Il Leviatano - anno II - n. 3 - 29 gennaio 1980

RICCARDO LOMBARDI resto in tutta la sua storia) il dramma del PSI è stato il contrapporsi al suo interno di due «anime», quella riformistica e quella massimalistica. La contrapposizione si è riprodotta continuamente attraverm lacera1ioni e ~ci~sioni. e ~i riproduce og)?i. Si produsse in un recente passato fra l'ala che doveva poi dar vita al PSIUP e l'ala autonomista; si è riprodotta poi fra quell'ala sedicente autonomista che concepiva le riforme come strumenti per far «saltare» il sistema. e l'ala che le concepiva invece appunto come riforme, cioè come miglioramenti e razionalizzazioni del sistema. È un fatto che in questo dopoguerra il gruppo dirigente del PSI non si è mai trovato unito e amalgamato nello sforzo di elaborare una «cultura di governo»,'cioè una cultura e una politica riformatrice sì. ma all'altezza della complessità di una società industriale e al tempo stesso all'allena di una scelta di cnmro occidentale che un rartito socialista democratico non avrebbe mai dovuto rinnegare. Per quanto possa sembrare paradossale, proprio in ciò anche i comunisti più intelligenti hanno individuato le ragioni del declino socialista. Amendola, per IL LEVIATANO es., tempo fa ebbe ad osservare (su «Rinascita», 1977, n. 18) che è sempre mancata «una teoria generale socialista», intesa non come chiuso sistema dottrinario, ma come originale metodo di ricerca e come interpretazione storica della realtà italiana, capace di affermarsi nel confronto con l'elaborazione e l'analisi espresse dal PCI. È mancata insomma, diceva Amendola, una cultura socialista, omogenea nei suoi tratti essenziali, distinta da quella comunista e capace di stimolarla criticamente e di contrastarne utilmente la crescente egemonia nel movimento operaio e poi nella società italiana. La mancanza di una cultura socialista ha reso difficile e alla lunga impossibile la formazione di un gruppo dirigente socialista unito e prestigioso. E recentemente Paolo Spriano ha osservato (sul n. 2 di «Rinascita») che questo tentativo fu fatto da Nenni nel 1956 e nei due anni seguenti, raccogliendo un certo numero di intellettuali impegnati in un progetto di riforma della società italiana che si collocasse all'altezza delle novità economiche e tecnologiche (si pensi a riviste come «Passato e presente», «Ragionamenti», ecc.). Senonché. osserva Spriano. questo tentativo fallì, e non solo per gli ostacoli frapposti dal PCI. ma a causa di una parte stessa dell'intellettualità socialista, la quale, da Panzieri a Basso, si mosse nell'ambito di una critica «da sinistra», cioè sterilmente massimalistica, della società italiana. Oggi - dice giustamente Spriano - «è cresciuta molto un'area di intellettuali e tecnici socialisti, ma un errore che si compie al suo interno è di non richiamarsi più a una tradizione del socialismo italiano, che ha nel riformismo un suo punto fermo». E qui tocchiamo il punto dolente di tutta la questione. li PSI è drammaticamente diviso, ma non solo per i meccanismi perversi m'essi in rilievo da Amato, bensì per il riproporsi del conflitto fra le due anime presenti da sempre al suo interno: quella massimalistica e quella riformistica. Nel ricostituirsi di questa «incoscienza infelice» del PSI, i chierici, cioè gli intellettuali socialisti, hanno responsabilità gravissime. Essi non sono quindi semplicemente, come vorrebbe Amato, delle vittime e dei grandi esclusi. La maggior parte di loro ha cavalcato infatti la tigre massimalistica, propugnando di volta in volta slogan e «soluzioni» ispirati a un visionarismo infantile e a un utopismo d'accatto. li superamento del capitalismo, la transizione, la terza via, l'abolizione della divisione del lavoro. l'autogestione, ecc., sono stati di volta in volta i pezzi forti di un vero e proprio museo delle cere dell'ideologia. Ciò ha impedito l'elaborazione di una seria e complessa «cultura di governo», e ha dato fiato all'ispirazione massimalistica del partito. Uno dei guasti più gravi del PSI è da cercare proprio in questo ruolo negativo esercitato dagli intellettuali. Con ciò non voglio assolvere l'apparato. Esso è quello che è. Ma è troppo comodo ridurre tutto ad esso. li

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