pressione di ogni libertà, a volte con manifestazioni di grande crudeltà. Ha ragione ancora Popper: il marxismo, matrice di questi erroriorrori, è uno degli equivoci in cui una parte dell'umanità è caduta nelle lotte per costruire un mondo migliore e più libero. E della matrice marxista che il socialismo deve liberarsi se vuole sposarsi con l'aggettivazione liberale. Trovo accettabili le tesi di socialisti come Pellicani, il quale, per esempio, non esita a rifiutare l'economia da parte dello Stato. Come conciliare, del resto, il monopolio statale dei mezzi di produzione col pluralismo politico e culturale? Non possono esserci dubbi, mi pare: il monopolio implica il controllo totale degli attori sociali. Altrimenti dove sarebbe più la libertà? La coesistenza della libertà con la gestione monopolistica delle risorse è impossibile. In altre parole - lo dice lo stesso Pellicani - il socialismo di Stato è incompatibile con la democrazia liberale. Allora diciamo pure chiaramente a questo punto che marxismo e liberalismo sono inconciliabili. In Marx - e qui cito contemporaneamente Pellicani e Giuseppe Bedeschi - non c'è posto per le libertà dei moderni. Ecco i temi su cui deve esercitarsi la ricerca di quanti onestamente e sinceramente vogliono trovare un punto d'incontro tra liberali e socialisti. Occorre però uscire dai vecchi schemi ideologici, dalla gabbia dei miti ottocenteschi, altrimenti inutilmente si cercherà una base comune di pensiero e di azione politica. Se non si spezzano le vecchie catene e non si fa finalmente ricorso alla ragione, non sarà possibile trovare quel minimo comun denominatore indispensabile, pur nelJe diversità innegabili, per costruire insieme una società nuova, ciascuno con il contributo della propria esperienza e delle proprie idee. Non so quanti di noi se ne rendono conto, ma qui stiamo muovendoci dentro un quadro sociale e morale in continua mutazione, stanno saltando tutti i vecchi schemi nel rapporto tra forze politiche e forze sociali, e i vecchi canali di comunicazione fra potere e opinione pubblica si sono sclerotizzati, così come sclerotizzate sono le vecchie ideologie. Siamo tutti «fuori gioco» e, se non facciamo presto a prendere coscienza del «nuovo» che c'è nel mondo, andremo tutti in pensione per volontà del Paese, salterà il sistema. Le elezioni del 3 e del IOgiugno 1979 sono state il primo segnale della volontà del Paese di contare veramente e di non tenere più conto dei parametri offerti dai partiti. Quel risultato elettorale non è tanto importante per quel che ha detto in cifre, ma per quel che promette in futuro. E nessuno si illuda d'essere dalla parte giusta. Che cosa voglia il paese pochi ancora riescono a capirlo. In quest'ordine di considerazioni e di riflessioni, in questa prospettiva, la ricerca di un'intesa tra forze di democrazia socialista e forze di IL LEVIATANO democrazia liberale è vieppiù interessante e importante, perché è il tentativo di due forze tradizionali, che esprimono le aspirazioni. fondamentali dell'individuo - giustizia e libertà - di cercare insieme, in un confronto senza riser-. ve, ma anche senza equivoci, il modo per rendere meno traumatico il passaggio da una fase vecchia a una fase nuova della politica italiana, interpretando per quanto ci è possibile umori e tensioni della società in movimento senza rinupciare ciascuno al proprio ruolo storico: le forze di democrazia liberale a difendere le libertà dell'individuo, le forze di democrazia socialista a proteggere l'individuo dai pericoli, possibili, degli eccessi di liberismo. Ma, fatto questo ragionamento di fondo, occorre fame subito uno di tipo più pratico, più immediato. C'è un problema dal quale possiamo ·e dobbiamo partire per camminare insieme: la ricerca di una nuova «centralità» nella politica italiana. Se c'è un pericoloso vuoto nel nostro attuale quadro politico è proprio la mancanza di un polo di attrazione, di un elemento equilibratore che possa rappresentare il punto di aggregazione per la governabilità del Paese. Questo polo, questo elemento, fino a prima del 3 giugno era rappresentato, nel bene e nel male, piacesse o meno, dalla DC. Lo era di fatto: la posizione centrale della DC era determinata dalla sua forza numerica (e questa era una scelta dello elettorato) e dalla volontà stessa della dirigenza democristiana sin dall'epoca di De Gasperi. Mi pare che su questo ruolo storico della DC - ruolo· di mediazione e di coordinamento anche di altre forze - non sia neppure il caso di discutere: esso c'era di fatto ed è stato esercitato, comunque lo si voglia giudicare «a posteriori». Ma ecco il punto che oggi deve interessarci: quel ruolo la DC non lo possiede più, un po' -e direi soprattutto - per volontà di una nuova dirigenza che ha condotto una politica unilaterale, un po' per scelta dell'elettorato, che ha tolto al partito democristiano quella forza numerica che ne faceva l'arbitro dello schieramento politico. È ciò che oggi piace chiamare perdita di egemonia della DC nella vita italiana e che in prospettiva può determinare mutamenti di schieramento persino sconvolgenti. Quale che sia l'ottica nella quale ci si pone, non c'è dubbio - come ho già detto - che stiamo assistendo all'inizio di una fase nuova di cui è difficile prevedere l'epilogo. È un momento di generale smarrimento - non solo della DC - di incertezza e insieme di ricerca di nuovi assetti, di nuovi schieramenti. Lo dimostrano i tormenti interni di tutti i partiti, nessuno escluso, dal più grande al più piccolo. E diciamolo pure, un momento di crisi di ideologia e persino di culture: una crisi che tocca i «quadri» ma che viene anche dalla base perché di sicuro ad essa contribuiscono sia la incapacità dei partiti di «mediare» con l'opinio11
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==