democrazia. Di valutarle assai meno dei più insostenibili tra i propri interessi corporativi. Sarebbe questo un indice della mancanza di una seria volontà di arrestare la marcia al disastro, tanto più preoccupante, quanto più la questione è in sé marginale e facilmente risolvibile. L'episodio del deputato che investe e manda all'ospedale una donna, rea di aver fatto il suo dovere di vigile urbano, si presta a sconsolanti analisi di costume. Ma non è questo che ora ci interessa. E neppure vogliamo prendere in esame la credibilità della versione dell'incidente che, per attenuare l'impatto della notizia sull'opinione pubblica, l'interessato ha messo immediatamente in circolazione, come era prevedibile. Certo, ad astenerci dal prendere posizione in merito alla colpevolezza o meno, ci induce la volontà di rispettare scrupolosamente la norma che esige la presunzione di innocenza fino ali' emissione della sentenza. Ma nella stessa direzione ci spinge con ancor maggior forza la convinzione che questa volta, alimentando la solita intempestiva polemica tra innocentisti e colpevolisti, si perderebbe un'occasione preziosa per denunciare di fronte all'opinione pubblica quelli che sono due veri colpevoli, infinite volte recidivi: la normativa sull'immunità parlamentare e la prassi mafiosa con cui essa viene solitamente applicata. · Mentre tanti altri episodi la cronaca neppure li ha registrati, quest'ultimo, per la brutalità selvaggia e gratuita in cui in un primo momento è indiscutibilmente apparso, e per esserne stata vittima una donna nell'esercizio di una funzione fino a non molto tempo fa riservata ai soli maschi, ha fatto suonare un campanello d'allarme di cui si deve approfittare subito, senza bisogno di attendere il verdetto circostanziato dei giudici, se mai ci sarà, per discutere quanto di scandaloso è già sotto gli occhi di tutti: il fatto che un cittadino, indiziato di un reato ignobile, sfugge, se deputato, all'arresto immediato, in deroga all'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Crediamo che neppure sia il caso di spendere molte parole per dimostrare che non era per ottenere questi risultati di basso corporativismo, che è stato originariamente concepito l'istituto dell'immunità parlamentare. Si trattava di mettere i rappresentanti della nazione al riparo di eventuali persecuzioni dell'esecutivo, in un'epoca in cui l'istituto parlamentare era nuovo e nuove erano le libertà di pensiero e di parola; il potere giudiziario dipendeva ancora da quello esecutivo, mentre la prassi che fa dipendere i governi molto di più dalla fiducia delle Camere che da quella di un capo dello Stato, a sua volta eletto dal parlamento, non esisteva o non era ancora saldamente affermata. Tutte condizioni che oggi sono cambiate radicalmente. Il capo dello Stato, il governo e il potere giudiziario, per quanto ciascuno autonomo dall'altro nell'esercizio della propria funzione, non si trovano nessuno completamente al di sopra e al riparo del controllo delle Camere. I membri di queste ultime non hanno perciò di che veramente temere 7

che l'esercizio delle loro funzioni possa essere in qualche modo ostacolato dall'esecutivo tramite la manovra di quello giudiziario. In questo senso l'immunità parlamentare è un istituto arcaico, che potrebbe tranquillamente morire, anche perché l'esperienza dimostra che in presenza di un governo che volesse davvero andare oltre la Costituzione e ne avesse la forza, essa non servirebbe assolutamente a nulla. Ad evitare anche qui una discussione inutile, che distoglierebbe dall'obiettivo urgente di ridare dignità all'istituto parlamentare di tronte all'opinione pubblica, consentiamo tuttavia alla sopravvivenza dell'immunità parlamentare, ma nel solo esercizio della funzione, e quindi per opinioni espresse dentro e fuori l'Aula. La sua estensione ai reati comuni, un tempo giustificata dal timore che l'esecutivo potesse ricorrere perfino ad imputazioni del tutto inventate pur di disfarsi di oppositori fastidiosi, deve invece cadere per intero. Al più si può consentire che il presidente della Camera, o del Senato, assistito in questo da consulenti legali, possa decidere che un parlamentare sottoposto a giudizio come un qualsiasi altro cittadino per un determinato reato venga assegnato ad altro giudice, da determinarsi con procedura ad hoc, qualora nel corso dell'istruttoria, e su domanda dell'interessato, ci fosse motivo di sospettare che il giudice «naturale precostituito per legge» possa non essere insensibile ad un'ostilità preconcetta verso l'inquisito o verso la parte politica cui egli appartiene. Se ci si volesse ostinare a voler lasciare alle Camere, attraverso le apposite commissioni per l'autorizzazione a procedere, la facoltà di ricondurre l'applicazione della norma nell'ambito della decenza, si darebbe prova di ottusa insensibilità di fronte al discredito che sta corrodendo le istituzioni. Passata l'emozione sollevata dall'ultimo episodio, non ci sarebbe infatti nessuna ragione per credere che i parlamentari di tutti i ·partiti, fieramente avversi magari gli uni agli altri in sede politica, non tornassero comodamente a lavarsi reciprocamente le mani, come hanno fatto finora. Sarebbe nostra speranza che l'iniziativa di una proposta di modifica dell'immunità parlamentare nel senso che si è detto partisse da uno dei partiti ai quali va manifestamente la nostra simpatia e il nostro voto, meglio addirittura se da tutti insieme con azione concertata. Non mancheremmo tuttavia di esprimere la nostra soddisfazione se un qualunque parlamentare, di qualsiasi parte politica, dimostrasse di non essere sordo alla protesta che viene dal Paese contro un costume corporativo che non è più tollerabile e che fa il gioco solamente dei nemici delle istituzioni. Domenico Settembrini INTERNAZIONALISMO Le· chiavi di Pietro NoN C'È ACCADIMENTO, PER QUANTO SEMplice e lineare, che non abbia cause e radici complesse e lontane. Lasciate cadere una tegola dal 8 quinto piano: quale meraviglia di fenomeni fisici in un evento così banale! La forza di gravitazione universale, la resistenza dell'aria, l'influenza della rotazione terrestre: tutto l'immenso universo sembra dare il suo concorso alla riuscita di quel minuscolo evento. E però, prendete il caso di un uomo che si trovi in strada proprio mentre quella tegola gli cade sulla testa. Quell'uomo potrà cadere svenuto, potrà imprecare, potrà denunciarvi per lesioni colpose o volontarie, potrà precipitarsi su per le scale per picchiarvi, potrà, filosoficamente, lasciar correre e prendersela col destino. Tutto farà meno che interrogarsi sulle leggi del 'universo da cui dipende il bernoccolo che gli è spuntato. A meno che quell'uomo non sia Pietro Jngrao. Nel qual caso, al passante che gli domanderà: «Onorevole, che le è successo? Si è fatto male? Ha bisogno d'aiuto?», /'ex-presidente della Camera risponderà: «Stia attento: a lei sembra che mi sia caduta una tegola sulla testa. Ma le cose non stanno propriamente così. Noti bene questo: si fa presto a dire tegola. Ma lei si rende conto esattamente di che cosa parla quando dice "tegola"? Caduta? Badi: non sia "astratto", per così dire. Il nodo della discussione è un altro•; e continuerà così per qualche minuto fino a quando non si accorgerà che il passante, nel frattempo, lo ha lasciato col suo bernoccolo ed è sgattaiolato dietro l'angolo: per un momento aveva pensato di essere inadeguato a capire tanta profondità; poi, semplicisticamente, aveva riflettuto sul fatto che, dopotutto, l'onorevole aveva picchiato proprio la testa. Come se gli fosse caduta una tegola in testa, dunque, /'onorevole Jngrao (in un'intervista su «Rinascita» del 25 gennaio) suggerisce complesse chiavi interpretative a un avvenimento, l'invasione russa del 'Afghanistan, di lampante chiarezza. Alcuni compagni, dice lngrao, alludendo ad Amendola, ragionano così: « li mondo oggi è diviso in due campi; non si può essere neutrali; bisogna schierarsi; anche se può 11011 piacerci, si sta con il campo dei paesi socialisti». Ragionamento che a noi sembra limpido ed esemplare, anche se naturalmente rovesciabile nella conclusione. Bisogna schierarsi: anche se può non piacerci, noi stiamo con il mondo occidentale. (Una posizione, quest'ultima - noti bene l'amico Sca/fari -, di cui nel PCI, per bocca di lngrao, non c'è nemmeno l'odore). lngrao invece obietta «che questa posizione 11011 coglie la realtà». Per Jngrao, abbiamo «bisogno di una cultura capace di cogliere la complessità dei processi, l'intreccio delle stratificazioni sociali. Lo schema dei due campi non spinge in questa direzione•. li modo di ragiJJnaredi Pietro lngrao è il prodotto, a suo modo tipico, di un costume politico caratteristico del Partito comunista - e del personaggio in particolare-, che consiste ne/l'avvolgere i problemi concreti nel quadro di una storia del mondo in cui si incrociano, in w1 continuo ribollire, movimenti, masse, lotte avanzate, che permettono sempre di guardare con fiducia all'avvenire, anche se coscienti dei pericoli e delle insidie del presente. Non che questa prosa mitica sia una caratteristica costante del nostro personaggio; ma lo è quasi sempre, e lo è in particolare quando occorre dare un colpo al cerchio, dopo averne dato 11110 alla botte. li colpo alla botte, nel caso specifico, consiste nelle dichiarazioni di condanna del 'invasione russa del 'Afghanistan, dichiarazioni che hanno sollevato numerose perplessità in vasti strati del partito, e 5 FEBBRAIO /980

delle quali si sono fatti interpreti, tra gli altri, Giorgio Amendola, appunto, e Franco Rodano. Il colpo al cerchio è proprio l'intervista di Ingrao, che ha lo scopo per un verso di ribadire l'attualità della «terza via» eurocomunista e tranquillizzare il partito che ci si muove sempre nel campo del/' antimperialismo, del movimento rivoluzionario mondiale e del- /' internazionalismo, anche se di nuovo tipo; e per altro verso di far rientrare dalla finestra ciò che si è cacciato dalla porta. Trattandosi di un discorso rivolto prevalentemente ali' interno del partito, il linguaggio risulta dunque più mitico e allusivo che logico ed esplicativo. Ma per la parte che si presta ad essere tradotta in linguaggio comune, occorre dire che lascia trasparire sprazzi assolutamente sconcertanti. In tutta I' intervista, per esempio, non viene fatto alcun cenno alla strategia che ha guidato l'offensiva sovietica in questi anni, prima in Africa, poi in Asia, per culminare ne/l'invasione dell'Afghanistan; si ragiona invece con assoluta serietà delle «forme insidiose e articolate con cui gruppi imperialistici e correnti oltranziste americane reagiscono alle novità mondiali» e delle «ristrutturazioni con cui le multinazionali stanno riproponendo la loro penetrazione nelle periferie mondiali». Di fronte ad affermazioni di questo tono, il lettore ignaro non sa se sta sognando, se sta leggendo la storia favolistica di un altro mondo o invece se ha di fronte uno dei tanti bollettini ciclostilati che il «movimento armato» fa trovare periodicamente per spiegare la sua visione del mondo. PIETRO INGRAO diamo conto della perdita secca, del danno che rappresenta, se passa sulla testa della gente una simile "omologazione"?,. Ma non è tutto. A un intervistatore che gli chiede se non siano in errore coloro che finiscono per mettere «sullo stesso piano• USA e URSS, lngrao risponde: •Ma è vero o no che l'intervento sovietico in Afghanistan favorisce quest'errore, aiuta proprio coloro che sostengono che URSS e USA sono la "stessa cosa", e cioè "imperi uguali"? Ma ci renInsomma, nel Partito comunista ci sono due correnti: quelli che, come Amendola, prendono atto, realisticamente, che il mondo è diviso in due campi e si schierano con i «Paesi socialisti»; e quelli che, come Jngrao, a parole non si schierano, ma vedono con orrore il fatto che qualcuno possa pensare che l'URSS sia imperialista come gli Stati Uniti. C'è proprio di che far cascare le braccia al più fervido sostenitore della unità nazionale o del compromesso storico. I FASTI D'ITALIA I di Venerio Cattani Galbusera e Michelin Michelin ha regalato ai propri dipendenti di Torino 250.000 lire a testa. 250.000 per 14.000 fanno tre miliardi e mezzo: una buona stecca. Ed ecco le reazioni del sindacato, come descritte da «Repubblica•, che sta diventando un foglio ogni giorno più delizioso. «È un provocatore•; «gli riserveremo un trattamento particolare: più scioperi e più duri•; dice il Vlgevani, segretario generale dei chimici. «Ancora una volta Mlchelin scaJ. valca il sindacato•, osserva «irritato• Il Galbusera, altro Premio Nobel delta ~blmlca. Padrone paternalista e ciccioso, ammasso di gomme a strisce, «misantropo despota•: come osi regalare al tuoi dipendenti un quarto di milione, senza che prima abbiano sputato Il sangue e il IL LEVIATANO salario in qualche centinaio d'ore di scioperi, assemblee, picchettaggi e ginnastiche varie? E senza prima dirlo al Galbusera? Non hai capito quanto stanno avanti gli operai italanl rispetto al pantofolai francesi di Clermont Ferrand? I torinesi non Yivono, no, di sporca mercede: ma di controllo deUe informazioni, di impegni per il Mezzogiorno, di salubrità dell'aria e del «modo nuovo• di fabbricare la gom• ma. Operai di Torino e di Cuneo, su con la schiena! Rifiutate il miserabile obolo di Françols Michelin. Per 250 mila lenticchie, non dovete perdere, come Esaù, la vostra primogenitura. Riman• dategliele al Galbusera, che come racconta • La Repubblica• è andato in orbita, e ha bisogno di una prova, di solidarietà. La polpa alle Bermude Le cose, invece, vanno bene alla FIAT. Nel 1979, ha rimesso 100miliardi (ulf'tciali, più i sottufficiali) e ha prodotto 200 mila auto in meno. Il PCI è volato immediatamente al soccorso di Agnelli. Il •soccorso rosso• funziona ancora. Agnelli ci rimette? Bene, paghino la differenza gli italiani, come per l'Alfa Romeo. La disparità di trattamento non è ammessa dall'art. 3 della Costituzione. In più «La Repubblica• lancia la notizia di una seconda Togliattigrad. Gli operai russi lavora• no a cottimo, e non sanno né di Pasqua né di Natale: ci penseranno loro a fare 200 mila macchine in più, per compensare le 200 mila in meno dei torinesi. Splendido esempio d'internazionalismo proletario. Ecco perché Carli e Agnelli vogllono i comunisti al governo. Carli, Agnelli, Pirelli, Perrone, Rizzoli, Bassetti e compagnia, stanno lavorando da dieci anni per il PCI. Hanno un programma semplice, ma luminoso: lasciare lo scheletro in Italia e portarsi ta polpa alle Bermude. 9

MOSCA 1980 Carter o Mennea? mente sono in sostanza più efficaci: l'arresto della vendita di grano, di tecnologie specializzate, la rottura di certi accordi commerciali, la mancata ratifica del Salt 2 sono misure di non trascurabile incidenza. LA PROPOSTA DI CARTER DI BOICOTTARE le Olimpiadi di Mosca dovrebbe, a nostro parere, essere attentamente valutata con un'analisi dei costi e dei benefici. V'è da rilevare anzitutto che ben più incisive contromisure nei confronti dei sovietici potrebbero essere prese, e che anche alcune delle «ritorsioni» già decise da Carter appaiono meno plateali, ma probabilTuttavia, lo sforzo finanziario, politico e di mobilitazione civile per le Olimpiadi, che hanno fatto i russi e il vantaggio che il regime pensava di trame in termini di legittimazione politica interna e internazionale, sembrano indicare che una mancata oppure una parziale (senza la partecipazione americana) Olimpiade sarebbe uno smacco interno ed esterno, che potrebbe far riflettere l'opinione pubblica del Paese e colpirebbe l'orgoglio del regime e dei governanti, afflitti da un cronico complesso di inferiorità per la loro immagine internazionale. Molti commentatori si stanno però chiedendo se e fino a che punto i russi subirebbero costi 10 Perchéboicottarele Lucio Colletti Dalla parte di Sacharov C'è un modo di lntttpn,latt la crisi della dlslenslooe che tende a ripartire le ~ tn Est e 0.-tst la parti quasi eguali. Si condanm, c:ooì, l'iavasloat dell' Afgbaniotan, ma si c:oadanna, allo - modo, la dedoio- ... (per vari anni aD<Ora solo nrbele) di installare in alcuni paesi dell'~ occlckntale i missili Penhlng e i Cnd11e. Alla luce del dati di cui si può disporre attualmente, q.-0 modo di interpretare la crisi della dlltemiont appare, IOlto opl riparc!o, fuo e ~-La..,.._ di lllltallart la futuro ali turomloslli è oopnlYYmula dopo che, da tempo, erano sii materiabneate Installati sii SS 20 -,vldld. Altffttulo ml 1<111bra di< si debba dltt, in tema di ....-abilità .... crisi della dlsteuslon<, per sii altri !ICIICChleri moadlall. ID Asia, U Vldum ba invaso la Cambogia per CODto e coa la protnion< dell'URSS. ID Africa, truppe cubane e generali ,ovidld operuo da tempo in Angola e in Edopla. · Inutile parlare, Infine, di Aden e dello Yemen del Sud. L'lmpr...i.- danq• è quella di UD ,_ dinamkmo ......... 80lliltlco ,ovietico, u qule finora ... potuto tram vautaulo e iDceDthi dal- 'la aqllsema e dall'illen:la dlaNlrate Ila ll1li dalll Stati UulU d' Aaerica e dagli altri Ì'atsl otddeutall. t vero di< WU1 ripresa della distensione devt sian, a cuore a tutti. Ma penso che penislere nella vecdila uttica di mlnimlzzan, e llngere di nou vedere sud>be. la co,a più pericolosa. La dlslemlòue si necozla pollticamenle. Nou può,_.. rlsuJ. uto della disposizione di una delle due parti ad ÌIIC&1S8ff colpi dldro colpi, Yittandosi a priori qualsiasi ~- La politica di Monaco dovrebbe pure avere i-c,u,to qualcoa. AUa luce di tutto ciò ritenco che l'Italia dovrebbe accocliere e -nere la propCl9la di boicoUa1'e le Olimpiadi di MOICL La richiesta oltretutto viene daall ste9li dlAldeutl ,ovietld, da Sac,barov, da Plj~, da Bukovsluj, ecc., cioè da persone che banno sul conto dell'Unione Sovietica e della natura di quel regillle Idee molto più chiare e precise di quuto D011 mostrino di avtre Berlincu<r e soci. Rosario Romeo Unafesta inopportuna La proposu, di bolcoUart le Ollmpladl a me pare molto ~rativa ma poco coududenle in pratica. Ml_. bra dlffldle che, per q- via, si riaca a far cambiare polltlca all'Unio>- • Sovietica. Tanto più che, per ua 5 FEBBRAIO /980

effettivamente pesanti da un boicottaggio americano. Anzittutto è da rilevare che, finora, solo i governi dei Paesi anglosassoni hanno preso un atteggiamento nettamente favorevole al boicottaggio, mentre gli altri alleati della NATO non si sono pronunciati. Se gli europei (Gran Bretagna esclusa) dovessero alla fine assumere un atteggiamento difforme da quello americano e mandassero i propri atleti a Mosca, ciò darebbe ai russi l'impressione di un certo successo, in gran parte originato dalla stessa spaccatura dell'Occidente. Anche l'atteggiamento dei Paesi del «terzo mondo» è ancora tutt'altro che chiaro: è certo comunque che una buona parte di essi finirà per partecipare in ogni caso alle Olimpiadi di Mosca. Ma altre considerazioni, su questo argomento, si impongono ora, dopo la deportazione di Sacharov: se tutti i dissidenti più conosciuti verso, si prospetta la •sanzione olimpica•, ma per altro verso si pretende di continuare ad avere con la Russia rapporti commerciali e si continuano a concedere credili: non si inserisce insomma il boicottaggio delle Olimpiadi nel quadro di sanzioni più rigorooe e incisive. D'altra parte è vero che non si può ignorare quanlAI sia attadendo nel mondo in questi giorni e flngere di dimenticarlo nel momento in cui si decide di rare la gnm resta olimpica. Anche se, in generale, credo che lo sport debba essere separalo dalla politica; e a.ncbe se penso che i contatti tra la popolazione russa e i giornalisti e i turisti occidentali siano utili (non sono mai stati gli occidentali a rifiutare questi contatti: è staro Stalin che ha chiuso la Russia in una cortina di ferro); quando però si arriva a uno stato di tensione così elevala, quando insomma altrove si sia combattendo, mi sembrerebbe contraddittorio andarsene tutti a Mosca a festeggiare la pace e l'amicizia, come se, contempo... raneao-.enle, in Afghanistan e altro~e non stesse succedendo niente. In conclusione, nel quadro di una politica che intenda punire l'espansionismo sovietico • si propoop di far cambiare rotta ai governanti dell'URSS, anche il boicottaggio delle Olimpiadi potrebbe avere un senso. Ma limitarsi a questo, propugnare un isolamento civile del governo moscovita che viene contraddetlAI dai mille rapporti che vengono mantenuti sul terreno diplomatico, economico e politico rischia di far apparire il boicottaggio poco serio e, al limite, rischia di danneggiare perflno l'opposizione interna. IL LEVIATANO mettono in evidenza i danni che verrebbero arrecati al regime da un'Olimpiade dimezzata, altri parlano invece dei benefici che verrebbero da una maggiore circolazione di giornalisti e turisti occidentali e dai loro contatti con la popolazione, resi più facili dal numero imponente di arrivi previsti. Sul piatto della bilancia infine non può non essere messo anche il rischio che un eventuale boicottaggio non segni la fine, in generale, di questa importante manifestazione sportiva, con tutto quello che essa rappresenta come messaggio di pace e di fraternità tra i popoli. Anche se non si può non considerare che questa manifestazione aveva in larga parte perduto l'originario messaggio e si era trasformata in un gigantesco «business», di cui gli sportivi più seri sentono, in ogni caso, la necessità di un ridimensionamento. In conclusione, la decisione di boicottare le Olimpiadi appare controversa, anche perché tutte le possibili alternative: spostarne la sede, far svolgere le Olimpiadi contemporaneamente in luoghi differenti, mandare gli atleti a titolo personale invece che in rappresentanza delle rispettive nazioni, appaiono difficilmente realizzabili per questa Olimpiade. L'idea, per esempio, di collocare permanentemente e definitivamente le Olimpiadi in una sede neutra, come potrebbe essere la Grecia, per i motivi storici che sono alle origini dei giuochi, in altre circostanze avrebbe anche potuto aver corso; ma in questa contingenza politica apparirebbe ai sovietici assolutamente equivalente al boicottaggio puro e semplice. 11

ESTERI DISSENSO Oltre lo sgomento NEL DARE LA NOTIZIA DELL'ARRESTO DELLO scienziato Andrej Sacharov, la rivista del PCI, «Rinascita» pubblicava un breve corsivo dal titolo Un senso di sgomento. Nell'articolo venivano ribaditi i noti atteggiamenti di condanna delle «violazioni della legalità» da parte delle autorità sovietiche, ai quali ormai la stampa comunista italiana ci ha abituato in questi ultimi anni. Pur apprezzando, come è evidente, il valore di principio che assume la condanna dell'arresto da parte dei dirigenti comunisti italiani, come anche di altri dirigenti comunisti dell'Europa occidentale, occorre tuttavia sottolineare che questo atteggiamento rischia. a lungo andare. di trasformarsi in un alibi nei confronti del problema delle repressioni in Unione Sovietica e delle condizioni all'interno delle quali esse vengono a determinarsi. Non è ragionevole continuare a stupirsi e a condannare le scelte compiute dalle autorità sovietiche, rimproverandole poi di danneggiare con questi loro «errori» l'immagine dell'Unione Sovietica. del socialismo e della distensione nel mondo. Non è ragionevole rifiutarsi di mettere in fila i tasselli del quadro che sta davanti agli occhi di tutti e pretendere invece di tenerli separati, come se la storia ricominciasse ogni volta. Non è ragionevole indignarsi ogni volta contro chi invece cerca di tirare le somme di quello che succede, non tanto, si badi bene, per partire per impossibili e anacronistiche crociate, quanto per sapere con chi si ha a che fare e potersi quindi regolare di conseguenza. Non è ragionevole insomma continuare a parlare di errori e violazioni, come se essi nascessero per caso all'interno di un corpo sano: bisognerà pure un giorno decidersi a guardare il bubbone che li sostiene. Detto questo per le reazioni di casa nostra, occorre aggiungere qualche parola sul fatto in sé. Le repressioni interne sono sempre state un termometro della politica sovietica. È una tradizione sovietica considerare i propri cittadini degli ostaggi da impiegare nel momento più adatto; i dissidenti poi, o gli esponenti delle minoranze etniche o religiose sono i primi di questa «ideale» lista di ostaggi. L'arresto, l'espulsione, il confino, sono tutti messaggi che il potere invia al resto della popolazione o all'esterno. Qual'è stato in questo caso il messaggio che i sovietici hanno voluto inviare? La scelta del personaggio (il più importante e famoso esponente del dissenso, amico personale di alcuni dei principali leader politici occidentali), le sue recenti posizioni (Sacharov per primo in URSS aveva preso posizione contro l'intervento in Afghanistan), il momento dell'arresto (subito dopo la reazione a catena determinatasi in Occidente di fronte all'invasione afghana), 12 ANDREI SACHAROV tutto questo ha reso particolarmente complessa l'interpretazione della decisione delle autorità sovietiche. Senza pretendere di poter dare risposte definitive, si può però fissare qualche punto: a) all'interno della dirigenza sovietica e dei managfr, tra i quali Sacharov e il vice-primo-ministro Kirillin (appena rimosso) avevano seguito, il messaggio indica chiaramente che ci si muove ormai su una strada di mobilitazione che non lascia spazio agli incerti: bl questa mobilitazione probabilmente si accentuerà parallelamente alle difficoltà che le reazioni occidentali creeranno all'URSS, secondo la vecchia ricetta staliniana; c) nei confronti dell'esterno la decisione ha chiaramente il significato di una sfida aperta e calcolata, una prova di forza di fronte alle reazioni occidentali che spinge gli interlocutori alla rottura o al cedimento: o con il «guerrafondaio» Carter o con la «distensione» sovietica; d) nei confronti dei Paesi satelliti il messaggio suona come un duro ammonimento per ogni possibile tentazione o incertezza. Sono solo alcuni dei possibili significati dell'arresto di Sacharov. fatto seguire all'invasione dell' Afghanistan. ma occorrerà ragionarci sopra rapidamente e con attenzione, perché dall'interpretazione che ne daranno gli esperti dipenderà l'efficacia della risposta che l'Occidente saprà dare all'Unione Sovietica. JUGOSLAVIA Eccessivi i timori per il dopo-Tito DA ALMENO UNA DECINA DI ANNI IN QUASI tutto il mondo occidentale - e specialmente in Italia -diplomatici, uomini politici, giornalisti, osservatori di politica internazionale si pongono la medesima domanda: cosa accadrà in Jugoslavia dopo Tito? La coincidenza tra la grave malattia del presidente jugoslavo e la crisi internazionale che angoscia i nostri 5 FEBBRAIO /980

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