LIBERALISMO EGIDIO STERPA Dall'assistenzialismo allaparalisi dello Stato IL UBERALISMO TENDE PRINCIPALMENte all'affermazione e alla protezione dell'individuo. Il socialismo tende anch'esso alla protezione dell'individuo ma ha in sé la concezione, esplicita o implicita, che la costrizione dell'individuo è inevitabile. Tanto vero che il punto di frizione all'interno della stessa sfera ideologica socialista è proprio quest'ultimo: la misura della costrizione, che arriva, come nel caso dei paesi del cosiddetto socialismo reale, fino al peggiore totalitarismo. Non è infondato dunque il sospetto, da parte dei liberali, che anche per la miglior via socialista si possa arrivare prima o poi a istituzioni che comprimono le libertà individuali o di gruppo. Per il socialismo, che nasce marxista e comunque ne porta l'impronta, la componente «materialista», costituita dalle attività e dalle relazioni produttive dell'uomo, ha un'importanza particolare, quasi esclusiva; tanto vero che la lotta tra le classi sociali viene intesa come motore principale delle trasformazioni storiche. Ecco un'immagine e un'interpretazione della storia che i liberali non possono condividere. Il futuro, come direbbe Popper, dipende da noi, cioè dagli individui, e non siamo noi a dipendere dalle necessità storiche. Se si rinuncia a questa versione della storia, che è ideologica e morale, si finisce fatalmente in una concezione della vita e della società tutt'altro che liberale. Sono tra coloro che apprezzano moltissimo il processo revisionistico dell'autonomismo socialista. Più volte ho avuto occasione di sottolineare positivamente la linea nuova del socialismo craxiano, che ha fatto e sta facendo grandi sforzi per sganciarsi dai vecchi schemi ideologici. Nel suo saggio su Proudhon e anche in altri scritti e discorsi, Craxi lascia intendere chiaramente di considerare ormai il marxismo solo come un metodo d'indagine critica e di vedere in Marx solo il maestro-inventore di una scienza critica della società, rinunciando così a fare della dottrina un dogma e del suo inventore un tabù. Ma ritengo che ancora non si siano fatti sforzi sufficienti per analizzare e smitizzare certi concetti fondamentali marxiani (valore, plusvalore, modo di produzione, ecc.) che danno una rappresentazione del capitalismo che 10 non corrisponde più alla realtà. È questo il punto su cui occorrerebbe approfondire il dibattito per potersi mettere concretamente sulla via di una onesta e proficua ricerca di un minimo comun denominatore tra liberalismo e socialismo. Pongo a questo proposito, alcune domande di fondo. Come va inteso concettualmente e politicamente il capitalismo oggi? Quale ruolo si riconosce alla libera iniziativa? Il capitalismo va considerato ancora il nemico numero uno per i socialisti? Ricordo un lungo colloquio che ebbi con La Malfa - che in quel momento era in una fase di ripensamento nel suo colloquio critico con i comunisti - alcuni mesi prima che morisse, di cui riferii sul «Giornale nuovo» (Seguì, poi, una sua lunga intervista con Ronchey). Se non si smette di considerare il capitalismo come il pupazzo su cui scaricare tutte le responsabilità - egli disse in polemica con Amendola - si farà solo delle logomachia sterile e della demagogia. Il capitalismo non è un sistema politico ma uno strumento per la produzione, un metodo, di cui vanno corretti i margini di sfruttamento, ma non già da combattere ciecamente per abolirlo. Del resto che cosa si propone in alternativa al capitalismo come strumento per la produzione? L'esperienza leninista? In Russia - dove, è bene sottolinearlo, si partiva da una situazione che in occidente non ha riscontro: enormi risorse, una gran massa di contadini e una classe dirigente arretrata - l'alternativa è fallita, e sappiamo quanto è costato questo fallimento in costrizioni e anche in vite umane. Ma, oltre a quella russa c'è l'esperienza cinese: anche li si è stati costretti a prendere atto che nulla si costruisce senza la passione creativa, dell'uomo, dell'individuo, e senza la molla del profitto, che è un'aspirazione naturale, insopprimibile, e anche giusta, dell'uomo. Ma restiamo al «caso italiano». Mi chiedo quali altri spazi restino ancora da occupare allo statalismo. Gli spazi di libertà individuali, e non solo in economia, sono ormai tanto sottili, così magri, che non è un caso la riscoperta, a livello di opinione pubblica, di certi valori liberisti. In Italia in tutti questi anni, con riforme, leggi e leggine, abbiamo creato uno stato assistenziale come non ce n'è l'esempio al mondo, uno stato superburocratico che assiste male e che, già ora semiparalitico, sta avviandosi alla paralisi completa. Il peggior nemico, oggi, non è il capitalismo, come si continua a far credere, ma sono la burocrazia e l'ideologia dogmatica che impongono o possono imporre il proprio sfruttamento o il proprio totalitario dominio. È questo il più grande errore a cui ha portato in molti paesi - e potrebbe portare anche in Italia - l'accettazione irrazionale dell'onnipotenza delle idee e dei dogmi. All'Est le rivoluzioni, con tutto il loro apparato di dominio, hanno portato alla sop22 GENNAIO /980
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