Il Leviatano - anno II - n. 3 - 29 gennaio 1980

3 500 lire ILLEVIATANO settimanale di commento politico ··-•-- Non c'è sulla Terra chi sia L'arte imita quel razionale e più eccellente lavoro della natura che è l'uomo. Poiché con l'arte è creato quel gran Leviatano, chiamato Stato (in latino civit3sJ, il quale non è che un uomo artificiale, benché di maggiore statura e fon.a del naturale, per la prouzjone e difesa del quale fu concepito. ~periore al Leviatano, il quale è fallo per non avere paura: egli guarda in faccia tulio ciò che è eccelso, egli è re su tuue le creature più supubr (Giobbe, XLI. 25-26) li grande Leviatano è quell'unica creatura al mondo che dovrà restare senza ritraili sino alla fine. Questo leviatano ci scende addosso, dibaltendosi dalle fonti del/' Eternità. (H. Melvillc. Moby Dick, capp. LV. CV) in questo numero: (f. Hobbes,. Leviatano, Introduzione) E quante nature poetiche non ho incontrato a/fallo? E quante ne hai .strangolate tu nel corso di questi decenni, maledetto Leviatano? (A. Solzenicyn. Arcipelago Gulag. V, 5) Un esule dell'Est in Cina Intervista con Jiri Pelikan Bedeschi sull'intellighenzia socialista Martino sulle colpe dei «padroni» I socialisti verso il suicidio? I democristiani olimpionici del potere Chi avrà in mano l'organizzazione del PSI? Il ritorno di Indira Gandhi - Scuola e terrorismo Sempre più approfondito il pensiero di Eugenio • Collaboratori: GIOVANNI ALOOBRANDINI. GIUSEPPE ARE. DOMENICO BARTOLI. GIUSEPPE BEDESCHI, ENZO BETTI· ZA, PAOLO SONETTI. LUCIANO CAFAGNA, VENERIO CATTANI, LUCIO COLLETTI, VEZIO CRISAFULLI, RENZO DE FELICE. PAOLO DEMARTIS. CELSO DESTEFANIS, SIRIO DI GIUUOMARIA, GIANNI FINOCCHJARO. ALDO GAROSCI. PIER CARLO MASINI, NICOLA MAITEUCCI. RENATO MIELI, SANDRO PETRICCIONE, ALDO G. RICCI. GUIDO RILLl:TTI. ROSARIO ROMEO. ALBERTO RONCHEY, DOMENICO SETTEMBRINI, GIUSEPPE TAMBURRANO. PAOI.O UNGARI, GUELFO ZACCARIA. Direttore responsabile: GIULIO SA.VELLI 19 gennaio 1980

EDITORIALE • • • con tutti i filistei TRA IL CONGRESSO DEL PARTITO SOCIALdemocratico e il Comitato centrale socialista. che si svolgevano in concomitanza. la stampa ha scelto di dare più spazio a quest'ultimo. A ragione, secondo noi. Perché il congresso socialdemocratico, che pure ha presentato non pochi elementi di interesse. ai fini della questione centrale del momento politico attuale, quella della partecipazione dei comunisti al governo, non ha fatto che ribadire - con la forza che proviene dall'essere stata confermata dalla massima istanza dell'organizzazione - la posizione che già si conosceva: e cioè che i socialdemocratici non intendono, come d'altra parte i liberali. partecipare a un governo con i comunisti. Diversa era invece l'attesa per le conclusioni del Comitato centrale socialista: e ciò non solo perché, senza i socialisti. non c'è governo stabile che, con l'attuale composizione parlamentare. si possa costituire; ma anche perché la profonda divisione interna del PSI, e l'equilibrio tra le sue diverse tendenze, non consentivano di prevedere quale ne sarehbe ~tato l'esito. La conclusione dell'assise del PSI, lo diciamo subito, a noi sembra non aver chiarito fino in fondo l'atteggiamento del PSI, anche se, innegabilmente, l'opposizione a Craxi e la richiesta di un «governo di unità nazionale» hanno segnato alcuni punti. Non chiarita fino in fondo perché. intanto. resta alla guida del partito un 2 uomo. Bettino Craxi. la cui relazione introduttiva ai lavori del CC - per non dire delle posizioni assunte nel passato - ha espresso una posizione diversa da quella ultimativa della sinistra, in particolare nel ritenere prioritario il salvataggio della legislatura e quindi possibili altre formule. In secondo luogo perché, anche dopo la conclusione del Comitato centrale, appaiono nuovamente, dalle dichiarazioni di Craxi e degli uomini della sinistra, accenti difformi che sarebbe sbagliato sottovalutare. Ciò non toglie che il comunicato conclusivo della riunione dei socialisti, frutto del compromesso faticosamente raggiunto nella notte tra il 17 e il 18 gennaio, contenga elementi fortemente preoccupanti per chi, come noi, considera un grave errore politico non solo per il Paese, ma per lo stesso Partito socialista, lavorare per associare i comunisti al governo. Scompare infatti dal comunicato la disponibilità ad altre soluzioni di governo. che era invece presente nella relazione di Craxi; l'autonomia del PSI, cioè la sua capacità di decidere, nell'interesse del Paese e proprio, liberamente la propria via, risulta fortemente ridimensionata per il fatto che la partecipazione al governo è subordinata alle decisioni dei partiti maggiori, e in particolare al gradimento comunista per il prossimo gabinetto. In questo quadro negativo, l'unico fattore di conforto è che il segretario del PSI, non smenti29 GENNAIO 1980

to dai suoi compagni ma, proprio su questo, non a caso, preso di petto dai comunisti (sull'«Unità» del 20 gennaio), dichiara nella replica e ribadisce successivamente di non essere disponibile ad aprire una crisi «al buio»: il che, se non interpretiamo male, significa che al governo Cossiga verrà data la possibilità di continuare nel proprio lavoro fino a che non vi sia un accordo generale per la formazione del nuovo «governo di emergenza». Ciò che, ci si consenta, mal si concilia però con l'enunciazione del documento conclusivo, secondo il quale, dopo il congresso democristiano, la tregua che ha consentito la vita del governo deve considerarsi ormai rotta. Vedremo nelle prossime settimane quale sarà la linea che prevarrà nel Partito socialista: se l'impegno di non aprire la crisi «al buio» verrà mantenuto, o se il governo verrà costretto a dimettersi, magari tramite una mozione di sfiducia, opportunamente presentata da qualcun altro, prima che l'accordo per il successivo sia stato concluso. Ciò che si può dire è che in questo secondo caso il Partito socialista si assumerà la gravissima responsabilità di lasciare il Paese. in un momento drammatico. senza esecutivo. E' infatti una nostra convinzione che, nonostante il deliberato del Comitato centrale socialista, il governo con i comunisti sia di ben difficile attuazione. Anzitutto, se l'impegno di socialdemocratici e liberali di non partecipare a un siffatto governo verrà mantenuto, e non vi sono motivi di dubitare che lo 'sarà, c'è da dire che l'ipotesi di un governo di unità nazionale appare in ogni caso da escludere. La Democrazia cristiana dovrà vedersela da sola con comunisti e socialisti, tutt'al più con l'intermediazione del solo Partito repubblicano. Con la prospettiva delle elezioni generali amministrative del prossimo maggio, senza la copertura del PSDI e del PLI, la DC rischierebbe, portando al governo i comunisti, una batosta elettorale di proporzioni allarmanti per un partito che trae ancora, in buona parte, la sua forza dal fatto di essere la IL LEVIATANO «diga» contro il comunismo. In secondo luogo, in una situazione internazionale che vede il riacutizzarsi delle tensioni tra USA e URSS, per le mire sovietiche di estendere la propria sfera di influenza e migliorare la propria posizione strategica, non c'è dubbio che la reazione americana all'ingresso dei comunisti nel governo di Roma sarebbe di esplicita e ferma ostilità. La Democrazia cristiana dunque, dopo aver perduto il collateralismo del sindacalismo cattolico, dopo aver visto intiepidirsi il sostegno della Chiesa, che sembra, dopo l'elezione del papa polacco, orientarsi verso un ruolo politico meno legato alle contingenti vicende italiane, rischierebbe di perdere un 'altra, decisiva, «legittimazione» agli occhi del proprio elettorato, quella di fedele alleato del mondo occidentale. Per queste considerazioni, che evidentemente non saranno estranee ali' orientamento di larga parte dei delegati, tutto lascia pensare che il prossimo congresso della Democrazia cristiana non potrà accogliere una perentoria richiesta socialista di apertura ai comunisti. Ma allora un'eventuale crisi «al buio», la non disponibilità del PSI per un governo senza i comunisti, la non disponibilità della DC per un governo con i comunisti ci porterebbero dritti dritti a nuove elezioni anticipate, che per un verso accrescerebbero il distacco dell'elettorato dalle istituzioni e dalla classe dirigente, per altro verso porterebbero a un drastico ridimensionamento del PSI, di cui i dirigenti socialisti, allarmati infatti per una nuova eventuale consultazione elettorale, sono pienamente consapevoli. Logica dunque vorrebbe che, nel margine di ambiguità che ancora permane, finisca per prevalere, nonostante le apparenze, l'interpretazione craxiana delle conclusioni del Comitato centrale. Ma non sarebbe là prima volta - si pensi agli anni venti - che il Partito socialista decide non solo di suicidarsi. ma di trascinare nella propria rovina «tutti i filistei». j

BLOCKNOTES Les jeux sont-ils faits? FRA LE TANTE AFFERMAZIONI PIÙ o MENO inesatte dette sull'ultima sessione del Comitato centrale del PSI, la più arbitraria ci è apparsa quella resa alla TV. la sera della chiusura dei suoi lavori, dall'on. Cicchitto secondo cui il PSI: «è un partito strano che non accetta capi carismatici». Basta dare un'occhiata alla storia del PSI nell'ultimo trentennio per notare che - al contrario - i capi carismatici nel PSI non soltanto sono stati accettati ma che, addirittura, il carisma è stato loro conferito anche quando non sembrava essere una personale e intima dote dei suoi leader. Da Pietro Nenni a Rodolfo Morandi, da Pertini a De Martino, a Mancini, allo stesso Riccardo Lombardi, il PSI è vissuto, in verità, più di carisma, vero o presunto che sia stato, che di autentica /eardeship paritaria. Che anche Craxi abbia nel PSI un suo carisma è cosa che appare testimoniato anche dalla stizzosa contestazione fattane dall'on. Cicchitto e dalla sua corrente; quanto meno per impedirne il consolidamento. Che poi quel tale carisma abbia sovente scavalcato gli istituti che regolano la vita collettiva di un Partito aperto come il PSI, più che attribuirlo ad una sorta di autoritarismo personale di Craxi, va attribuito alla spartizione di potere interno avvenuta nel Congresso di Torino attraverso l'ibrida alleanza tra la sinistra di Signorile e gli autonomisti di Craxi e con l'illusione che essa avrebbe costituito automaticamente una leadership politicamente omogenea. 8E1TINO CRAXI CLAUDIO SIGNORILE Non va tuttavia sottovalutato il rimprovero (non del tutto infondato) più ricorrente nello stesso Comitato centrale verso Bettino Craxi; quello cioè che metteva in rilievo la sua personale difficoltà di accogliere, stimolare e rispondere a quel desiderio di contatti umani e politici dei militanti - che se sono importanti in qualsiasi partito, per non perdere il contatto con la realtà sociale, economica e politica del Paese - nel PSI, partito sanguigno, egualitario, e in certo modo generoso, sono assolutamente indispensabili. Ciò detto non ci pare che il richiamo al rispetto dello Statuto, la richiesta di una maggiore funzionalità delle istituzioni di partito costituiscano veramente gli elementi dell'ammanettamento, ingabbiamento o perdita di potere all'interno del partito del suo Segretario, come trionfalmente ha sottolineato una certa stampa più o meno criptocomunista o conservatrice per opposti interessi diretti a paralizzare il PSI. Non si capisce infatti perché vada considerata una sorta di ingabbiamento del segretario la convocazione quadrimestrale del Comitato centrale (d'altra parte sarebbe stato curioso vedere un Comitato centrale non reclamare tale diritto; altrimenti perché sarebbe stalo eletto?) o la richiesta «di maggiore collegialità, di rinnovamento, di garanzia e di controllo democratici in tutti i settori di lavoro». Certo, non si può negare che il tentativo di limitare le linee della politica craxiana, diretta a mantener fede al «patto con gli elettori per la stabilità politica», contratto nella campagna elettorale del maggio scorso, c'è stato e, per di più, condotto con durezza. Ma è quanto meno prematuro sostenere che il compromesso raggiunto nel Comitato centrale di metà gennaio, significhi veramente l'imbalsamazione dell'iniziativa politica del segretario del PSI, nonostante la prevista costituzione di un «organismo collegiale con 29 GENNAIO /980

caratteristiche politiche e di coordinamento•, i cui compiti e poteri restano tutti da definire. Al contrario, la diminuzione delrincidenza del ·peso politico del segretario socialista. più che dagli organismi vecchi e nuovi di partito, potrà derivare dalla conflittualità che prevedibilmente potrà sorgere con il neo-presidente del PSI, Riccardo Lombardi. E. verosimilmente. al cospetto del PSI. più che lo scontro tra il prigioniero e il guardiano, sarà lo scontro tra due opposti carismi di partito che difficilmente possono trovare un punto di sintesi, per le diverse concezioni che i due personaggi hanno sul ruolo e sulla funzione del PSI nella società e nella politica italiana. Terrorismo ex cathedra Gianni Finocchiaro MoLTo SI È SCRITTO E Discusso CIRCA LE cause del seguito che il terrorismo ha in alcune frange giovanili: ci sembra che valga la pena di soffermarci su due di queste cause, e sulle relative responsabilità. Una prima causa è il malessere che si produce quando siamo costretti a fare l'esperienza diretta dell'inefficienza dello Stato e dell'arroganza della burocrazia e della classe politica. Per un minuto, per un 'ora, per un giorno, tutti siamo stati un po' dei terroristi potenziali. quando abhiamo esclamato: «ci metterei una bomba!». Ciò accade quando un hurocrate, che in teoria dovrebbe servire lo Stato e i suoi cittadini, forte della sua inamovibilità e della sua impunibilità, ha risposto con noncuranza, con la classica alzata di spalle, alle nostre proteste per negligenze di cui egli è indirettamente o direttamente responsabile. La situazione si è aggravata per lo squilibrio crescente tra le esigenze di uno Stato moderno di un paese non più ad economia prevalentemente agricola. e l'appesantimento di un apparato che cresce in dimensione e in potere. In dimensione. per rattribuzione allo Stato di una serie di responsabilità e di funzioni che in precedenza erano affidate all'ini7iativa privata. In potere. sia per il peso economico che ha una burocrazia che gestisce un bilancio statale che supera la metà del reddito nazionale. sia per il fatto che la permanenza al potere della Democrazia Cristiana per un trentennio ha reso praticamente inamovibili una serie di piccoli e grandi funzionari che si sono inseriti negli apparati statali o in quelli in qualche modo dipendenti dallo Stato, grazie ad operazioni clientelari. Questi funzionari son resi ancora più inetti. e nello stesso tempo arroganti, dal fatto che la DC non esita a fare quadrato attorno a chiunque le sia legato, qualora venga attaccato da forze a lei politicamente ostili. Questa situazione a cui non siamo. per fortuna, mai abituati, crea un malessere crescente e dilagante. È ancora lontana la soluzione politica costituita da una forza di governo di ricambio, che abbia le carte in regola dal punto di vista della fedeltà alla democrazia e del realismo delle sue soluzioni ai problemi più gravi del Paese, è ancora lontana per la debolezza delle forze laiche non comuniste, accen- /L LEVIATANO tuata dalla costante tendenza del PSI a gravitare verso il PCI. Si crea quindi un terreno favorevole a gruppi che sfruttano, sul piano prima dell'agitazione e poi dell'azione eversiva, le debolezze di coloro che hanno avuto una formazione più debole e più propensa alle reazioni istintive ed emotive e tendono quindi a ricercare soluzioni apparentemente immediate. Una seconda causa del terrorismo è da ricercare in un certo tipo di educazione che ricevono i giovani, una educazione che porta a rifiutare ogni tipo di regola. Al posto di una concezione della vita politica e sociale secondo cui esistono vari tipi di soluzioni ai problemi politici, ciascuna caratterizzata da limiti diversi alle libertà, da diverse regole di convivenza, si fa strada una concezione secondo la quale nulla può essere vietato e nessuno ha l'autorità di imporre regole. L'aspetto grave, che in pratica costituisce l'elemento moltiplicatore di tale processo, risiede nel fatto che questo tipo di educazione non viene sempre impartita ex cathedra. cioè coscientemente. ma è più spesso il frutto di un comportamento contraddittorio, di atti che non mirano necessariamente ad educare i giovani al rifiuto delle regole di convivenza sociale e al disprezzo dello Stato democratico. li processo avviene più che altro a scuola, anche se la vita in famiglia contribuisce a crearne o a rafforzarne le basi. In molte scuole il comportamento degli studenti non è praticamente soggetto a regole, in altre lo è solo in misura limitata, soprattutto nelle grandi città. li fatto che il regolamento della scuola sia elaborato dal Consiglio di Istituto, e che contenga regole la cui applicazione a volte viene demandata alla discrezionalità degli insegnanti crea situazioni in cui il personale docente, sia per adesione a impostazioni lassistiche, sia, come in moltissimi casi. per quieto vivere (non si deve dimenticare che si tratta di una categoria mal pagata a cui non si può chiedere più dello stretto indispensabile), limita notevolmente il proprio intervento. Si creano quindi rapidamente situazioni in cui questo stato di cose, per così dire, si cristallizza, viene cioè elevato a sistema, nella mente dei giovani. Mi sono trovato una volta di fronte alla situazione di una classe che era stata abituata allo scarso rispetto delle regole scolastiche per un periodo di tempo sia pure limitato. Nelle assemblee di classe alcuni studenti intervenivano sostenendo il loro buon diritto di fare tutto ciò che volevano durante la lezione e consideravano un «sopruso» il fatto che venisse chiesto il rispetto di determinate regole. L·aspetto ugualmente interessante da notare. risiede nel fatto che questa stessa classe. dopo che la situazione è Abbonatevi al «Leviatano» Abbonamento annuo: L. 20.000 Abbonamento semestrale: L. 11.000 Sconto speciale per chi risiede nelle città e nei paesi dove «Il Leviatano» non arriva in edicola: abbonamento annuo a sole L. 14.000. Conto corrente postale n. 58761008 intestato a «li Leviatano» via dell'Arco di Parma 13 - 00186 Roma 5

stata ripresa in mano da professori meno «!assisti•, si è, per così dire, •abituata• alla nuova situazione di cui ha poi assimilato le regole di comportamento. La lezione che si può ricavare è la seguente: i giovani, in una fase delicata della loro formazione, assimilano delle regole di comportamento non necessariamente enunciate verbalmente, ma deducibili induttivamente dal mondo in cui vivono. Nel giro di pochi mesi possono quindi assumere atteggiamenti contraddittori se passano da una situazione ad un 'altra completamente diversa. Se però vengono immersi per lunghi anni in situazioni da cui non ricavano le regole di comportamento di una società democratica, tendono a rifiutare qualsiasi regola. Quando lasciano la scuola. che apparentemente può continuare ad esistere con poche regole, o addirittura (si veda l'esempio delle scuole dominate dagli autonomi) senza regole. entrano in una società che, bene o male, non può sopravvivere senza regole. Molti allora, o si emarginano (si drogano etc.). o si danno al terrorismo e alla criminalità comune. Olimpionici del potere IN OCCASIONE DELLE ELEZIONI POLITICHE del 1963. un pubblicitario americano (se ricordiamo bene) coniò per la DC uno slogan giovanilista e rassicurante: la DC ha vent'anni. Che cosa gli italiani scrissero allora. a penna o a matita. su un simile manifesto. i lettori lo possono facilmente comprendere e non occorre star qui a ripeterlo. Ma, si sa. anche la vita più tumultuosa e torbida aspira a una qualche purificazione. e il partito di maggioranza relativa. che è per l'appunto cristiano. non può sottrarsi alla regola. Come la DC si venga ogni giorno di più purificando. ce lo spiega, fra gli altri, Francesco Metrangolo. in un articolo comparso sul «Corriere d"ellaSera• di giovedì 17 gennaio. in cui si narrano le vicende precongressuali della DC pugliese. vedova già ampiame_nte consolata del suo leader carismatico. La anima popolare della DC - come si usa dire - anche questa volta non si smentisce: ogni categoria sociale. ogni corporazione si rivolge a lei. sicura di trovare comprensione e concreti conforti; ognuna ha il suo santo protettore che ascolta. vede e poi sollecitamente provvede. Dal posto in banca per il figlio alla pensione per il nonno. dall'appalto alla cattedra. non c'è canale o canaletto della società civile che la DC non intasi con le sue acque santamente fecondatrici. E per dare, infine. un valido esempio di laicismo e di senso dello Stato. «su tutto e su tutti - così afferma Metrangolo - vegliano discrete e onnipotenti le curie vescovili•. E il dibattito politico. le contrapposizioni ideali. le scelte di principio. che fine hanno fatto'!. si chiederà qualche lettore di grana grossa. poco adatto a scorgere la profonda filosofia politica che si cela dietro le complicate manovre e contromanovre degli eredi di Moro. Costui non sa che le idee. da che mondo è mondo. camminano con gli uomini. e in particolare trottano servizievoli dietro quegli uomini che hanno uno speciale talento per farle arrivare in fretta là dove si possono convertire nella moneta sonante del potere. 6 L'analisi che ho tentato di fare è senz'altro sommaria e affrettala, ma ritengo che un approfondimento la confermerebbe. In sostanza, la lezione da ricavare è che parole d'ordine come «no alla selezione•, «no all'autoritarismo•, e azioni politiche come quelle recentemente condotte dagli studenti comunisti contro le elezioni degli organi collegiali. nella situazione attuale portano acqua al mulino di coloro che intendono «destabilizzare• la scuola e, a lungo andare, a chi intende «destabilizzare• lo Stato democratico. Se quindi la responsabilità del primo fatto va attribuita sostanzialmente alla Democrazia Cristiana. quella del secondo è principalmente non solo della sinistra extraparlamentare. anche del PCI e delle forze che lo affiancano e che ne condividono la politica scolastica. Lottare contro il terrorismo significa quindi anche. sul piano politico. lottare per ridimensionare l'influenza e la consistenza del PCI e della Democrazia Cristiana. Sirio Di Giulwmaria ZACCAGNINI E FANFANI Non c'è dubbio che. da questo punto di vista. la DC è un partito di olimpionici: chi, in questi ultimi venti anni. ha cercato di tenerle dietro su questo vischioso terreno, è rimasto inesorabilmente staccato ed ha rimediato solo delle magre figure. La DC che. in un momento tragico per il nostro Paese, si appresta a tenere un congresso che dovrebbe essere decisivo per il nostro avvenire, resta. nelle cento città e nei mille paesi d'Italia, quella che abbiamo sempre conosciuto: un partito-piovra. un partitoragno, un partito-millepiedi. Eppure. sembra che senza questo partito l'Italia. ancora per molti anni. non possa essere governata. e che tutto quel che si può fare è cercare di condizionarlo. di riequilibrarlo. come dicono quelli che sanno usare il gergo dei politici. Forse è proprio così. forse questa è l'unica soluzione realistica dei nostri problemi. la sola che è possibile tentare: tuttavia. si tratta di una ben malinconica soluzione. che insinua in noi l'amaro sospetto che siamo tutti diventati. in qualche modo. dei democristiani. tutti allievi di Andrcotti e di Piccoli. Non abbiamo tutti. chi più e chi meno. imparato a far politica come la fanno loro? Paolo B011etti 19 GEN AIO 1980

DISSENSO Un esule dell'Est visita la ana Intervista con JIRI PELIKAN È LA PRIMA VOLTA CHE UN ESULE DEI PAESI DELl'Est visita la Cina? Non è l'unico caso: ci sono stati altri esuli che hanno visitato la Cina in veste di scienziati. di professori, di giornalisti; quando sono stato in Cina, ho visto anche l'ex-vice-presidente del1'Assemblea nazionale del Vietnam, che l'anno scorso si è rifugiato in Cina, dove adesso vive: non viene dall'Europa orientale, ma da un Paese socialista sì. In generale però si può dire che, tino a oggi, la Cina non ha mantenuto rapporti con i movimenti dell'opposizione dei Paesi dell'Est, per una duplice ragione: la prima è che, secondo i cinesi, questi Paesi appartengono al «secondo mondo» e anche se hanno un atteggiamento negativo verso la Cina, hanno nello stesso tempo contraddizioni con le superpotenze e per questo la Cina intende sviluppare rapporti di collaborazione con questi Paesi, che potrebbero diventare alleati potenziali della Cina contro l'egemonia sovietica: personalmente penso che sia moltç difficile che i regimi di Husak, Honecker, Zivkov possano mettersi contro l'Unione Sovietica, anche se è vero che la crisi economica che è cominciata l'anno scorso e che si approfondisce porterà anche a delle contraddizioni tra i gruppi dirigenti dei Paesi dell'Est e il gruppo dirigente sovietico. La seconda ragione è che, trattando con l'opposizione dei Paesi dell'Est, la Cina teme di legittimare la sua propria dissidenza. Su questo punto la politica del gruppo dirigente cinese non è ancora chiara: quale linea seguire per sviluppare in Cina una vera democrazia socialista? quale atteggiamento prendere verso coloro che non condividono la linea politica attuale? Gli amici cinesi, quando abbiamo loro parlato apertamente delle necessità che anche le minoranze possano liberamente esprimersi nella società socialista, hanno espresso il loro consenso; insistono però sul fatto che ciò si può fare solo gradualmente: la situazione economica e politica non permette, secondo loro, di riaprire vecchie ferite. Tu hai l'impressione che questo processo di democratizzazione sia però in marcia o no? Quali segni ne hai avuto? Erano vent'anni che non andavo in Cina, sebbene fossi al quarto viaggio. Ho incontrato IL LEVIATANO vecchi amici, conosciuti nel movimento studentesco e nella gioventù comunista. Tutti hanno trascorso anni in prigione o a lavoro nelle comuni popolari durante la «rivoluzione culturale»: oggi sono riabilitati e hanno funzioni di rilievo nel pa11ito e nello Stato. Quello che mi ha colpito è che si può discutere molto liberamente anche su problemi spinosi. come il ruolo di Mao Dezong. la dissidenza delle minoranze. Stalin. Ho l'impressione che ci sia molta voglia di capire. di valutare in maniera critica il passato: per esempio. nel rapporto del Comitato centrale per il 30' anniversario della rivoluzione cinese. discusso tino nei comitati locali, si dà un giudizio molto severo sulla rivoluzione culturale, si dice che si era instaurata durante alcuni anni, in Cina. una dittatura di tipo feudale e fascista: questo giudizio è legato senz'altro alla «banda dei quattro», ma si va anche più indietro, si parla anche della necessità di riabilitare Liu Shaoqi, il primo presidente cinese, si discute su come il partito ha reagito nel 1957, dopo la campagna dei «cento fiori». Quel periodo fu seguito da una dura repressione degli elementi cosiddetti di destra che si erano espressi liberamente: oggi si dice apertamente che quella repressione è stata un grave errore. Mi hanno chiesto, è ancora un esempio, che cosa pensassi della rivoluzione di Budapest. I cinesi, nei loro documenti, parlano ancora di «controrivoluzione ungherese»: ma dalle loro domande ho capito che ora vogliono saperne di più, per correggere il loro giudizio. Insomma mi sembra ci sia un'apertura molto promettente, anche se rimangono quadri legati ai vecchi schemi e che anzi fanno una certa resistenza allo sviluppo del pensiero critico. Peraltro, non dobbiamo dimenticare che durante questi trenta anni ci sono stati tanti cambiamenti e anche ingiustizie in Cina che una certa precauzione si può anche capire. Quando si critica la rivoluzone culturale, si fa anche una critica della' politica di Mao: alcuni amici cinesi sostengono che non vogliono ripetere l'errore di Chrusèev. 7

quello di attribuire tutte le responsabilità a una sola persona, ma vogliono invece andare più a fondo nell'analizzare le ragioni della degenerazione del comunismo. Diversamente dall'Ungheria, i cinesi però condannarono l'intervento sovietico del 1968 in Cecoslovacchia. Sì. Subito dopo il 23 agosto, i cinesi condannarono l'intervento sovietico; ma in quell'epoca parlavano di uno scontro tra due tipi di revisionismo: sovietico e cecoslovacco. Adesso, al contrario, dimostrano un grande interesse per quello che fu la primavera di Praga: si interessano agli scritti di Ota Sik, ai problemi di pianificazione e mercato, al problema di una gestione economica più libera, nel senso di dare l'iniziativa alle imprese e anche a certe forme di autogestione. Anche se dicono che passerà molto tempo prima che la Cina possa applicare certi modelli europei, si interessano al dibattito sulla legalità socialista. Su questo, credo, sono molto sinceri, perché hanno vissuto loro stessi, l'ingiustizia, la repressione, sulla propria pelle. C'è ora una commissone, diretta da Peng Chen, l'ex-sindaco di Pechino, che è stato epurato e ha passato molti anni in prigione, trattato molto male, incaricata di preparare il quadro di un sistema legale, di un codice di leggi, ciò che in Cina non esisteva. Finora chiunque poteva essere, sotto la generica accusa di essere un elemento controrivoluzionario, mandato in una comune popolare, o in prigione, senza processo. Ora si vuole elaborare un sistema nel quale le accuse debbano ba_sarsisu prove, garantendo CARRI ARMATI RUSSI A PRAGA (AGOSTO /968/ 8 la possibilità di difendersi,di avere un difensore. Ma la battaglia è ancora aperta. La Cina ha intrapreso la modemizzazine dell'industria, della cultura, della scienza e della tecnologia, delle forze armate: questo si può fare sia con un sistema molto centralizzato, diciamo anche autoritario di tipo staliniano; oppure si può fare lasciando una certa iniziativa ai cittadini con una certa liberalizzazione o democratizzazione politica; mi pare non sia ancora molto chiaro come questa modernizzazione venga concepita sul piano politico. Insomma, hai ricavato l'impressione che i cinesi siano in una fase di incertezza, non sappiano ancora quale via scegliere? Sì. Ciò che si può dire è comunque che il nuovo gruppo dirigente ha dato alle masse una vita migliore rispetto al passato e ha messo in moto forze, gruppi, ceti finora duramente repressi. Inoltre credo che il conflitto con l'Unione Sovietica aiuti in questa direzione. Nel 1948 la Jugoslavia era molto più vicina al modello sovietico che non la Cecoslovacchia o la Polonia, ma lo scontro con l'Unione Sovietica l'ha costretta a rivedere certi dogmi: così la Jugoslavia ha trovato una sua via, diversa, autonoma. lo vedo lo stesso processo anche per i cinesi: il socialismo cinese era stato segnato dallo stalinismo, sembrava imposto dall'Unione Sovietica. I cinesi, dopo la rottura con l'URSS, si sono avvicinati molto alla Jugoslavia, nella quale vedono un esempio di autonomia se non da imitare certo almeno da studiare. Adesso poi 29 GENNAIO /980

mandano migliaia di studenti cinesi nei Paesi occidentali, negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale, si sviluppano i rapporti economici e culturali: questo non può rimanere senza conseguenze anche sulla vita politica. Oltre rhe esule di un Pat'Sf' sociafi~ta. tu wi ancht un parlamentare europeo. Hai avuto dei colloqui a proposito dei rapporti tra la Cina e l'Europa? Gli amici cinesi mi hanno chiesto molte informazioni sull'Europa, sul suo parlamento, sulla commissione CEE, sul Consiglio d'Europa: essi non conoscono tutti questi problemi, soprattutto non comprendono bene perché l'integrazione europea incontri tanti ostacoli. Per loro l'Europa occidentale è quasi un unico Paese. I cinesi vogliono avere una posizione indipendente verso l'Unione Sovietica e verso gli Stati Uniti e ritengono che l'Europa potrebbe essere un partner di questa politica, un'Europa unita come terza forza indipendente. I cinesi hanno una gran voglia di collaborare sul piano economico con la comunità europea perché non vogliono dipendere da nessuno. I rapporti che hanno sviluppato con una velocità fantastica con il Giappone derivano dalla vicinanza dei due Paesi, ma anche dal fatto che il Giappone ha dimostrato una grande comprensione per i loro problemi, offrendo condizioni favorevoli per lo scambio. La CEE invece pone ancora molti ostacoli allo sviluppo dei rapporti con la Cina. I cinesi hanno interesse a collaborare sul piano economico, ma anche sul piano politico e culturale. Essi pensano che l'Europa ha lo stesso loro interesse ad opporsi all'egemonismo sovietico, che per Pechino resta il nemico principale, in quanto essi considerano che gli USA siano ora sulla difensiva, mente l'URSS sia ora in espansione e quindi persegua una politica aggressiva. I LETTERE I Meno arroganza Caro direttore. sono uno che nelle ultime elezioni politiche ha votato per i radicali, non senza qualche perplessità. Ciò che mi attirava verso di loro era la loro capacità di contrastare l'arroganza e la prepotenza comunista. I comunisti consideravano acquisito per sempre il primo posto nella lista elettorale? I radicali glielo tojllievano. I comunisti si consideravano i soli capaci di atti• vizzare i propri iscritti? I radicali dimostravano di essere superiori. I comunisti impressionavano con la violenza verbale? I radicali li superavano in violenza. Oggi devo però riconoscere che questa tendenza dei radicali a contrastare l'arroganza e la prepotenza comunista li ha portati a diventare loro stessi arroganti e prepotenti. Lascio da parte la questione del boicottaggio parlamentare da parte di una minoranza, giusto quando questa minoranIL LEVIATANO Gli ultimi avvenimenti mi sembra confermino questa loro analisi e ribadiscono quindi la necessità che il rapporto di collaborazione tra Europa e Cina vada avanti e si approfondisca. za reagisce a un sopruso della maggioranza (ricordiamo la •legge truffa•?), ma assurdo quando è elevato a metodo politico. Di tale questione si sta occupando il Parlamento. Vorrei solo accennare ad episodi 4(minori». ma non meno significativi. Seguo spesso con interesse i dibattiti e le tribune politiche alla TV. In questa sede Pannella si è sempre distinto per la sua tendenza ad interrompere i suoi interlocutori. Pazienza. ho pensato, è il suo carattere! Poi ho visto, che anche Cicciomessere mostrava la stessa tendenza. Contagio? Tempo fa, in un incontro a due, Adelaide Aglietta non ha fatto che interrompere Gerardo Bianco, quando toccava a lui intervenire. Un altro caso di contagio? Venerdì 11 gennaio, nella rubrica Tam Tam, Marco Boato ha usato lo tesso •metodo• nel dibattito con il prof. Rosario Romeo. Allora mi sono reso conto che si tratta di una caratteristica di tutti i radicali, di un metodo, di un atteggiamento studiato e concordato. A questo punto ritiro il mio appoggio ai radicali. Credevo che fossero una forza che combattesse per i diritti civili, ma mi sono accorto che violano uno dei più elementari di questi diritti: il diritto ad esprimere liberamente le proprie opinioni. Da contestatori dell'arroganza e della prepotenza, i radicali sono quindi diventati arroganti e prepotenti. Cosa succederebbe, mi domando, se divenissero forza maggioritaria? Trasferirebbero a livello di struttura politica questa loro arroganza e prepotenza? Franco Alpicella, Trento Fuori dalle risse \ Egregio direttore, mitra e bombe da una parte, e opera di tenace demolizione dello Stato dall'altra, sono i concentrici e concordi assalti con cui, insieme, affossare •questa• repubblica democratica. La quale, per sopravvivere, deve mostrare i denti, combattendo su questi due fronti collegati, stroncare alle radici il terrorismo. e arrestare il processo di decomposizione dello Stato. Se sarà ancora possibile evitare la guerra civile, ciò si potrà fare unicamente col massiccio recupero del1'elettorato a un robusto blocco laico di larga apertura democratica, fuori dai miopi e rissosi schemi dei quattro partiti minori. Ma occorre far presto: dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur! Nicola Zanetti, Pescara 9

SOCIALISTI GIUSEPPE BEDESCHI Due anime, due culture UNO DEI PIÙ BRILLANTI ESPONENTI DELl'intellighenzia socialista, Giuliano Amato, ha pubblicato in questi giorni (su L'Espresso del 20 gennaio) una lunga ed elaborata analisi del PSI: del suo insediamento sociale, del suo apparato, dei rapporti fra l'uomo e l'altro, della composizione del gruppo parlamentare, ecc. Si capisce come le vicende drammatiche svoltesi in questi mesi in casa socialista spingano le sue menti migliori a interrogarsi sulla natura stessa del partito, sul suo funzionamento, sul suo ruolo nella società italiana. L'analisi di Amato è di grande interesse, e, per chi non l'avesse letta, si può riassumere brevemente così. Il PSI è un partito di opinione e al tempo stesso è un partito di apparato, ma in modo tale che fra questi due aspetti si istituisce un circolo perverso. Il PSI. infatti, partito nato grande ma divenuto medio, ha un limitato insediamento sociale, le cui spinte vengono risucchiate da un apparato burocratico di notevoli dimensioni che il partito ha voluto darsi a imitazione dei grandi partiti di massa (Morandi, in questa «tragica» scelta, ebbe presente soprattutto il modello del PCI). Ma mentre nei grandi partiti di massa l'apparato burocratico tende sì a preservare se stesso e le proprie posizioni di potere (come ogni apparato che si rispetti) e a far valere le logiche dettate dai propri equilibri interni, e tuttavia è condizionato e «controllato» da un insediamento sociale consistente, che pone i quadri dirigenti in permanente contatto con la realtà di base, con le sue esigenze e i suoi umori; nel PSI, invece, il cui insediamento sociale è fragile, si ha un rapporto inverso, e l'apparato burocratico non recepisce, oppure «smorza», attenua, stravolge ciò che proviene dalla base, e impone le proprie scelte politiche dettate unicamente dalla logica del proprio potere, dei propri equilibri interni, delle proprie faide, ecc. Di qui l'estrema mutevolezza delle linee politiche e degli slogan (gli equilibri più avanzati, l'alternativa, il contratto di governo), e la grande facilità con cui si passa in breve tempo dall'uno all'altro. Situazione, dice Amato, che è inimmaginabile sia in un partito d'apparato con consistente insediamento sociale, sia in un partito d'opinione che fra realtà di base e dirigenti non abbia il diaframma dell'apparato. 10 Al tempo stesso l'apparato burocratico socialista, come neutralizza e «decapita» le spinte provenienti dalla base, così impedisce a chi ne abbia le capacità di divenire dirigente, cioè l'apparato è chiuso in se stesso, e non permette l'ingresso ai non addetti ai lavori. Intellettuali, dirigenti d'impresa, organizzatori di categorie, ecc., non riescono a filtrare. Basti riflettere su questi dati: il 50% del Comitato Centrale del PSI è formato da parlamentari, mentre a sua volta la composizione del gruppo parlamentare mostra una preponderanni di titolari o di ex-titolari di cariche di partito nazionali. Quale il rimedio per una situazione così patologica? Si tratta, risponde Amato, da un lato di ridurre il corpo separato che il PSI ha al proprio interno, cioè l'apparato, diminuendo il numero delle persone stipendiate dal partito o per suo tramite; e dall'altro lato di immettere progressivamente nei ruoli dirigenti uomini non legati all'apparato e sensibili alla base sociale che il partito rappresenta. Questa analisi di Amato è senza dubbio acuta, e si può sottoscriverla integralmente. L'insensibilità mostrata in più occasioni dal gruppo dirigente socialista verso la propria pubblica opinione ha battuto ogni record; lo spettacolo di lacerazione e di lotte intestine fra gruppi contrapposti, in barba agli interessi del partito e del Paese, è stata in questi anni di fronte agli occhi di tutti. Difficile negare che ciò sia dovuto a una grave, cronica frattura fra il gruppo dirigente/apparato e la realtà di base. E tuttavia, a mio avviso, l'analisi di Amato ha anche un limite consistente, perché riduce tutta la questione socialista agli aspetti organizzativi e funzionali, prescidendo completamente dalle linee politiche in contrasto e dai loro contenuti. In definitiva, vedere in tutta la battaglia politica nel PSI e nelle sue lacerazioni solo faide di apparato, mi sembra fortemente riduttivo; si capirebbe così una parte della realtà, ma non tutta la realtà. Negli ultimi decenni (come del RUFFOLO, GIOL/ITI. AMATO. 8088/0 19 GENNAIO /980

RICCARDO LOMBARDI resto in tutta la sua storia) il dramma del PSI è stato il contrapporsi al suo interno di due «anime», quella riformistica e quella massimalistica. La contrapposizione si è riprodotta continuamente attraverm lacera1ioni e ~ci~sioni. e ~i riproduce og)?i. Si produsse in un recente passato fra l'ala che doveva poi dar vita al PSIUP e l'ala autonomista; si è riprodotta poi fra quell'ala sedicente autonomista che concepiva le riforme come strumenti per far «saltare» il sistema. e l'ala che le concepiva invece appunto come riforme, cioè come miglioramenti e razionalizzazioni del sistema. È un fatto che in questo dopoguerra il gruppo dirigente del PSI non si è mai trovato unito e amalgamato nello sforzo di elaborare una «cultura di governo»,'cioè una cultura e una politica riformatrice sì. ma all'altezza della complessità di una società industriale e al tempo stesso all'allena di una scelta di cnmro occidentale che un rartito socialista democratico non avrebbe mai dovuto rinnegare. Per quanto possa sembrare paradossale, proprio in ciò anche i comunisti più intelligenti hanno individuato le ragioni del declino socialista. Amendola, per IL LEVIATANO es., tempo fa ebbe ad osservare (su «Rinascita», 1977, n. 18) che è sempre mancata «una teoria generale socialista», intesa non come chiuso sistema dottrinario, ma come originale metodo di ricerca e come interpretazione storica della realtà italiana, capace di affermarsi nel confronto con l'elaborazione e l'analisi espresse dal PCI. È mancata insomma, diceva Amendola, una cultura socialista, omogenea nei suoi tratti essenziali, distinta da quella comunista e capace di stimolarla criticamente e di contrastarne utilmente la crescente egemonia nel movimento operaio e poi nella società italiana. La mancanza di una cultura socialista ha reso difficile e alla lunga impossibile la formazione di un gruppo dirigente socialista unito e prestigioso. E recentemente Paolo Spriano ha osservato (sul n. 2 di «Rinascita») che questo tentativo fu fatto da Nenni nel 1956 e nei due anni seguenti, raccogliendo un certo numero di intellettuali impegnati in un progetto di riforma della società italiana che si collocasse all'altezza delle novità economiche e tecnologiche (si pensi a riviste come «Passato e presente», «Ragionamenti», ecc.). Senonché. osserva Spriano. questo tentativo fallì, e non solo per gli ostacoli frapposti dal PCI. ma a causa di una parte stessa dell'intellettualità socialista, la quale, da Panzieri a Basso, si mosse nell'ambito di una critica «da sinistra», cioè sterilmente massimalistica, della società italiana. Oggi - dice giustamente Spriano - «è cresciuta molto un'area di intellettuali e tecnici socialisti, ma un errore che si compie al suo interno è di non richiamarsi più a una tradizione del socialismo italiano, che ha nel riformismo un suo punto fermo». E qui tocchiamo il punto dolente di tutta la questione. li PSI è drammaticamente diviso, ma non solo per i meccanismi perversi m'essi in rilievo da Amato, bensì per il riproporsi del conflitto fra le due anime presenti da sempre al suo interno: quella massimalistica e quella riformistica. Nel ricostituirsi di questa «incoscienza infelice» del PSI, i chierici, cioè gli intellettuali socialisti, hanno responsabilità gravissime. Essi non sono quindi semplicemente, come vorrebbe Amato, delle vittime e dei grandi esclusi. La maggior parte di loro ha cavalcato infatti la tigre massimalistica, propugnando di volta in volta slogan e «soluzioni» ispirati a un visionarismo infantile e a un utopismo d'accatto. li superamento del capitalismo, la transizione, la terza via, l'abolizione della divisione del lavoro. l'autogestione, ecc., sono stati di volta in volta i pezzi forti di un vero e proprio museo delle cere dell'ideologia. Ciò ha impedito l'elaborazione di una seria e complessa «cultura di governo», e ha dato fiato all'ispirazione massimalistica del partito. Uno dei guasti più gravi del PSI è da cercare proprio in questo ruolo negativo esercitato dagli intellettuali. Con ciò non voglio assolvere l'apparato. Esso è quello che è. Ma è troppo comodo ridurre tutto ad esso. li

SINDACATO ANTONIO MARTINO Le colpe dei «padroni» GLI ANNI SETTANTA SONO STATI CARAT- ~eriz_zat_dia u~a ecatombe di miti e ingenue 1llus1om stataliste, che avevano imperversato n~I ~ecennio precedente Riesce sempre più d1ffic1lefar credere alla gente che l'intervento diretto o indiretto, dello Stato possa rappresen: tare la S?luzio~e di ogni problema, specie oggi, quando I danni prodotti dallo statalismo dissennato dell'ultimo ventennio sono difficilmente occultabili. Per questo, l'inversione di tendenza che, sia pure solo a livello culturale caratterizza il nostro tempo non è (non ~uò essere) fenomeno effimero. Quanti parlano di «ritorno al privato» come di una moda bizzarra destinata a scomparire presto, farebbero bene a riflettere sulla bruta realtà delle cifre. Quando il settore pubblico assorbe quasi il 60% del reddito nazionale - 144.092 miliardi nel 1979, qualcosa come l0.284.000 lire per ogni famiglia di quattro per~one; quando il deficit pubblico supera, con i suoi 40.000 miliardi, in assoluto, il deficit degli S~a~iUniti d'America, e rappresenta un incred1b1le 16% del reddito nazionale; resta poco spazio per correre dietro a fantasie stataliste. Del resto, neanche lo statalista più protervo potrebbe negare che l'espansione incontrollata dell'ambito di intervento pubblico sia stata accompagnata da inefficienza diffusa, corruzion_esu larga scala, sprechi giganteschi, e distors10ne nell'uso delle risorse produttive. li fenomeno è talmente macroscopico che non è credibile che il falJimento del metodo, ed i danni da esso provocati, siano, sic et simpliciter, imputabili alla malvagità e incompetenza della attuale «~l~sse dirigente». Che basti cambiare gli uomm1 al potere, la tessera di partito in tasca ai bur?crat_i, perché un metodo che ha sempre falhto, Ctgarantisca la felicità, è credibile quanto la possibilità che i gatti si mettano ad abbaiare. Lo statalismo ci ha regalato un'inflazione senza precedenti nella storia d'Italia in tempo di pace: il 1980 sarà l'ottavo anno consecutivo di inflazione a due cifre. Di fronte ad un'inflazione di queste proporzioni, di cui è difficile vedere la fine nel prossimo futuro. la sinistrn italiana non riesce a trovare di meglio che fare «prediche al sindacato». Così Giorgio Amendola nel noto articolo su «Rinascita» lamenta che «si è mantenuto alto il livello delle retribuzioni (... ) senza 12 nemmeno sottoporre la scala mobile ad una sostanziale modifica (... ), spingendo il Paese, con una sempre più grave indicizzazione verso un'inflazione sempre più vertiginosa». Qualche set~imana dopo, gli fa eco Sylos Labini, con un articolo su «Repubblica» intitolato appunto Prediche al sindacato, il quale, dopo aver attribuito la responsabilità dell'inflazione all'irresponsabilità sindacale, perviene all'improbabile, e vagamente ridicola, conclusione che «il movimento operaio si deve dar carico della ripresa dei profitti industriali». S_itratta dell'idea, cara ai fautori del «patto soctale», secondo cui l'inflazione sarebbe la -conseguenza di aumenti salariali eccessivi. Uno dei paradossi del nostro tempo è che la gente (inclusi alcuni sindacalisti), in presenza di aumenti salariali eccessivi, ne attribuisce la responsabilità a chi li ottiene, cioè ai sindacati, anziché a chi li concede. Ora, tale atteggiamento ha del paradossale: chi ottiene aumenti salariali eccessivi fa il suo interesse, mentre chi li concede fa il suo (e il nostro) danno. Bisognerebbe quindi porsi il problema dal punto di vista di chi concede aumenti salariali eccessivi. Ora, a me sembra che gli aumenti salariali ~cce~siv_i siano null'altro che la conseguenza mevttabtle dell'irresponsabilità aziendale prodotta dallo statalismo. Si tratta cioè da un lato di dirigenti di aziende pubbliche che si comprano la pace sociale, concedendo aumenti eccessivi, con soldi che non sono loro, cioè coi soldi del contribuente. li dissesto delle aziende pubbliche parla al riguardo un linguaggio non equivoco. D'altro canto, la prassi di «salvare» le aziende in passivo - trasferendo quest'ultimo sulle spalle del contribuente - ha contagiato l'irresponsabilità anche al settore privato i cui dirigenti sanno benissimo che, se gli au'menti concessi si rivelassero eccessivi e ne seguisse un passivo, lo Stato-papà interverrebbe subito a ti_rarlifuori dai guai con operazioni di salvataggio. Da qut la generale, irresponsabile arrendevolezza nei confronti delle richieste di aumenti salariali. Infine, occorre aggiungere che tale clima di irresponsabilità aziendale è reso infinitamente maggiore dal fatto che i sindacati g?dono di una sorta di immunità, del privilegio dt fare ricorso alla violenza come e quando vogliono. Come sostenuto da Ludwig von Mises oltre trent'anni orsono: «li problema vero è se si debba o no concedere ai sindacati il privilegio di far uso della violenza impunemente. Tale privilegio è incompatibile col socialismo non meno che col capitalismo». Se. tali considerazioni sono valide, per risolvere ti problema bisogna ripristinare un clima di responsabilità nella contrattazione salariale il che implica da un lato la riprivatizzazione' di gran parte del settore pubblico e la rinunzia ai «salvataggi» delle imprese inefficienti e passive e dall'altro l'introduzione di norme che ricon: ducano l'azione sindacale nell'ambito della le29 GENNAIO 1980

galità, e v1etmo il ricorso alla violenza. Se si riuscisse a realizzare tali profonde trasformazioni della realtà delle relazioni industriali. la determinazione delle retribuzioni avrebbe luogo attraverso la libera e responsabile contrattazione fra «padroni» e sindacati, senza prevaricazioni né coercizione, scongiurando il rischio di aumenti salariali costantemente eccessivi. In altri termini. l'Italia è oggi a un bivio. Può continuare a basare la dinamica salariale sulla irresponsabilità generalizzata, da sottoporre come vogliono i fautori del «patto sociale» prima alla tutela e poi al controllo coercitivo del potere centrale. (In assenza di quest'ultimo, il «patto» produrrebbe gli esaltanti risultati he ha prodotto in Gran Bretagna, di cui i fautori di tale ricetta sembrano singolarmente all'oscuro). Oppure, può rinunziare allo s(atalismo, e scegliere la via della resposabilità diretta (aziendale e sindacale) delle parti, della cooperazione spontanea realizzata dal libero mercato, della libertà economica e politica. Cioè: o la coercizione, o la libertà: non v'è altra scelta. FISH-EYE ALDO G. RICCI Indira risorta LA CORSA ALLA DESTABIUZZAZIONE HA ricevuto un'improvvisa e imprevista accelerazione con la vittoria schiacciante, al di là di ogni previsione, del partito del Congresso di Indira Ghandi nelle recenti elezioni indiane. I dissensi interni laceranti del partito governativo Janata, le difficoltà economiche crescenti, accompagnate da una ripresa delle violenze interne e della guerriglia nelle sempre turbolente regioni di confine, tulio questo ha contribuito in modo decisivo alla villoria senza precedenti di Indira. Ma l'elemen10 determinante. quello ..:heha fallo ,i che una probabile vittoria si trasformasse in un trionfo senza pari, va ricercato presumibilmente nelrincertezza della politica estera del governo guidato dal partito Janata. Esso non ha infatti saputo approfittare della maggiore disponibilità cinese nei suoi confronti per chiudere l'ampio contenzioso tuttora aperto tra i due Paesi, né ha saputo rafforzare i rapporti con i Paesi occidentali, e con gli Stati Uniti in primo luogo, come pure sarebbe stato nelle sue tendenze politiche spontanee. Streua tra un'alleanza con l'Unione Sovietica, sulla quale era stata impostata l'intera politica indiana negli anni precedenti, e dalla quale non era più in grado di ricavare gli aiuti necessari, e un'alleanza con gli Stati Uniti che non è stato in grado di avviare, l'India ha vissuto questi due anni senza Indira al potere in una situazione di incertezza e di confusione, sia in politica estera che in politica interna. Ha cercato di mettere in piedi una politica di equidistanza e di disimpegno senza essere in grado di creare le premesse economiche, politiche e IL LEVIATANO INDIRA GANDHI diplomatiche che una tale politica richiedeva. Ha revocato i provvedimenti restrittivi della libertà, con i quali Indira si era mantenuta al potere negli ultimi anni, senza sostituire alla sicurezza fondata sulle misure di polizia una sicurezza di tipo diverso. Cosi l'India è andata alle elezioni dei giorni scorsi in una situazione di isolamento politico a livello internazionale, e di confusione e di precarietà in politica interna; è andata alle elezioni affamata di sicurezza e di ordine, e ha trovato sulla sua strada, come unica alternativa, la mano aperta che Indira ha voluto dare come simbolo eleuorale al suo partito. L'India si è aggrappata alla mano di Indira ben sapendo di quali durezze essa sia capace, e infaui la sua vittoria è stata salutata da manifestazioni di entusiasmo che non vanno al di là del rituale; ma ha preferito essere guidata da una mano dura piuttosto che essere abbandonata senza guida nel mare in tempesta delle lotte in corso in Asia. L'India non ha certo dimenticato i lutti e le sofferenze che la repressione poliziesca di Indira le ha imposto (e questo spiega la mancanza di entusiasmo); ma non ha neppure dimenticato che Indira ha guidato vittoriosamente il Paese durante la gravissima crisi della guerra con il Pachistan e ha saputo parimenti resistere alle pressioni militari della Cina. E a questa Indira e alla sua capacità di governare che l'India ha dato il voto. E tuttavia, la vittoria della signora Gandhi, che rappresenta certamente un elemento di equilibrio e di stabilizzazione sul piano interno, almeno nel breve periodo, può invece costituire, al contrario, un ulteriore elemento di crisi e di incertezza sul piano internazionale. È noto infatti come il nuovo leader indiano intenda la politica di non allineamento che conviene praticare all'India. Un esempio se ne è avuto nell'evoluzione delle dichiarazioni indiane sulla crisi afghana. Se il giorno 7 gennaio, all'indomani della vittoria, l'invasione sovietica veniva definita «un pericolo per l'India», pur sottolineando le «responsabilità americane nella destabilizzazione della regione»; già a una settimana di distanza i portavoce indiani all'ONU si sono fatti sostenitori pressoché interamente delle tesi sovietiche (congiure della CIA in Afghanistan, intervento russo richiesto da Kabul e limitato nel te~po. fino al permanere delle difficoltà interne). E anche vero, tuttavia, che dichiarazioni rilasciate da un portavoce governativo nei giorni successivi 13

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