EDITORIALE La grande famiglia NoN CREDIAMO cr srA BISOGNODr sPENdere neanche un rigo per spiegare perché pensiamo che si abbia bisogno, finalmente, di una sicura guida politica, di una stabile maggioranza, di un governo autorevole in grado di affrontare i problemi della crisi economica, sociale, morale, che travaglia il nostro Paese. Un governo autorevole presuppone una maggioranza stabile; una maggioranza stabile presuppone la concordia tra i partner che la compongono sulle cose da fare e sui principi fondamentali che devono guidare l'azione del governo. Bene. Limitiamoci alla politica internazionale. È possibile un governo autorevole, una maggioranza stabile, un programma concordato con il Partito comunista? A noi, francamente, sembra di no. Il mondo, piaccia o non piaccia, è diviso in due blocchi contrapposti, l'uno guidato dalJa Russia, l'altro dagli Stati Uniti. La pace, da trentacinque anni, si regge su un difficile equilibrio economico, politico, militare tra questi due blocchi: un equilibrio a volte rimesso in discussione, modificato in alcune circostanze anche non marginali; ma che pure è necessario garantire nei suoi punti essenziali, se non si vuole precipitare nella catastrofe nucleare. Componente fondamentale di questo equilibrio è la compattezza dell'Alleanza atlantica. Lo hanno ammesso anche i comunisti italiani, che hanno dichiarato, a più riprese, che non intendono, per il momento, «rimettere in discussione,( 'appartenenza dell'Italia alla NATO e al mondo occidentale. Ma se questa posizione anodina avrebbe potuto forse essere sufficiente in un momento in cui la scena internazionale si fosse presentata «tranquilla» (una definizione che, a dire il vero, non ci sembra si attagli a nessuna epoca del dopoguerra, continuamente turbato da guerre locali o civili che hanno sempre coinvolto gli interessi delle grandi potenze), oggi che il confronto si fa più ravvicinato, l'equilibrio più incerto, occorre rinserrare le fila; non bastano ormai sottili «distinguo»: è indispensabile una più stretta cooperazione, una più fidata solidarietà. È il Partito comunista disponibile per questa politica internazionale? I comunisti rispondono onestamente di no. Alessandro Natta, correttamente, smentisce, sul «Corriere della sera» dell' 11 gennaio, che l'atteggiamento del PCI sulla questione dell'Afghanistan possa essere 2 considerato una «svolta storica» e ricorda l'analogo giudizio espresso «nel '68, dopo l'intervento sovietico in Cecoslovacchia». Ma tra l'intervento in Cecoslovacchia e quello in Afghanistan c'è una profonda differenza: il primo, per quanto appaia mostruoso e in ogni caso chiarificatore della reale natura dell' «internazionalismo» di Mosca, fondato sul principio imperiale della «sovranità limitata» dei Paesi socialisti, nasceva però anche, se non soprattutto, dal timore che l'equilibrio tra le superpotenze fosse turbato; l'invasione dell'Afghanistan invece è esattamente un atto di forza per modificare quello equilibrio a favore di una parte. Il dato caratterizzante dell'azione russa non è forse il fatto che, per la prima volta nel dopoguerra, la Russia occupa militarmente un Paese ufficialmente non allineato, regolarmente rappresentato alla recente conferenza dell'Avana? E come si può pensare che un gesto esplicitamente aggressivo non incontri una ferma risposta da parte dell'Occidente? Proprio perché è necessario arrestare una logica il cui sbocco non può che essere un conflitto di proporzioni apocalittiche, proprio perché è necessario salvare la pace, i russi debbono pagare un prezzo, il più elevato possibile, per quello che lo stesso Partito comunista definisce una «inammissibile violazione» dei principi fondamentali della pacifica coesistenza tra i popoli. L'Occidente, in altre parole, deve compiere tutte quelle azioni, dall'aiuto ai patrioti afghani, al blocco delle forniture di merci strategiche, al rafforzamento del proprio apparato di difesa, che convincano il Cremlino che l'aggressione non paga. Se il bilancio dell'invasione dell'Afghanistan sarà per i russi, alla fine, positivo, si può essere certi che l'offensiva sovietica non si fermerà a Kabul. Quale linea di politica estera propongono invece i comunisti italiani? Una linea di protesta verbale - che ha, certamente, il suo peso (non riteniamo utile mettere sullo stesso piano chi dissente e chi consente con il Cremlino) ma che, lo si ammetterà, non ha mai spaventato troppo le dittature -, e il mantenimento però di una politica di «distensione», come se nulla fosse accaduto. Se c'è qualcuno che pensa di poter persuadere i sovietiçi ad andarsene gratis da Kabul, si faccia avanti; se invece, escludendo una risposta militare, si auspica sinceramente una trattativa che li induca a sgombrare il 22 GENNAIO 1980
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