Il Leviatano - anno II - n. 1 - 15 gennaio 1980

t 500 lire IL LEVIATANO settimanaledi commentopolitico ----♦■--- Non c't sulla Ttrra chi sia .superiore al Leviatano, il quale è fallo per non avere paura: egli guarda in faccia L'arte imita quel razionale e più eccellente lavoro della natura che è l'uomo. Poiché con l'arte è creato quel gran leviatano, chiamato StPto (in latino civitas), il quale non è che un uomo artificiale, benché di maggiore statura e forza del nalurale, per la protu.ione e difesa del quale fu concepito. tutto ciò che è eccelso, egli è re su tulle le creature più superbe. (Giobbe, XLI. 25-26/ Il grande Leviatano è quell'unica creatura al mondo che dovrà restare senza ritraili sino al/a fine. Questo leviatano ci scende addosso. dibattendosi dalle Jo111i dell'Eternità. (H. Melvillc. Moby Dick. capp. LV. CV) in questo numero: (T. Hobbes.-Leviatano, Introduzione/ E quantt nature poe.ticht non ho incontrato a/fallo? E quante ne hai strangolate tu nel corso di questi decenni, maltdelto Leviatano? /A. Solzenicyn. Arcipelago Gulag. V, S) Una lettera di Nenni al «Leviatano» Tre testimonianze su Nenni di Cattani, Finocchiaro, Tamburrano Intervista esclusiva con HubertMatos comandante guerrigliero condannato a venti anni di carcere raccolta da PierreGolendorf Masini sulla figura di Andrea Costa - Il congresso del PSDI - Un'intervista di Signorile ,Misfatti della magistratura milanese Le «svolte storiche» inventate da Eugenio Scalf ari Collaboratori: GIOVANNI ALOOBRANDINI, GIUSEPPE ARE, DOMENICO BARTOLI, GIUSEPPE BEDESCHI, ENZO. BETTI· ZA, PAOLO BONETTI, LUCIANO CAFAGNA, VENERIO CATTANI, LUCIO COLLETTI, VEZIO CRISAFULLI, RENZO DE FELICE, PAOLO DEMARTIS, CELSO DESTEFANIS, SIRIO DI GIULIOMARIA, GIANNI FINOCCHIARO, ALDO GAROSCI, PIER CARLO MASINI, NICOLA MATTEUCCI, RENATO MIELI, SANDRO PETRICCIONE, ALDO G. RICCI, GUIDO RILLETTI, ROSARIO ROMEO, ALBERTO RONCHEY, DOMENICO SETTEMBRINI, GIUSEPPE TAMBURRANO, PAOLO UNGARI, GUELFO ZACCARIA. Direttore responsabile: GIULIO SAVELLI t5 gennaio 1980

EDITORIALE Lezioni degli anni 70 QuELW CHE SI È CHIUSO È STATO IL DEcennio dell'utopia. Molti sono i segni che fanno ormai ritenere che la realtà degli anni ottanta costringerà buona parte di quei pochi che ancora vi si attardano a tornare con i piedi per terra. Non si è chiuso, è chiaro, per quanti, per pigrizia mentale o senile conservatorismo, hanno pensato che questo fosse il migliore dei mondi possibili e si sono augurati che tutto potesse restare com'è. Per quanti hanno creduto che l'economia occidentale e il benessere materiale che essa ha prodotto nella nostra parte del mondo dovesse esser pagato dalla miseria e dalla fame di due terzi dell'umanità e da drammatiche convulsioni nell'occidente stesso e questo prezzo sono stati disposti a pagare senza neppure chiedersi se potesse esser scontato. O per quanti, al contrario o insieme, hanno pensato che la prospettiva di una maggiore eguaglianza e dignità umane dovesse essere conquistata attraverso un lungo purgatorio di gulag. assassini. stragi. Parliamo invece di quanti, per giovanile disposizione al nuovo o per scelta morale di combattere in nome della giustizia credettero a ragione che il nuovo e il migliore fossero possibili, ma persero di vista le condizioni reali da cui partire; e rifugiandosi con la mente in mondi immaginari, operarono intanto per distruggere anche quanto valeva la 2 pena di essere conservato. Parliamo dei giovani in buona fede della fine degli anni sessanta e di gran parte degli anni settanta, che credettero che la buona strada fosse quella. anziché di riformare. di rivoluzionare il mondo. In un noto racconto filosofico (Le Monde comme il va, 1748), Voltaire immagina che i geni che sovrintendono agli imperi del mondo, stanchi delle follie e degli eccessi di Persepoli (=Parigi, il mondo moderno), decidano di punire o addirittura distruggere quella città. Prima però affidano allo scita Babouc la missione di esaminare la situazione in loco e redigere un rapporto. sulla base del quale prendere una decisione definitiva. Babouc scende dunque a Persepoli: incontra la ferocia dei soldati, la superstizione delle plebi, la depravazione dei costumi, l'ingiustizia dei ricchi, la corruzione dei magistrati, la malignità dei letterati, l'arroganza dei potenti e l'invidia degli sciocchi; e però, malgrado questi vizi rivoltanti, Babouc sa scoprire anche i lati positivi, l'umanità, l'amore, il disinteresse che si mescola, nei comportamenti degli abitanti di Persepoli, alle nequizie. Al momento di redigere il rapporto, Babouc, dopo dubbi e incertezze - racconta Voltaire - «fece costruire dal migliore fonditore della città una piccola statua composta dei minerali, delle pietre, dei metalli più preziosi mescolati con i 15 GENNAIO /980

più vili. E ai geni disse: «Distruggereste questa graziosa statuetta solo perché non è fatta solo con oro e diamanti?». I geni compresero al volo e decisero di abbandonare perfino il progetto di correggere Persepoli, e di lasciare andare il mondo come va. Perché, conclusero, «si tout n' est pas bien,tout est passable. Spirito di rifonna e spirito utopistico-rivoluzionario. li primo che, pur sapendo distinguere tra metalli nobili e metalli vili e proponendosi il miglioramento della lega, comprende però la complessità dell'intreccio, al limite la funzione stessa anche dei metalli vili, e soprattutto parte della imprescindibile necessità di non spezzare ciò che, nel bene e nel male, è la realtà esistente. Il secondo che ritiene che il compito fondamentale sia spezzare la statua per costruirne una nuova; distruggerla per isolarne i metalli preziosi, sciogliere la lega del bene e del male. E quindi, mentre chi pensa che «tout est passable» rifiuta la possibilità di concepire un mondo perfetto e vede, persino con un certo «scetticismo», solo la possibilità di miglioramenti e aggiustamenti, senza mai illudersi di raggiungere il mondo ideale; chi, al contrario, parte dal più pessimistico dei giudizi sulla società così com'è, sogna una società perfetta, sogna la palingenesi che, distrutte le radici del male, porti l'uomo al bene assoluto. Laddove per Voltaire l'idea stessa della perfezione è un «progeno insensato», per i rivoluzionari i mali peggiori che l'umanità conosce avranno un loro mistico riscatto nel bene finale ed eterno frutto dell'attimo del rovesciamento rivoluzion~rio. Nel decennio trascorso, prevalse lo spirito rivoluzionario; in quello che ora si apre - se la previsione appare azzardata valga l'augurio-, prevarrà lo spirito di rifonna. Prevarrà perché tante e dure smentite sono venute negli anni settanta alle illusioni dell'utopia. Quante illusioni sul Vietnam! Non si volle vedere quello che pure, se non si fossero chiusi gli occhi, era già comprensibile, addirittura lampante. Non si volle prendere atto che il IL LEVIATANO regime di Hanoi era illiberale e totalitario; non si volle ricordare l'esodo del 1954verso Saigon; non si volle credere che il Vietnam del Sud e quello del Nord avrebbero finito per assomigliarsi come due gocce d'acqua: ci si ritrovò con i boat people. Tutto sembrava semplice, generoso, esaltante. Il popolo vietnamita unito contro il gigante imperialista americano; il fronte patriottico variegato e pluralista; le promesse elezioni; la giustizia trionfante. Di quei vietnamiti che aspettavano la liberazione dal Nord, oggi un milione sono in carcere, centinaia di migliaia sono fuggiti o morti cercando di fuggire, chissà quanti sono stati uccisi o languono nei campi di concentramento. Molti di coloro ora privati della libertà, se non già della vita, si sono battuti contro gli americani: tra gli altri (ricaviamo i nomi da Le goulag vietnamien di Doan Van Toai), Ta Nguyen Minh, 80 anni, imprigionato sedici volte dai francesi, da Diem e da Thieu; Nguyen Van Than, 80 anni, veterano della rivoluzione: Tran Huu Thanh, presidente del «Movimento contro la corruzione» durante il regime di Thieu; Thanh Thuong Hoang, presidente del Sindacato dei giornalisti vietnamiti; Ho Huu Tuong, condannato a morte da Diem; Thien Hue della pagoda Dai Giac; Nguyen Van Hieu, membro del Partito comunista per trenta anni e comandante dell'offensiva del Teta Saigon nel 1968;Vu Dang Dung, presidente del «Movimento per l'applicazione degli accordi di Parigi»; Tran Dahn San, presidente del «Movimento per i diritti dell'uomo», già imprigionato da Diem; Nguyen Huu Giao, che organizzò l'incendio del centro americano di informazioni a Hué, imprigionato da Diem; Hai Chien Thang, comandante in capo, per il Fronte nazionale di Liberazione, della regione SaigonGia Dinh; Mai Van So, fratello dell'ex-ambasciatore nord-vietnamita a Parigi Mai Van Bo (con il quale tanti sostenitori del Vietnam ebbero allora contatti); Thich Quang Do, segretario generale della Chiesa buddista unificata del Vietnam (pagoda di An Quang), ecc. 3

Che ne è dei dirigenti non comunisti del Fronte nazionale di liberazione? Che ne è dei confratelli dei buddisti che si immolavano col fuoco? Durante il regime di Thieu c'erano a Saigon du~c€:nto gi_o~alisti _str_anieri:ora. con I~ «libertft». 1g1omahst1 stranieri sono scompars1. Come sono scomparsi i libri e i giornali d'opposizione. che invece. con Thieu. che non era certo un campione della democrazia. c'erano. Ai funzionari corrotti di Thieu si sono sostituiti altri funzionari che. ora. vendono cibo. il permesso di vedere o di scrivere a un prigioniero. il diritto di fuggire. la libertà. la vita. Che ne è dell'illusione che i vietcong. lottando per la liberazione del proprio Paese. si battessero anche per il principio dell'indipendenza di tutti i popoli. dopo che duecentomila vietnarniti occupano ora militarmente la Cambogia. con il trasparente paravento dei soliti Quisling? Miserabili fantocci. uno dei quali. Pen Sovan. ha il coraggio di dichiarare pubblicamente: «Mi fa ridere» - testuale - «Mi fa ridere sentir dire che in Cambogia c·è gente che muore di fame»: lo fanno «ridere» le fotografie agghi:1ccia~ti _did~nn_ee bamb_iniche ricordano gli scJ1eletn v1vent1d1 Auschw1•7 e Ruchenwald? L'illusione che la filosofia. la logica profonda. i metodi del movimento comunista possano condurre a esiti diversi da quelli che si sono effettivamente conseguiti è vecchia quanto le prime delusioni dopo la Rivoluzione ù'ot1ohre. Alla tragedia del comunismo di guerra. l'Opposizione di ~ini~tra ri~po~e proponendo pilÌ comunisrno: Bordiga. seguito ùa tanti cretini degli anni settanta. per spiegare le malefatte staliniane inirnaginerà addirittura che in Russia ci fosse.-- il capitalismo: Trotskij parlò di rivoluzione rradira e ne spiegò la barbarie con l'isolamento dell'URSS. mentre la barbarie permane quando il campo socialista si allarga. L'illusione del comunismo liberale. dopo le amare esperienze della satellizzazione dell'Europa orientale, cercherà consolazioni in Fidel Castro, poi nel Mao della rivoluzione culturale. poi in Ho Chi Minh, in Poi Pot: con seguito di immancabili e inevitabili frustrazioni. Non dovrebbe la fine degli anni settanta far comprendere definitivamente che chi ripercorre la strada dell'Ottobre, della collettivizzazione, della dittatura del proletariato. del partito unico. della pianificazione globale, del centralismo democratico. del leninismo. si ritrova sempre allo stesso capolinea? Legata al Vietnam (e prima a Cuba) era anche l'illusione che si potesse combattere contro l'Occidente senza portar acqua al mulino del Cremlino. La verità. di cui non si volle tener conto. è che. nell'epoca moderna. le guerre di liberazione nazionale (e le rivoluzioni) sono anche guerre tra le superpotenze per il controllo o l'allargamento delle rispettive sfere di influenza. I vietnamiti,è incontestabile. mantennero a lungo durante la guerra una posizione indipendente all'interno del campo socialista. Eppure la guerra del Vietnam finì per essere anche la guerra di Mosca. frustrando le illu~ioni che così potesse non essere. A suggello del decennio, la conferma di questa verità viene dall' Afghanistan. dove, con tecnica inusitata e moderna. il nuovo capo del governo viene sbarcato dallo estero direttamente nel palazzo che gli occupanti stranieri gli riservano. Pinochet. Suharto, Mobutu. Husak e Bilak. almeno. erano già in patria al momento del colpo di Stato. Per i crimini di Hafizullah Amin viene sterminata la sua famiglia! Ci si può ancora illudere. all'inizio degli anni ottanta. di giocare con Mosca contro Mosca. di indebolire l'Occidente usando i russi senza rimanerne prigionieri? Altre illusioni sono cadute. I giovani in buona fede dello scorso decennio non hanno creduto che ci fosse la libertà dove non c'era; non hanno pensato che i campi di concentramento esistes15 GENNAIO 191/0

sero per il bene dei russi; non hanno creduto che nei Paesi socialisti vi fosse l'eguaglianza; non hanno creduto che la repressione in Ungheria o l'invasione della Cecoslovacchia fossero un aiuto fraterno. Dove non c'era libertà. hanno, abbiamo creduto. saputo. detto che non c'era. Dove c'era bestiale sfruttamento. l'abbiamo riconosciuto. Dove c'era fanatismo. intolleranza, inciviltà lo abbiamo francamente detto. Ma abbiamo anche creduto che questo non dipendesse dalla base economica del socialismo. Seguendo Trotskij abbiamo creduto che si dovesse mantenere la proprietà statale dei mezzi di produzione e aggiungervi la democrazia; anzi abbiamo pensato che su quella base materiale si sarebbe potuta innestare una democrazia migliore di quella occidentale. la democrazia dei consigli. la democrnzia diretta. Come spiegavamo che proprio là dove c'era la base materiale del socialismo vi fosse la più spietata dittatura della storia? Ce ne demmo tante spiegazioni: l'arretratezza della Russia. la distruzione della classe operaia durante la guerra civile. la morte di Lenin, l'avvento al potere di una burocrazia proliferata nella subcultura dello zarismo. l'accerchiamento capitalista. Tutto poteva spiegare la «degenerazione». purché si mantenesse fermo che il «socialismo» era un'altra cosa. e una cosa possibile nella libertà. Gli anni settanta non possono non averci fatto cambiare idea. Primo: perché il ripetersi del fenomeno della dittatura più feroce in tutti i paesi a base economica socialista smentiva tutte le nostre spiegazioni. fondate sulla peculiarità della rivoluzione russa. Secondo: perché. partendo dall'esperienza storica. abbiamo finito per ripensare anche alla nostra teoria. Se il socialismo deve coniugarsi con la libertà. esso deve nascere dalla società così come essa è e come evolve: non può essere un atto di violenza contro la società. Ma la società. invece di semplificarsi in due classi di irriducibili nemici. come prevedeva Marx. permane articolata. anzi diviene più articolata. ape11aa mille e mille idee e iniziative che il collettivismo soffocherebbe. Siamo giunti insomma alla conclusione che se per socialismo si intende tutta l'economia nelle IL LEVIATANO mani dello Stato. esso non può che essere profondamente illiberale. Anzi. che quanto più l'economia è nelle mani dello Stato - anche se a volte l'intervento statale può essere necessario-. tanto più lo Stato è illiberale. In conclusione. la difesa dei valori di libertà e di democrazia implica che anche l'economia. come l'arte, la cultura. la scienza. dipendano il meno possibile dallo Stato. Ci conferma in queste convinzioni l"esito cui sono pervenuti coloro che. a tutti i costi e nonostante tutte le lezioni. hanno voluto proseguire. anche in Italia. sulla strada della rivoluzione. della violenza contro la società. Non vogliamo disquisire su chi sia personalmente colpevole e chi sia innocente. Ma è certo dalle convinzioni rivoluzionarie portate al fanatismo. cioè mantenute nonostante le lezioni degli anni settanta. che nasce quel museo degli orrori in cui si vedono i compagni uccidere i compagni. e poi uccidere i complici quando dubitano della giustezza della strada intrapresa e divengono 5

perciò pericolosi testimoni; e ancora uccidere i giudici. coi quali v'è stato perfino qualche contatto personale, quando si teme che possano scoprire le malefatte. li tutto in nome del mito rivoluzionario, in nome di quello che si presume essere il bene del popolo, che di quel bene non vuole saperne, che da quel bene, dove c'è, cerca di fuggire in tutti i modi. In nome della società perfetta, ogni principio morale viene intanto calpestato e vilipeso: il compagno. una parola abusata che vuole però sottolineare la fratellanza, l'eguaglianza, la comunione, può diventare la vittima da immolare sull'altare dell'utopia più insensata. All'inizio degli anni settanta sembrava ancora a molti che l'apparato produttivo potesse offrirci sempre maggiore benessere materiale senza il duro lavoro necessario per produrlo. Come nel paese dei balocchi, ci si spiegava che in Italia si doveva guadagnare come in Germania o negli Stati Uniti. ma inceppando quelle faebriche che lì producono a ritmo continuo e con una produttività molto superiore a quella italiana. E oltre ai salari ai livelli più alti, bisognava avere ogni forma di assistenza dallo Stato. per esaudire tutti i bisogni di tutti: non solo la sacrosanta assistenza sanitaria e la previdenza per gli anziani; ma l'elettricità a prezzi irrisori, il telefono autoridotto, i trasporti pubblici praticamente gratuiti, milioni di pensioni di invalidità per giovani sani e robusti; e nello stesso tempo più soldi da investire in nuove fabbriche inutili perché improduttive per far non lavorare tutti e per dare a tutti un salario. 6 Negli anni settanta quasi tutti I part1t1 e i sindacati hanno chiesto, in fondo, la quadratura del cerchio: al loro seguito buona parte degli italiani si è convinta che essa fosse possibile. Che cosa si è voluto? Il capitalismo senza i capitalisti, la ricchezza senza il lavoro. la democrazia. più istruzione e meno scuole funzionanti, più assistenza e meno tasse, meno consumi ma nessuno che consumi di meno. più investimenti e più consumi a parità di prodotto. il diritto per tutti a un titolo di studio non meritato e posti di lavoro intellettuale ben retriibuiti per tutti quelli che non hanno studiato, ordine pubblico senza forza pubblica, il socialismo senza statalismo, gli americani senza rompere con i russi e i russi col beneplacito degli americani, l'aumento di beni materiali per tutti e la libertà per ognuno di fare quello che gli pare. Dov'era il «senso comune» di una società di adulti che scriveva i propri programmi politici ispirandosi al Pinocchio di Collodi? Nel passato decennio due più due sembrava avesse smesso di fare quattro. Tutto sembrava dipendere da un'entità astratta chiamata Stato, che poteva colmare i deficit di tutte le aziende, pubbliche e private. poteva sopperire a tutte le necessità. poteva rispondere a tutti bisogni. Poiché tutti hanno i loro bisogni. e il limite dei bisogni può fissarlo soltanto Dio. tutti hanno partecipato a un'arrembaggio generalizzato di un'entità che ciascuno non sentiva come sua e che a ciascuno però poteva dare il suo. Tutto appariva possibile. una volta perduto il «senso comune». Dagli anni settanta dovrebbe essersi 15 GENNAIO /980

appresa l'elementare lezione che due più due non fa mai cinque, quale che sia il partito al potere e quale che sia il sistema economicosociale-politico immaginato. A chi ancora questa lezione non voglia apprendere gli anni ottanta riserveranno brutte sorprese, soprattutto per l'aggravarsi della crisi energetica, con il crescente prelievo di risorse dalle economie occidentali che essa comporterà. È dalle lezioni degli anni settanta che deve scaturire il programma per il prossimo decennio. Dalla consapevolezza che chi combatte l'Occidente favorisce l'Unione Sovietica, la necessità di comprendere le ragioni profonde e irrinunciabili della nostra appartenenza all'alleanza occidentale, che ha consentito nei trentacinque anni che ci separano dalla fine della seconda guerra mondiale la difesa (o la restaurazione) della libertà e della democrazia non solo nel nostro, ma in tutti i Paesi che ne fanno parte. Dalla constatazione che in tutti i Paesi in cui l'economia è nelle mani nello Stato non c'è né libertà né democrazia, la scelta dell'economia di mercato, sia pure non preclusiva dell'intervento pubblico, là dove esso appaia necessario e purchè subordinato ai più rigorosi controlli di onestà ed efficienza. Dagli orrori della violenza, la fedeltà ai principi della democrazia e della libertà, sanciti dalla Costituzione, che rimane ancora non solo la legge fondam!!ntale dello Stato, ma il baluardo più solido per la difesa dei diritti irrinunciabili di tutti i cittadini. Dalle ingiustizie del corporativismo e dagli sperperi della ricchezza nazionale, la coscienza della necessità del lavoro, retribuito con equità e proporzionalmente alla sua quantità e qualità, un'equità la cui misura è data dall'esistenza di un libero mercato della manodopera, corretto dalla forza che proviene dall'unione dei lavoratori in sindacati depurati dalla demagogia. Da Il LEVIATANO tutto il quadro delineato, la necessità di una ritrovata guida politica del Paese, cui devono dare un contributo forze nuove, non compromesse e non responsabili della cattiva gestione della cosa pubblica del passato, le quali non solo sappiano amministrare con onestà lo Stato al servizio dei cittadini, ma sappiamo anche far prevalere, con l'esempio e l'equità delle leggi, quegli elementari valori della convivenza civile e pacifica, che si riassumono nel rispetto della vita, della libertà, dei legittimi interessi di tutti, commisurati all'effettivo apporto di ciascuno al benessere di tutti. Ciò che serve all'Italia negli anni ottanta è lo spirito giovanile della fine degli anni sessanta, la disponibilità a battersi in nome della giustizia, a migliorare il mondo e il Paese in cui viviamo. Uno spirito non rassegnato e anzi combattivo, dunque; ma capace di liberarsi dell'utopismo e della violenza, che provengono dalla fretta di cambiare in un giorno quanto richiede invece mesi ed anni. Una disposizione d'animo di fermezza, ma anche di pazienza; di giustizia, ma anche di comprensione. Nel decennio trascorso i giovani in buona fede opponevano alle cose presenti un modello astratto, esistente solo nella loro testa, che le lezioni degli anni sessanta devono ora far apparire anche teoricamente sbagliato. All'inizio degli anni ottanta a quel modello astratto occorre sostituire un modello concreto: le società più sviluppate ed evolute dell'Occidente. Un modello, diversamente dal primo, che sembrava perfetto ma che tradotto in pratica diventava sistematicamente mostruoso, un modello, dicevamo, pieno invece di difetti, ma che rimane quanto di meglio, in tutti i campi, dal benessere alla libertà, dalla salute alla democrazia, la ci·;iltà umana abbia tino ad oggi saputo produrre. 7

Capodanno 1980 Caro compagno, ho dato una scorsa al «Leviatano», che mi pare molto interessante. Purtroppo leggere e scrivere mi costa una pena e non sono quindi in grado di corrispondere con la necessaria ampiezza. Auguri per un meno drammatico 1980 e cordiali saluti SF:NATO u1-:r,LA RJ<:PUHlll,H'A L ,~· Ùi r Nenni d.. tJ/>\ ,ft /}1,4,'~!,,-A,\'\.. ~ ~ l~-J.,- 11(0 -'l. 8 Tre testimonianze e una lettera al <<Leviatano» e w-MA' ~~ e,&., ~fa•~ . t,U(. ~~ f /4-t-- ,..,..✓,, I. ~- /~ 15GENNAIO /980

«Se anche noi fossimo_europei... » Az_u VIGIUA DI UNA RIUNIONE DEL Bureau dell'Internazionale Socialista, alla quale ero stato delegato a rappresentare il PSI, andai a Formia per ottenere da Nenni la risposta, della quale mi sarei reso latore, su una certa questione postagli dall'Internazionale. Avrei potuto risolvere tutto anche per telefono. Ma desideravo cogliere l'occasione per avere da Nenni una indicazione che mi aiutasse a sciogliere un dubbio che mi assillava, combattuto, com'ero, tra la disciplina di Partito e la coscienza. Non approvavo la predisposizione della dirigenza del Partito ad entrare nel giro delle oblique manovre che si andavano intessendo per evitare il referendum sul divorzio. E, forse, i miei timori erano esagerati dalla mia appartenenza alla corrente autonomista che, in quel tempo, nel PSI era poco più di una testimonianza, anche se rappresentata da un vice-segretario generale. · I temi principali della politica italiana in quell'inizio dell'anno 1974erano tre: la «repubblica conciliare», il referendum sul divorzio e le prime timide proposte sull'alternativa. Su quei tre problemi - ma specialmente sul secondo - nel PSI vi era una grande confusione; ma altrettanto grande ve n'era negli altri partiti dell'arco laico. Vi erano laici intransigenti che chiedevano senza timori il referendum e subito. Ma ve n'erano altri, possibilisti, che dicevano di temere una guerra di religione. I comunisti paventavano la sconfitta e, peggio, la «spaccatura del Paese»; ma in realtà temevano di perdere il contatto con la Democrazia cristiana. Ed era un 'accavallarsi frenetico di proposte: divorzio polacco, modifiche al testo della legge, NENNIELONGOINSPAGNA IL LEVIATANO trattative più o meno segrete tra laici e cattolici. Nenni mi disse che il referendum andava fatto comunque e ad ogni costo; poiché il suo valore non era tanto quello di confermare la legge sul divorzio, quanto dj riaffermare la laicità della società italiana. «E importante che si faccia, perché per la prima volta nella storia del Paese vi è l'irripetibile, forse unica, occasione di togliere l'ipoteca della Chiesa cattolica sullo Stato e sulla società. Quale che ne sia il risultato». «Il rinnovamento della società, della cultura in Italia - aggiunse - sarà autentico soltanto quando la Chiesa sarà chiusa nella sua sfera religiosa e non interferirà più nella politica del Paese». Confesso che non mi attendevo quella risposta netta, decisa, senza appello. Tante volte, parlando con Nenni, forse per la sua umanità e per la sua impareggiabile esperienza politica e umana, si ricavava l'impressione che la propria verità non poteva né doveva ignorare le ragioni degli altri che stanno dall'altra parte. «E i comunisti?». chiesi. Mi guardò quasi con sorpresa e disse lentamente. «Sì, capisco. Ma marceranno. lo ho fiducia che marceranno». Poi, come soprappensiero, proseguì: «Purché noi socialisti, insieme agli altri laici, resistiamo ad ogni tentazione di "pateracchio". Dipende dall'unità dei laici: se essi non molleranno i comunisti dovranno marciare». E con un sorriso malizioso aggiunse: «Spero che non ripetano il grossolano errore dell'art. 7 della Costituzione». A questo punto, in quella splendida mattinata, mite, piena di sole, mi chiese di accompagnarlo a fare una passeggiata. E lentamente ci avviammo verso il mare, sempre parlando di politica. Mi feci più audace e premesso che, coma sapevamo tutti, la partecipazione al ·governo dei comunisti era impossibile fin quando 9

non avessero risolto i nodi della loro collocazione internazionale e quello della struttura leninista del loro partito, viziata dal «centralismo democratico», gli posi una domanda, quasi eretica in quel tempo: «Ma perché, compagno Nenni, non si possono gettare le basi per un 'intesa che, al di là del referendum, crei uno schieramento laico, dai liberali ai socialisti, anche per "liberare" i democristiani dalla quasi trentennale "condanna" al potere? Un tale schieramento, aggiunsi, potrebbe anche costituire un governo alternativo con il sostegno esterno dei comunisti. Dove sta scritto che un governo democratico debba per forza identificarsi con la maggioranza assoluta prefabbricata?,.. E citai l'esperienza del Partito socialdemocratico svedese che governava stabilmente il paese senza maggioranza assoluta obbligando di fatto, e senza accordi preventivi, i comunisti a sostenerlo. Perché un loro voto contrario sarebbe apparso un assurdo sostegno ai partiti conservatori. Indubbiamente l'esempio conteneva margini di astrattezza; ma la risposta di Nenni arrivò puntuale, pertinente, tutta politica. Non ricorse, neppure per un istante, alla classica e provinciale risposta che avrebbe banalizzato la discussione: l'Italia non è la Svezia. Semplicemente quasi riflettendo tra sé e sé, disse lentamente: «Certo. Certo, sarebbe l'Italia europea. Ma ancora ne siamo lontani ... e i liberali italiani sono una razza diversa da quelli europei. In Germania, Inghilterra, Belgio, quando debbono scegliere fra socialisti e conservatori, scelgono i primi ... Ma qui da noi? Sì, siamo insieme in una battaglia di laicità e di diritti civili. Ma sul piano sociale esso sono indietro. Troppo indietro». Sulla strada del ritorno, dopo aver attraversato la strada nazionale. ci fermammo prima di intraprendere la salita verso la sua villetta. «D'altra parte - soggiunse quasi sotto voce - i cattolici sono il loro esatto contrario... Al tempo di De Gasperi, che pure aveva un grande NENNI CON G. TAMBURRANO 10 NENNI CON G. FINOCCHIARO senso dello Stato, se gli avessi chiesto la nazionalizzazione della Fiat, me l'avrebbe data in pochi minuti. Ma se gli avessi chiesto una rifonnetta per rafforzare la laicità della scuola, per eliminare le cliniche in mano ai preti o, peggio, introdurre il divorzio, avrei urtato contro un macigno. Già - concluse scuotendo la testa - se i liberali diventassero europei ... Ma anche noi. Anche noi dovremmo diventare europei ... Anche tutto il movimento operaio». Gianni Finocchiaro Un incontro con De Martino IL BILANCIO STORICO DELLA VITA POUTI-. ca di Nenni è arduo non solo per l'ampiezza dell'arco temporale lungo il quale si svolge la sua attività, ma anche per la complessità degli scenari entro i quali va collocata tale attività. Ad esempio il suo frontismo non può essere giudicato in blocco, poiché una cosa è il frontismo della seconda metà degli anni '30, un'altra quello della Resistenza e della lotta per la Repubblica e un'altra infine il frontismo post1947. Lo stesso può dirsi per il centro-sinistra che va diviso in due o più periodi che presentano problemi diversi. È una specie di luogo comune che Nenni fosse un abile tattico: anzi che si esaurisse tutto nella tattica. lo invece penso che egli fosse un grande stratega: le intuizioni di Nenni, i suoi disegni politici furono in generale giusti; è l'applicazione. è la tattica che si prestano alla critica. Ma nell'applicazione ha un grande peso, che per lo più è stato negativo, il partito, la sua organizzazione, la sua capacità di trarre tutti i vantaggi dalla strategia. Politica unitaria col 15 GENNAIO /980

PCI, centro-s1mstra e unificazione furono tre aspetti strategici di un'unica ispirazione e di una permanente esigenza. L'ispirazione era la ricostruzione del movimento socialista su basi democratiche superando i motivi di tutte le scissioni fino al 1921; l'esigenza permanente era di non sottrarsi mai alla necessità di fare politica ogni giorno, nelle concrete condizioni esistenti, affrontando con realismo i problemi. Ma qui il discorso si complica e per continuarlo bisognerebbe fare la storia di 30 anni. Penso che sia più istruttivo, nel breve spazio di questo scritto, raccontare un episodio che illustra il modo di fare politica di Pietro Nenni. Tra i tanti ne scelgo uno. Subito dopo il suo insediamento nell'ufficio di vice-presidente del Consiglio, al 3' piano di Palazzo Chigi, Nenni comincia la fatica di Sisifo delle trattative con Moro per l'attuazione del programma concordato: nel quale ha fatto inserire lo Statuto dei diritti dei lavoratori. Affidò a me l'incarico di trattare con un interlocutore, la DC, che non era molto disponibile, presa com'era tra l'ostilità della Confindustria, per ragioni facilmente comprensibili, e l'ostilità della CISL, contraria alla regolamentazione con legge della materia del lavoro. I ministri democristiani che si succedettero al dicastero del lavoro nel corso di quella legislatura furono Bosco e Delle Fave, nessuno dei due entusiasta della proposta, e il direttore generale del ramo, il dott. Purpura, non riusciva a nascondere, dietro la sua abile mediazione, la contrarietà allo Statuto. Questo problema dello Statuto angustiava Nenni perché gli pareva - ed era - un punto qualificante del programma. E quando io andaIL GIURAMENTO DEL PRIMO CENTRO-SINISTRA IL LEVIATANO vo da lui a dirgli delle resistenze della controparte si arrabbiava e andava da Moro per protestare, premere, sollecitare su quello e sugli altri problemi di attuazione programmatica. Partiva in quarta e tornava deluso: Moro assicurava e ... rinviava. Un giorno venne il segretario del PSI, De Martino, a rappresentare a Nenni le difficoltà del partito per lo svuotamento del programma da parte della DC: il punto centrale era rappresentato dallo Statuto. Ero presente. Questo in sintesi il colloquio. De Martino: Dobbiamo varare lo statuto che è una rivendicazione molto sentita dai lavoratori e qualifica la nostra partecipazione al governo. Nenni: Lo so bene: ma non riusciamo a piegare la DC. Possiamo mettere in crisi il governo e la politica di centro-sinistra? De Martino: Ma se non otteniamo risultati significativi, il centro-sinistra non ha piu senso. Nenni: Una parte dello Statuto-sui licenziamenti - riusciremo a vararla. L'altra, sui diritti nelle aziende, no. Tu ti rendi conto del vuoto di potere che si apre nella vita politica se entra in crisi questa che è l'unica formula democratica possibile? De Martino: Una formula svuotata dei suoi contenuti più significativi. Nenni: lo sono pronto a fare la crisi se il partito, assumendosi tutte le r.:-sponsabilità,me lo chiede esplicitamente. E insisté su questa condizione. M<> De Martino non si spinse a tanto. né aveva tale mandato dalla Direzione. Riusciamo ad ottenere la legge sulla giusta causa nei licenziamenti, che era uno dei prov11

vedimenti di cm s1 componeva lo Statuto, e, nella successiva legislatura, Brodolini spuntò anche Io Statuto vero e proprio. Ma non intendo rendere, con questo episodio, un omaggio al gradualismo e al realismo di Nenni. Vorrei invece mettere in luce un altro aspetto della sua concezione della politica. Si è detto tante volte di lui che «privilegiava» le formule sui contenuti. È giusto. se per formula si intende non una qualunque alleanza di governo, ma la stabilità del quadro democratico. Dopo pochi mesi che il partito era al governo si ebbe la crisi del gabinetto Moro e la preparazione del colpo di Stato Segni-De Lorenzo. Dietro vi era la resistenza della parte moderata alle riforme e in particolare allo Statuto e alla legge urbanistica. Nenni fu avvertito - è il caso di dire «lealmente» - da Segni in persona, è Quando prese la, patente NENNI, CHE ERA TUTTO INTRISO DI CULtura umanistica, aveva un odio, dapprima irrazionale e poi un po' snobbistico, per le cose meccaniche. Scrittore formidabile, non ha mai voluto toccare una macchina da scrivere, e disprezzava perfino le «biro», che chiamava «lapis». Infatti, era lui stesso una perfetta macchina da scrivere: a penna. Usava spesso quelle imponenti stilografiche «Mont Blanc», che contenevano un etto d'inchiostro e pesavano complessivamente mezzo chilo, esteticamente, secondo me, bellissime. Impugnava la penna con la stessa grazia con cui papa Wojtila impugna il pastorale. Tuttavia la penna, appena appoggiata sulla cartella, cominciava a scivolare via con leggerezza e soprattutto con fantastica scorrevolezza e conI FUNERALI DI NENNI 12 valutò i «pro» e i «contro» dell'intransigenza socialista: la quale, senza ovviamente dare le riforme, significava accettare uno scontro che avrebbe aperto la via diretta e breve al regime autoritario. Invece di giocarsi insieme riforme e democrazia non era preferibile una rinuncia ai contenuti per mantenere le condizioni della dialettica democratica? E con la dialettica democratica la possibilità di riproporre quelle riforme accantonate in condizioni più favorevoli? Ecco la domanda che scaturisce dall'esperienza di Nenni: una domanda alla quale dovrebbe rispondere Giorgio Amendola che oggi dice le stesse cose che diceva Nenni e che allora egli criticò aspramente per i suoi «cedimenti». Giuseppe Tamburrano tinuità. Nenni si fermava a rileggere solo in fondo alla pagina. Ho letto in questi giorni un autorevole giornalista che ricordava come Nenni gli avesse scritto, mentre mangiava qualcosa, quattro cartelle di dichiarazione. Normale: avrebbe potuto andare avanti per quattro pagine di giornale. Rimane famoso l'episodio. se ricordo bene della malfamata «notte di S. Gregorio», quando scrisse, oltre a quello di maggioranza, anche il documento di minoranza. Eravamo alle cinque di mattina, e come sempre aspettavamo che «la sinistra» si decidesse a uscire dalla tana con la «mozione» pronta. La sinistra, non solo quella socialista, la sinistra in genere, è di tormentate quanto rovinose decisioni: ci pensa molto, e poi sbaglia. Nenni s'introdusse lemme lemme nel ponzatoio della sinistra e implorò di farla finita. Poi disse: «Ma cos'è che volete scrivere, date qua». In cinque minuti scrisse il documento di minoranza e «Vi va bene così?», domandò; natural15 GENNAIO /980

mente andava benissimo. Per contro, le dichiarazioni di maggioranza Nenni le scriveva già la sera prima che cominciasse la discussione, e le tirava fuori di tasca alla fine di uno, due o tre giorni di bagarre. «Così risparmiamo tempo», diceva. Sempre a proposito di necessità meccaniche, Nenni non ebbe quasi mai un'auto di proprietà e soprattutto si guardò bene dal guidarla. Cifu solo una breve parentesi, se ben ricordo intorno al /953-54, in cui gli venne in mente di prendere la patente. Fu un periodo di estremo pericolo, per lui e per gli altri, e in generale per la causa del socialismo. Andai a trovarlo. quell'estate, in vacanza per pochi giorni a Montecatini. Volle darmi subito prova della sua valentìa e mi trascinò, con la moglie Carmen, a cenare a Montecatini alta. Era una salita ricca di curve e tornanti e la povera Carmen, perfettamente conscia dell'estrema labilità visiva del marito, lo avvertiva con urla soffocate prima di ogni curva. Viaggio breve, ma indimenticabile. Mi vendicai successivamente sulla figlia Giuliana, nei giri elettorali in Romagna, quando per decine di volte rischiammo di ruzzolare nella nebbia in aridi fiumastri romaRoli: le urla della figlia erano molto più stentoree di quelle della madre. Un altro contendente meccanico di Nenni era il microfono. «Maledetto aggeggio», «mettetemi a posto l'arnese», «bei tempi quando non ce n'era bisogno». In questo caso c'era un po' di civetteria, comune a tutti i vecchi oratori, che tuttavia sapevano benissimo quel che gli dovevano. Pertini mollava al microfono, nel mezzo del comizio, schiaffoni poderosi, ottenendo rimbombi di grande effetto, che deliziavano la platea socialista: insomma, la lite del tribuno con il microfono faceva parte dello spettacolo. L'ultimo conflitto di Pietro con il mezzo meccanico fu quando il medico gli ordinò, dopo il drammatico incidente della caduta in Valle d'Aosta, la cic/ette, per fare del movimento in casa. Lo sorpresi un mattino presto, che pedalava nel corridoio, vicino allo studio. «Vai meglio di Coppi», dissi per fargli coraggio. Triste, un romagnolo su· una bicicletta finta: infatti fu l'inizio della decadenza fisica. Nenni, come altri anziani d'idee aperte, apprezzò invece l'aeroplano. Gli piaceva, anche se forse non l'amava. Cinque minuti dopo il decollo dormiva, e si svegliava regolarmente con la voce della hostess, a/l'arrivo. Non dormiva perché era vecchio, ma perché aveva dei nervi d'acciaio, anzi di gomma. Non c'è mai stato stress né disgrazia politica, che gli abbia fatto perdere un'ora di sonno; e perciò ha durato tanto a 111111;0. Una volta, mentre l'aereo si ahava su Stoccolma, lo spettacolo di neve, sole e mare era così bello, che per qualche minuto Nenni stette a guardare: «Che peccato - disse alla fine - che mia moglie non sia più qui». Venerio Cattani IL LEVIATANO BLOCKNOTES All'ombra della, Madonnina LE RECENTI RIVELAZIONI DI CARW FIORONI hanno confermato quanto già si sapeva, e cioè che il brigatismo rosso è nato a suo tempo a Milano, figlio della contestazione studentesca del 1968 e dell'autunno caldo del 1969. È questo il suo retroterra in termini politico-culturali e cronologici. Lasciata la facoltà di sociologia a Trento, è infatti sul finire del 1969 che Renato Curcio fonda, nella Milano delle convulse agitazioni sindacali e dell'attivismo di Feltrinelli, il Collettivo politico metropolitano, dal quale. nel giro di due anni, si arriverà direttamente alle Brigate Rosse. È in quegli anni, è in quel clima, che in tutta Italia, ma soprattutto a Milano (non a caso assiduamente frequentata da Toni Negri), si è sparso nelle scuole, nelle fabbriche e nelle piazze il germe dell'odio e della violenza, all'insegna del mito guerrigliero dei Che-Guevara e dei vietcong. Resterebbe da chiedersi, a questo punto. perché in tutta Italia e soprattutto a Milano, si sia consentito in quegli anni che nell'ambito dell'estrema sinistra fiorissero indisturbati gruppi, organizzazioni, giornali e riviste le cui attività erano chiaramente finalizzate alla guerra civile, allo scontro fisico (non era solo l'on. Almirante a parlarne), allo sfascio dello Stato e delle sue istituzioni. Responsabilità gravissime pesano sui partiti di sinistra. sui sindacati, sulla stampa, sugli uomini di governo (basterebbe pensare, a quest'ultimo proposito, all'accoglienza riservata dal ministro dell'interno di quel fosco periodo al rapporto col quale l'allora prefetto di Milano, Libero Mazza. denunciava l'esistenza nella sua città di ventimila attivisti-guerriglieri); ma responsabilità altrettanto pesanti gravano su certi settori della magistratura. Non va infatti dimenticato che al Tribunale di Milano. proprio in quegli anni in cui andava nascendo alla luce del sole il terrorismo brigatista. operava un folto gruppo di giovani magistrati di fortissima caratterizzazione politica (ovviamente di sinistra). attivissimi e infaticabili nell'andare a caccia di piste nere. a volte vere a volte immaginarie. ma del tutto ciechi e sordi di fronte a quel che stava tragicamente maturando sul versante opposto. Al riguardo, la casistica è impressionante. Ricordiamo, di quegli anni, il giudice Ugo Paolillo. che rifiutò ostinatamente di concedere alla polizia un mandato di perquisizione per l'abitazione di G.G. Feltrinelli. nei confronti del quale già nel 1969esistevano fondati sospetti in materia di terrorismo. Proseguiamo col giudice Antonio Bevere. che quando i carabinieri. subito dopo la morte di Feltrinelli. gli portarono l'ultraindiziato Fioroni. si affrettò a rimetterlo in libertà consentendogli così di darsi alla latitanza (si tratta dello stesso magistrato che nella estate del 1978 organizzò con la collaborazione di una giornalista del «Manifesto» la famosa cena tra Toni Negri e il giudice Alessandrini. assassinato pochi mesi dopo sembra proprio dai seguaci del professore padovano). Ricordiamo ancora il giudice Ciro De Vincenzo, al quale era stata affidata la prima inchiesta sulle Brigate Rosse: a mano a mano che le 13

forze dell'ordine riuscivano ad arrestare qualche brigatista, egli si premurava di rilasciarlo nel giro di 48 ore. La cosa andò avanti a lungo, fino a quando il gen. Dalla Chiesa, già in quegli anni a capo di una speciale unità impegnata nella lotta al terrorismo, denunciò pubblicamente il magistrato in questione. ottenendo che gli venisse tolta l'inchiesta sulle BR. Ricordiamo anche, sempre a Milano e sempre in quegli anni, quell'altro giudice, Domenico Pulitanò, che, ogni qual volta le forze di polizia si accingevano ad intervenire per sciogliere cortei ed assembramenti formati da giovani con spranghe, passamontagna e tascapane pieni di bulloni, si precipitava dal funzionario di PS in servizio qualificandosi come magistrato e impedendogli di procedere. Concludiamo infine col giudice Liberato Riccardelli (oggi senatore eletto nelle liste del PCI), il quale - all'indomani dell'omicidio del commissario di PS Luigi Calabresi -. anziché indagare sul versante di estrema sinistra, come anche il più sprovveduto e disinformato cittadino avrebbe fatto, perse il suo tempo andando a caccia di fascisti per un delitto di segno inequivocabilmente opposto. Con magistrati di questo tipo. che in quegli anni facevano il bello e il cattivo tempo al Tribunale di Milano. non c"è dunque da stupirsi che il terrorismo brigatista abbia potuto impunemente attecchire e svilupparsi nel capoluogo lombardo. per poi diffondersi nel resto del Paese. Gue/fo Zaccaria I partiti in vacanza L 'ON. CLAUDIO SIGNORILE HA DATO UN'INtervista a «La Repubblica» (del 5 gennaio), dove ribadisce le note tesi della sinistra socialista: bisogna imporre alla DC un governo con la partecipazione organica dei comunisti, senza subordinate e senza scappatoie. Perfino l'intervistatore della • Repubblica» (un giornale che si batte da molto tempo per l'ingresso dei comunisti nel governo) prospetta a Signorile le difficoltà e i pericoli de/l'operazione, e gli chiede: «Mentre ricomincia a soffiare il vento della guerra fredda, che può rafforzare le resistenze democristiane, la posizione socialista non rischia di aprire 1111 periodo di sconvolgimellti politici senza sbocco? Non pensate che, caduto Cossiga. si apra 1111periodo caotico?» li vice-segretario socialista cerca di cavarsela di frame a queste domande insistendo sulla condanna pronunciata dai comunisti italiani del/' intervemo sovietico in Afghanistan. anche se dere ammettere che ai<·111s1ei/lori del PCI sono favorevoli all'imervento. E tuttavia /'on. Signorile, 1101e1ssendo 1111s0provveduto (non fu lui a dichiarare, nel corso della polemica PCI-PSI svoltasi nel 1978, che il PCI 11011 poteva essere considerato 1111 partito democratico?), non può negare che, in effetti, delle difficoltà ci sono. «Non escludo - egli dice - che, al momento della verifica delle posizioni, possa manifestarsi 1111 grado insufficiente di maturazione della DC per questa svolta, e forse anche dello stesso PCI». Dopotutto, avrebbe potuto aggiungere, il PCI mantiene con l'URSS e col «campo socialista» 1111 rapporto privilegiato e organico. Senonché - ecco la novità dell'intervista - /'on. u Signorile ha pronta una soluzione. Occorre, a suo avviso, che il Presideme della Repubblica dia l'incarico di fare il governo senza alcuna riserva, che il presidente incaricato formuli il programma, scelga da solo i ministri e poi si presemi alle Camere per la fiducia. La soluzione non è particolarmente originale: è, né più né meno, quella prevista dalla Costituzione. «Quale sarebbe la novità?», chiede l'intervistatore. In realtà la novità c'è. Ecco come la espone Signorile: «Di fronte a posizioni rigide comro un'alleanza politica che impegni i partiti direttameme, ma in presenza di una loro disponibilità a praticare in qualche forma la solidarietà nazionale, il presideme incaricato potrebbe trovare lo spazio per una iniziativa efficace che segnerebbe un passo avanti, anche una svolta, ma senza forzature che potrebbero risultare esiziali per ogni sforzo costruttivo». In altre parole, i partiti 1101d1ovrebbero essere impegnati «in prima persona attraverso trattative dirette•, ma dovrebbero essere rappresentati nel governo «attraverso loro uomini scelti dal presidente incaricato». L'on. Signorile avrebbe potuto dire di più: avrebbe potllto proporre che, durante la formazione del governo, i dirigenti dei partiti democratici vadano in vacanza per 1111 giusto periodo di riposo. Tornerebbero a cose fatte, distesi e abbronzati. E se trovassero qualche comunista nel governo, chi li potrebbe rimproverare? Oppure avrebbe potuto suggerire al futuro presideme incaricato di scegliere i ministri fra persone capaci segnalategli da amici fededegni: se fra i prescelti ci sarà qualche comunista, il presidente potrà rispondere alla DC che, in coscienza, 1101l1o sapeva, e l'onore sarà salvo. Questo eviterebbe per davvero, come vuole Signorile. ,le trappole e i voti sulle formule». Stiamo scherzando, ma 11011 è proprio il caso. Questa imervista è 111s1intomo grave del funambolismo e della confusione che caratterizzano ormai_ larghi settori della classe politica. Difronte a una situazione economica, sociale e politica sempre pitì difficile e drammatica. si continua a scaricare le proprie responsabilità, ci si rifugia in mezzucci puerili e in trovate di dubbio gusto. Si può benissimo pensare che oggi /'estrema ratio sia /'ingresso dei comunisti nel governo (anche se noi riteniamo che ciò sarebbe 1111 grave errore. che oltretutto bloccherebbe la ma/I/razione democratica del PCI. invece di accelerarla). Ma se lo si pensa. si deve avere il coraggio di sostenere questa scelta con chiarez~a e senza i11fì11gi111e11dtii fronte all'opinione pubblica. Nascondersi dietro 1111faoglia di fico è segno di scarsa serietà. e può solo aumentare il già largo discredito di cui la classe politica gode presso la gente. Senza riforma ... e senza elezioni Bruno Anioni È PROPRIO VERO CHE, CON I TEMPI CHE corrono. a far previsio11if,111este <' difficile sbagliarsi. Avevamo espresso. qualche settimana fa. il timore che il rinvio delle elezioni scolastiche, deplorevole per sé stesso, potesse anche rappresell/are un precedente pericoloso. Ed ecco che/ nel giro di pochi 15 GENNAIO 1980

giorni, prima il democristia110 Mastella, « v,cmo» al/'011. De Mita, poi il vicesegretario socialista Signorile, e fìnalmellle il deputato repubblicano Del Pennino, se ne vengono fuori a proporre il rinvio delle elezioni amministrative di primavera. Sarebbe il quilllo rinvio di normali scadenze elettorali nel giro di quattro anni; ma questa volta non riguarderebbe piti elezioni locali di modesta entità, come le amministrative del '77, o elezioni settoriali, come quelle universitarie del '77 e del '78, ma una prova che coinvolge il 90% dell'elettorato nazionale. L'on. Del Pennino, in linea con la ben nota attenzione del suo partito per i contenuti, ha motivato la sua proposta con l'opportunità di far precedere alle elezioni la riforma della legislazione sulla struttura e le attribuzioni degli enti locali. L'idea è buona; e oltretutto è 111ilizzabileper le elezioni politiche; che, all'occorrenza. si potrebbero sospendere sine die in attesa della riforma della Costituzione. Ci permettiamo di girare fìn d'ora questo modesto s11ggerime1110all'eventuale governo di unità nazionale. Non vogliamo drammatizzare. Anche perché i personaKgi di cui sopra 1101c1e lo co11.<e11tira11110, in quanto si guarderanno hene. per 1111 po' di tempo, dall'insistere sulla loro proposta. Si tratta di assuefare l'opinione pubblica, con la debita gradualità, ali' idea che le scadenze elettorali sono manipolabili a discrezione della corporazione dei politici. Fra qualche mese la proposta del rinvio ritornerà fuori, questa volta magari ad opera di parlamentari di maggior rilievo; e da 1111 giorno all'altro ci accorgeremo che ormai la discussione verte 1101p1iti s11//'opport1111itàdel rinvio, ma sui modi di motivarlo. Significativo, in questa occasione, il silenzio del PCI, che invece era stato alla testa delle manovre per il rinvio delle elezioni scolastiche. I comunisti sanno che il rinvio delle amministrative 11011ha niente a che fare con le ciance «tecniche» con cui lo si motiva, ma mira a sottrarre al giudizio del Paese i loro partner nella eventuale grande ammucchiata, che hanno tutti i motivi per temere delle sorprese; tanto pilÌ se nell'area libera/socialista matureranno proposte mwve fìnalmente adeguate alla gravità del momelllo. Anche il PCI ha da temere, e molto, dalla prossima prova elettorale. Ma perché dovrebbe esporsi. se c'è già tanta r:ente r·olentero.rn che si ojfre di togliergli le castagne dal ji,oco1 Paolo Demartis Sulla buona strada IL PARTITO SOCIALISTA DEMOCRATICO, CHE ha attraversato tra il 1975-76 e il 1979 anni estremamente difficili. apre il 16 gennaio il proprio diciottesimo congresso nazionale in un momento di ripresa elettorale e di apprezzabile unità interna. Le difficoltà degli anni passati dipesero da problemi di carattere politico generale - la polarizzazione dell"elettorato nel 1975 e ancor più nel 1976 sui maggiori partili. Democrazia cristiana e Partito comunista -; ma furono aggravate da un offuscamento dell'immagine della socialdemocrazia. prima per il ruolo di scarso rilievo che. dopo la scissione coi socialisti. quel partito sembrava avere nel centro-sinistra. poi. e soprattutto. per una gestione interna apparentemente IL LEVIATANO finalizzata alla pura spartizione di ruoli di sottogoverno. per non parlare della vera e propria bufera che sul partito si addensò in seguito all'affare Lockheed e alla condanna di Tanassi. Insomma. l'assommarsi di varie difficoltà. alcune indipendenti dalla dirigenza del partito - oggettive, diciamo così -. altre da ascrivere a responsabilità del gruppo dirigente. avevano finito per rendere poco chiaro il ruolo del PSDI nella politica italiana e avev,;1no fatto temere addirittura che. nelle recenti elezioni politiche del 1979. la socialdemocrazia italiana potesse scomparire. È accaduto invece. contrariamente alle aspettative di quasi tutti i commentatori. che il PSDI non solo non scomparisse. ma si rafforzasse più di ogni altro partito in competizione (con la sola eccezione dei radicali). Ciò che. a nostro parere. è dovuto - simmetricamente - a ragioni oggettive e ragioni soggettive. Oggettive quelle relative all'emergere di un comportamento dell'elettorato che accresce la propria ostilità nei confronti del regime democristiano. ma appare deluso dai comunisti e alla ricerca di qualcosa di nuovo; soggettive. in relazione alla capacità del nuovo gruppo dirigente socialdemocratico. e in particolare del segretario Longo. di dar segni di rinnovamento. di ridefinizione di un proprio ruolo. di rilancio. Quest'immagine di rinnovamento appare confermata dalla relazione di Longo al prossimo congresso. attenta ai problemi di fondo del Paese e alle prospettive di lungo periodo più di quanto non si prospetti problemi attuali di formula politica (che pure contano) e di ripartizione del potere. ricca di proposte non sempre condivisibili. ma che comunque testimoniano la volontà di confrontarsi con i problemi reali del Paese anziché con quelli di una classe politica in piena degenerazione. Interessante soprattutto appare il proposito - di cui è testimonianza anche l'intervista che Pietro Longo ha rilasciato al leviatano (n. 6) - di superare gli egoismi di partito e di ricercare punti di contatto e di unità all'interno dell'area laico-socialista che trascendano interessi particolari. di per sé legittimi. ma incomprensibili ai più in una situazione di grave crisi come quella che r Italia sta attraversando. Il PSDI sembra dunque. nel momento del proprio congresso. muoversi nella giusta direzione. Anche se non si può tacere che la gravità della situazione. interna e internazionale. impone ormai ritmi diversi per dare alla crisi italiana uno sbocco sostenuto da una forza politica nuova. capace di svolgere. al governo o all'opposizione. un ruolo politico di primo piano. E che non basta cominciare a rimuovere vecchie incrostazioni: bisogna dare al Paese il senso di un rinnovamento deciso e senza tentennamenti: ciò che ciascun pa11ito. da sé. a nostro parere. non può compiere con la necessaria energia. È significativo però che lo stesso segretario del PSDI appaia consapevole della necessità di percorrere questa strada. anche se qualche inceppo. in famiglia. non manca. [I] 15

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