lettera apparsa sul numero di «Rinascita~ del 21 dicembre, e firmata da numerosi dirigenti e militanti comunisti, nella quale si legge: «il continuo ricorso alle colpe americane porta, in ultima analisi, a una sottovalutazione dell'atto di banditismo internazionale ... gli Stati Uniti, come per l'ayatollah, anche per molti nostri compagni sono il Nuovo Satana ... Si ripete spesso che bisogna non essere '"eurocentrici", comprendere le realtà differenti: ma così si finisce in un eurocentrismo di segno opposto, di sapore vagamente razzista. quando si considera tutto quasi normale e possibile solo perché "là" sono tanto differenti da sembrare un'altra razza umana». Sono parole dettate dal buon senso, che non pretendono certo di dare soluzioni ai problemi aperti, ma riflettono uno stato d'animo di insofferenza nei confronti delle manifestazioni di indulgenza e di compiacimento per i luoghi comuni e le enunciazioni propagandistiche. L'Iran quindi. oltre i motivi intrinseci di interesse che presenta un'esperienza storica nuova e sconvolgente, ne ha uno tutto particolare se visto attraverso la lente del più eurocomunista (insieme a quello spagnolo) dei partiti comunisti occidentali; coinvolgendo problemi di sicurezza. di schieramento. di equilibri internazionali. di solidarietà con i movimenti del terzo mondo, di attrazione e repulsione verso una tradizione culturale e politica come quella islamica, profondamente estranea alla tradizione operaia occidentale, l'Iran restituisce all'analisi comunista, come in uno specchio. tutte le contraddizioni e le difficoltà della sua attuale fase di passaggio da una posizione di estraneità al sistema occidentale a una posizione di adesione critica, ancora piena di contraddizioni e di ripensamenti. Ho già avuto modo di affermare che uno dei motivi di crisi dell'Occidente consiste proprio nella difficoltà che esso incontra nel favorire la formazione nel terzo mondo di modelli alternativi a quello delle dittature rivoluzionarie. È su questo terreno che l'Occidente (e non solo l'Europa, come pensano i comunisti italiani) gioca la sua tradizione economica, sociale e culturale. ed a questa battaglia i comunisti italiani potranno dare certo un contributo importante. soprattutto se accetteranno di farsi carico di quei problemi di sicurezza internazionale che l'adesione a una sistema, sia pure critica, deve necessariamente comportare. Nel caso della rivoluzione iraniana questa considerazione è stata spesso posta in secondo piano; ma l'incalzare degli avvenimenti, quelli afghani in primo luogo, potrebbe modificare anche le tradizioni più consolidate. Per alcuni non era mai nato È MORTO IL IOGENNAIO, ALL'ETÀ DI 85 ANNI, il sindacalista americano George Meany. ex presidente della potentissima centrale sindacale americana AFL.CIO. Meany si era ritirato da pochi mesi, dopo aver diretto il sindacato per ben 25 anni, condizionando tutti gli avvenimenti della politica estera e interna americana in questo periodo. Il suo ruolo sulla scena del sindacalismo americano cominciò a divenire di primo piano nel 1934,quando fu nominato presidente della federazione sindacale dello Stato di New York; nel 1940divenne tesoriere dell'Amerran federation of labour; nel 1952 capo esecutivo e poi IL LEVIATANO presidente, come si è. detto, per 25 anni. Molto amico di Kennedy, e poi di Johnson, fu determinante nella loro elezione alla presidenza. Altrettanto determinante fu nell'elezione di Nixon la sua decisione di non appoggiare la candidatura di McGovern. Nei confronti dell'attuale presidente Carter, Meany conservò sempre un atteggiamento di diffidenza: lo giudicava conservatore in politica interna e disfattista in politica estera. Meany appoggiò fino in fondo la politica d'intervento americano nel Vietnam, e reagì poi alla sconfitta appoggiando una politica isolazionista e protezionista. Nell'ambito del sindacato restano famose le sue lotte con J immy Hoffa e la mafia, e contro Walter Reuther, lotte dalle quali uscì sempre vincitore utilizzando tutti i mezzi che il duro sindacalismo americano, con la sua enorme struttura di potere, gli metteva a disposizione. Populista e conservatore, duro uomo di potere e amato da una base che sempre blandiva e incoraggiava sul piano delle richieste materiali, egli è stato uno dei più significativi esponenti di questo sindacalismo americano che da noi si continua a considerare come una creazione estranea ai moduli previsti dalla teoria, e quindi come qualcosa che si può continuare a non conoscere perché, non esistendo nella teoria, è come se non esistesse affatto. L'atomo brasiliano CoNTRARIAMENTE ALLE NOT1z1E CHE DANNO la giunta brasiliana in difficoltà e che vedono nella apertura nei confronti delle vecchie forze politiche brasiliane un segno appunto di questa crisi, numerosi altri segni indicano invece un notevole incremento del dinamismo politico brasiliano. Tra questi va segnalato il progresso compiuto dal Brasile nello sviluppo del suo programma nucleare e i legami che attraverso questo sviluppo esso va instaurando nell'ambito dei Paesi del Terzo Mondo. Il programma nucleare brasiliano nasce dagli accordi stretti in passato tra il Brasile e la Repubblica Federale Tedesca, accordi attraverso i quali il Brasile si è assicurato sia la tecnologia nucleare, sia la costruzione di reattori. Da questi accordi il Brasile muove oggi per stringere accordi analoghi con altri Paesi del Terzo Mondo, accordi che lo vedono però questa volta nel ruolo di venditore, sia di tecnologia che di combustibile nucleare. È di questi giorni l'accordo tra Brasile e Iraq, che prevede la vendita a questo Paese di tecnologia nucleare, di uranio naturale e la costruzione di reattori. In questo modo, l'Iraq, che fornisce al Brasile il 40% delle sue necessità petrolifere, si è assicurato, per interposta persona, la tecnologia e il combustibile nucleare tedeschi, oltre alle armi sofisticate che il Brasile già aveva fornito all'Iraq in passato, sempre riciclando materiale ricevuto da altre potenze occidentali. Un accordo analogo a quello sottoscritto con l'Iraq è attualmente in discussione tra Brasile e Venezuela, ed è poi in lista di attesa l'Argentina, anch'essa interessata ad assicurarsi la sua parte in questa corsa all'atomo da parte dei più importanti Paesi del Terzo Mondo. I vantaggi che il Brasile si prefigge attraverso questi accordi sono evidenti: da una parte ridurre le spese ingenti sostenute per assicurarsi la tecnologia tedesca, dall'altra ritagliarsi una quota sul mercato mondiale del nucleare e incrementare, attraverso questa strada, il suo peso sulla scena mondiale.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==