Una minaccia di richiamo all'osservanza dei patti? Sono tutte domande alle quali bisognerà dare una risposta chiara e inequivocabile andando a fondo su questa incredibile e inquietante vicenda, sperando che attorno ad essa non sorgano le consuete nebbie del segreto di Stato. Tra incudine e Martelli Gianni Fi.rwcchiaro L'«AVANTII• DELL'll GENNAIO HA PUBBLI• cato un lungo articolo di Claudio Martelli dedicato a una serrata analisi della politica socialista negli ultimi tre anni. Su alcune cose dette da Martelli si può dissentire, ma ci sembra corretta la linea di fondo della sua posizione: e cioè che la segreteria Craxi ha avuto un merito innegabile, quello di avere restituito al PSI un volto, un'immagine, che la segreteria De Martino aveva scolorito, anzi svenduto. Questo volto, questa immagine sono stati costruiti con una decisa scelta occidentale e socialdemocratica sul piano internazionale e con una decisa scelta autonomistica sul piano interno. Sotto la direzione di Craxi è emerso, come dice Martelli, un polo socialista combattivo, che sfidava il PCI contendendogli la guida della sinistra e candidandosi a partito protagonista di una governabilità «occidentale». Le critiche che - a nostro avviso - si possono rivolgere a Craxi non riguardano questa scelta, ben- _sì, semmai, le incertezze e le ambiguità che l'hanno accompagnata: la tentazione di scavalcare a sinistra il PCI nella politica sindacale, la posizione eccessivamente «garantista» di fronte all'area dell'autonomia e dei fiancheggiatori del terrorismo, una certa qual vocazione culturale anarchico-libertaria (esaltata e amplificata, con voce stridula, dal alcuni signorini, emersi nel '68, e incautamente imbarcati da Craxi), a scapito di una responsabile cultura di governo. In ogni caso, ove dovessero prevalere, nel Comitato Centrale del PSI che sta per aprirsi, le tesi della sinistra, andrebbero perdute proprio le acquisizioni importanti e positive della segreteria Craxi, e il PSI si avvierebbe ad essere un piccolo vassallo incolore del PCI, come ai tempi di De Martino (ora riportato a galla da Lombardi e Signorile: davvero alle sciagure non c'è mai fine!). Il risultato immediato che ne seguirebbe è fin troppo facile da immaginare, e Martelli lo delinea assai bene: «Privata di ogni flessibilità, mutilata da ogni aspirazione socialita, ridotta · ad un diktat per conto terzi, ad un ultimatum del PSI alla DC per conto del PCI, la richiesta di un governo di unità nazionale avrebbe molte probabilità di ottenere lo stesso risultato già ottenuto nel '76 e nel '79, e cioè lo scioglimento anticipato delle camere. Con l'evidente corollario, già sperimentato, di avere un PSI sotto accusa per manifestata carenza di autonomia, guarda caso ancora una volta sacrificata dalla nota sinergia tra divisioni interne e subalternità esterne». · Ma non meno grave sarebbe il risultato di lungo periodo, sia sul piano internazionale (la sinistra socialista è stata contraria, non lo si dimentichi, al voto del PSI sugli euromissili), sia sul piano interno. -Perché, come mette efficacemente in rilievo Marte!- IL LEVIATANO li, il PSI sarebbe condotto a sottoscrivere una versione tipicamente comunista della «solidarietà nazionale», la quale non viene intesa da Berlinguer come una soluzione transitoria, bensì come una scelta organica, duratura, esclusiva. «Si direbbe - scrive Martelli - che la rigidità dell'alternativa berlingueriana "governo od opposizione" si sia ulteriorrnente accentuata nel dilemma di cui noi socialisti dovremmo farci carico così come viene prospettato: o il compromesso storico o un'opposizione strategica». Ma ciò significherebbe la fine del PSI in quanto forza autonoma. In realtà, come ha rilevato Lucio Colletti in un'intervista data a «La Stampa» (dell' 11gennaio), quello che sta rifiorendo in ampi settori del PSI è «lo stile dell'ultima fase della segreteria De Martino, di quando si cominciò a perorare la causa, anziché del proprio, di un altro partito. Se il partito comunista era indispensabile per bocca dello stesso leader del PSI, l'elettorato non poté che prenderne atto. Sta accadendo qualcosa di analogo». È facile immagina-. re poi, aggiunge Colletti, quale stabilizzazione sociale e politica comporterebbe l'ingresso del PCI nel governo in·questo momento internazionale, dopo gli avvenimenti afgani: alle resistenze interne si aggiungerebbero infatti le comprensibili reazioni dei nostri alleati occidentali. Bastano questi pochi cenni, crediamo, a far intendere quale sia la posta in gioco al prossimo Comitato Centrale del PSI, e quale la sua importanza per la sopravvivenza della democrazia in Italia. Bruno Anioni Fuori dalle « mentite spoglie» S, SUCCEDONO I CONGRESSI E I COMITATI centrali, ma il tema delle malinconie socialiste è inesauribile. Norberto Bobbio ha detto che «il Partito socialista o è un partito etico o non è». Noi ci accontenteremmo che fosse un partito politico, ben consapevole di quello che vuole e capace di seguire una linea strategica coerente. E, invece, siamo ridotti a questo, che certe verità sul socialismo italiano bi.sogna andarle a leggere sui giornali comunisti. In una tavola rotonda sul numero 2 di «Rinascita», lo storico Paolo Spriano afferma che, proprio mentre cresce un'area di intellettuali e tecnici socialisti, il PSI commette l'errore «di non richiamarsi più a una tradizione del socialismo italiano, tradizione che ha nel riforrnismo un suo punto fermo». Si imbarca l'ambiguo Proudhon, si guarda con sospetto al vecchio Turati. Perché dunque meravigliarsi se il Partito socialista resta fermo al misero 10% e non riesce a decollare come reale forza di alternativa? I partiti non si fanno con le tavole rotonde degli intellettuali e con l'occupazione massiccia delle redazioni giornalistiche e televisive. Le vere radici di un partito di massa stanno nella sua capacità di mantenere una certa memoria storica e di·entrare in contatto con la realtà diversificata e complessa della grande provincia italiana. Cari dirigenti socialisti, meno interviste ali' «Espresso» e più attenzione a quello che succede 5
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