8 500 lire ILLEVIATANO settimanale di commento politico --•-■♦■----- Non c'è sulla Terra chi sia superiore al Leviatano, il quale è fatto per non avere paura: egli guarda in faccia L 'aru imita quel razioruJ/e e più ecce/lenu laooro della natura che è l'uomo. Poiché con l'arte è creato quel gran Uviatano, chiamato Stato (in latino civilas), il quale non è che un uomo artificiale, benché di maggiore statura e forza del naturale, per la protn,ione e difesa del quale fu concepito. tutto ciò che è eccel.so, egli è re su tulle le creature più superbe. (Giobbe, XLI. 25-26) Il grande Leviatano è quell'unica creatura al mondo che dvvrà restare senza ritratti sino alla fine. Questo Leviatano ci sc·ende addosso, dibauendosi dalle fonti del/'Eurnità. (H. Melvillc. Moby Dick, capp. LV. CV) in questo numero: (T. Hobbes.-Leviatano, Introduzione) E quante natuu poetiche non ho incontrato ajJauo? E quante ne hai strangolate 1u nel corso di questi decenni, maledetto Leviatano? /A. Solienicyn. Arcipelago Gulag, V. 5) Bettiza su liberalismo e marxismo Compagna sulla «politica dei redditi» Bedeschi sull'interclassismo di DC e PCI Bonetti sull'attualità del «Mondo» Ricci sull'impasse dell'eurocentris~o Unademocraziavacillante preludio della guerra civile Gli ipergarantisti - Gli infortuni di Kennedy Il Convegno sul liberalsocialismo Collaboratori: GIOVANNI ALDOBRANDINI, GIUSEPPE ARE, DOMENICO BARTOLI, GIUSEPPE BEDESCHI, ENZO BETTIZA, PAOLO SONETTI, LUCIANO CAFAGNA, VENERIO CA~NI, LUCIO COLLETTI, VEZIO CRISAFULLI, RENZO DE FELICE, PAOLO DEMARTIS, CELSO DESTEFANIS, SIRJO DI GIULIOMARIA, GIANNI FINOCCHIARO, ALDO GAROSCJ, PIER CARLO MASINI, NICOLA MAITEUCCI, RENATO MIELI, SANDRO PETRICCIONE, ALDO G. RJCCI, GUIDO RILLETTI, ROSARIO ROMEO, ALBERTO RONCHEY, DOMENICO SETTEMBRINI, GIUSEPPE TAMBURRANO, PAOLO UNGARI, GUELFO ZA<fCARIA. Direttore responsabile: GIULIO SAVELLI 25 dicembfè 1979
EDITORIALE Una democrazia vacillante UNA DEMOCRAZIA NON PUÒ VIVERE IN una situazione di tensione pennanente quale conosce oggi l'Italia. Crisi economica, crisi istituzionale, crisi di valori, frattura fra Paese e forze politiche, violenza dilagante in tutti' i campi e in difesa degli interessi di ogni individuo e di ogni corporazione, ricorso continuo allo sciopero, malessere nei gangli vitali dell'apparato pubblico - polizia, carabinieri e magistratura -, occupazioni e pestaggi, blocchi stradali, manifestazioni annate, attentati e omicidi a catena: questo è il quadro del Paese; e in questo quadro pensare che possa sopravvivere un sistema politico di «nonnalità», come è quello della democrazia, è pura illusione. Per cui: o la democrazia saprà difendersi, saprà ristabilire energicamente le condizioni che sono necessarie per la sua stessa ·sopravvivenza, o è destinata in breve tempo a soccombere. Ma quali siano le condizioni necessarie per la sopravvivenza della democrazia non sembra essere abbastanza chiaro a tutti. Alcuni pensano che la «fede democratica» della maggioranza del popolo sia un argine sufficiente contro chi spinge invece alla guerra civile. Altri, osservando i guasti prodotti dal malgoverno e gli innegabili,acuti contrasti sociali, pensano che la risposta al terrorismo debba essere soprattutto «politica», e cioè intesa a sanare questi contrasti, a riconnettere il tessuto lacerato del Paese in una nuova annonia: si veda il titolo preoccupato della «Repubblica» del 16 dicembre: «Una risposta "militare" - Il governo punta tutto sui .carabinieri». Altri ancora, perfino, condannano coloro che sparano solo in nome dell'infelice scelta tattica, ma ribadiscono il valore positivo della violenza rivoluzionaria, anche se da praticare in altri tempi e altri luoghi. In realtà dovrebbe essere chiaro che la fede democratica della maggioranza non basta per conservare la democrazia; la democrazia funziona quando la minoranza accetta il sistema democratico. Se una minoranza invece, anche inizialmente limitata (e questo comincia a non essere più il caso dell'Italia), riesce a imporre l'abbandono delle regole della democrazia, il ricorso alla violenza e alle anni sarà inevitabile da tutte le parti, porterà inevitabilmente alla guerra civile, quali che siano le buone intenzioni dei più. 2 Quando alla guerra civile saremo arrivati, ed è questo chiaramente il disegno politico di chi oggi spara e uccide, si sparerà da tutte le parti in nome di cose diverse dai principi costituzionali. Gli schieramenti politici più consolidati, i partiti più consistenti, i sindacati onnipotenti finiranno per essere travolti; chi sembrava isolato apparirà l'avanguardia. Le convinzioni oggi apparen- · temente più salde cadranno nella ferocia dello scontro. Gli individui, i ceti, le classi lotteranno per la propria sopravvivenza; di democrazia si tornerà a parlare dopo una lunga epoca storica di dittatura. Allannismo? Non crediamo. La democrazia può ancora essere difesa, sebbene i tempi si facciano sempre più ristretti senza che la classe politica prenda atto della catastrofe incombente. Senza un'immediata svolta, il sistema democratico rischia di crollare entro pochi mesi. La svolta deve essere anzitutto una svolta politica. Il Paese è praticamente senza un governo stabile da quando è finita l'esperienza di centro-sinistra. I comunisti premono perché la crisi politica trovi uno sbocco con la loro partecipazione al governo del Paese. È una aspettativa legittima - quella di un così grande partito di opposizione - quella di accedere al governo, anche se noi non possiamo condividerla. Noi pensiamo, diversamente da altri per i quali solo un loro coinvolgimento nel potere potrebbe consentire una pacificazione sociale, che l'ingresso dei comunisti al governo, sulla onda di aspettative miracolistiche di soluzione della crisi economica, aggraverebbe ancor più la situazione. Quel che è certo è che, quando erano nell'area di maggioranza, i comunisti non riuscirono a imporre la moderazione alla loro base e tanto fu efficace la spinta che veniva dal loro seguito che dovettero interrompere la collaborazione di «solidarietà nazionale», costringendo allo scioglimento anticipato del Parlamento. Che cosa fa credere che le cose andrebbero diversamente se ai comunisti fossero ora concessi due o tre ministeri? Non è la partecipazione dei comunisti al governo che può salvare il Paese; molto può fare invece un loro atteggiamento responsabile: moderare la polemica, «dire la verità» al Paese, come richiede Amendola, nonostante le forti pressioni subite. 25 DICEMBRE /979
Se i comunisti perseguono nella politica del «tanto peggio. tanto meglio», non potranno poi fermare ciò che avranno messo in moto. Quegli operai che - teme Berlinguer - manifesterebbero nelle piazze contro il PCI se adottasse la linea di Amendola. non sarebbero meno da temere se al governo si andasse seguendo non quella linea, ma quella del ricatto, dell'aggravamento della crisi economica, dell'agitazione indiscrimina:a. Nel frattempo, di fronte all'indisponibilità dei comunisti a partecipare allo sforzo di risanamento del Paese. se non sulla base di un inaccettabile ricatto, gli altri partiti democratici devono compiere fino in fondo il proprio dovere di dare al Paese un governo stabile, fondato su una maggioranza parlamentare da cercare nell'area dei quattro partiti laici e della Democrazia cristiana. Un governo il cui compito certo non sarebbe facile, di fronte a un'opposizione comunista dura e combattiva più di quanto non sia, in democrazia, lecito; ma che intanto darebbe al Paese la sensazione che il potere non è più latitante e che potrebbe prendere le misure più urgenti che sono necessarie. Misure eccezionali e indilazionabili, quali per esempio il rafforzamento dell'apparato giuridico-militare contro il terrorismo. Mentre le vestali nostrane del garantismo continuano a stracciarsi le vesti per presunte violazioni della Costituzione senza che riescano a citarne anche una soltanto, i terroristi infuriano senza che vi sia un'adeguata risposta. Anche le recenti misuDISEGNO DI RAFFAELLA 07TA V/ANI IL LEVIATANO re del governo Cossiga. che pure avrebbero prodotto probabilmente qualche benefico effetto se prese a suo tempo, oggi appaiono inadeguate e tardive. Oggi la situazione dell'ordine pubblico si è ancora aggravata e quello che poteva essere sufficiente mesi fa appare incredibilmente al di sotto delle reali necessità. Se la polizia non è messa nella condizione di operare efficacemente nell'acqua in cui i terroristi nuotano, nel rispetto delle garanzie costituzionali ma con la ferma volontà di difendere la democrazia. il terrorismo non solo non sarà sconfitto - ciò che comunque non appare a portata di mano - ma acquisterà nuova forza. li successo militare e politico del terrorismo non può che incoraggiare quanti ancora sono incerti se seguirne le orme. L'unità politica delle grandi forze del Paese è il presupposto essenziale perché gli obiettivi politici del terrorismo appaiano irragiungibili e scoraggino gli incerti: un'unità che consenta anche quelle misure che rendano meno facili i successi militari. Ma questa unità non può essere sottoposta a ricatti politici: i comunisti devono dar prova della loro fedeltà alla democrazia in questo momento cruciale, subordinando all'interesse del Paese il loro interesse di partito. Questo, in fondo, più che non le revisioni ideologiche e lo sganciamento da Mosca, che pure sono indispensabili, è quello che si chiede loro. Perché se questa prova sapessero dare, anche il resto non potrebbe che seguire, sia pure a prezzo di lacerazioni interne di incalcolabile portata. 3
BLOCKNOTES ' L'ossessione mediatrice LA POLEMICA SCOPPIATA NEL PSI ATTORNO al voto dato a favore dell'ammodernamento del dispositivo missilistico di difesa occidentale appare, a dire il vero. piuttosto squallida. Nello stesso numero dell'«Avanti!» del 12dicembre il segretario e il vicesegretario del PSI si ritrovano a polemizzare l'uno contro l'altro. ponendo come prima materia del contendere il voto del Parlamento sugli euromissili. Mentre. in effetti. come tutti sanno per l'ampia pubblicizzazione preventiva fattane alla televisione la sera prima, la vera materia del contendere riguarda questioni di tattica politica nazionale e i criteri di gestione interna del PSI da parte di Craxi. La cosa in sé appare piuttosto modesta e provinciale non tanto per le tesi avanzate. quanto per l'opportunità e per il tempo in cui sono state avanzate e. per certi versi. per la loro discutibilità. Estraendo dal latino politico con cui sono state scritte. le tesi del vice-segretario del PSI sembrano rimettere in discussione sia il voto in sé del Parlamento. sia l'apporto ad esso dato dal PSI. giudicandolo al di là di quanto deciso negli stessi organi del partito. E ad esse risponde Craxi con una lettera. pubblicata sull'«Avanti!» e indirizzata al deputato socialista Tiraboschi. ricordando che le posizioni favorevoli del PSI erano già state rese note da lui stesso con interviste e con dichiarazioni mai contestate. Aggiungendo che esse, anzi. erano state già esposte nella recente riunione di Lisbona del bureau dell'Internazionale socialista e, addirittura, concordate con rappresentanti politici ed esperti di questioni militari del Partito socialdemocratico tedesco. Raffrontando le due argomentazioni. il segretario del PSI vince quanto meno ai punti. Se non altro in quelli concernenti la collocazione internazionale e la politica estera del PSI, e in quelli nei quali egli sostiene che una decisione diversa da quella presa e manifestata nel voto in Parlamento. avrebbe messo in grandi difficoltà il Partito soci~ldemocratico tedesco. Mentre un eventuale rigetto da parte del Parlamento italiano della posizione favorevole del- !' Italia. provocato dalla mancanza dei voti socialisti, avrebbe messo in crisi l'alleanza atlantica. Certamente in queste argomentazioni di Craxi vi è più senso di responsabilità di quanto non ve ne sia nelle tesi del vice-segretario socialista. secondo le quali una posizione autonoma del PSI, votando una mozione propria. non avrebbe messo in pericolo il voto di maggioranza (che sarebbe passato egualmente) ma «avrebbe aperto crisi e confronti con la DC e con il PCI»: il tutto sull'opinabile gioco delle cifre e dei voti espressi poi in sede parlamentare. In sostanza. i socialisti avrebbero così salvato l'anima attenendosi alle tradizioni pacifiste e neutraliste. Le argomentazioni di Signorile appaiono effettivamente di comodo. non tanto sulla cosiddetta «clausola dissolvente» - il cui fondamento nel quadro della posizione italiana di fronte alla NATO è discutibile-, che «avrebbe lasciato nelle mani dei governi nazionali la trattativa con l'URSS», quanto anche per i presunti ruoli •unificanti» che il PSI avrebbe potuto " assumere nei partiti socialisti europei «frammentati e divisi» sulla questione degli euromissili. A meno che l'onorevole Signorile non abbia già raggiunto un altissimo prestigio personale di fronte al socialismo europeo, il ruolo unificante del PSI può essere pari al suo 9,8% di consenso elettorale italiano mentre in effetti la reale consistenza politica del PSI è pari al 5.2% dell'intero corpo elettorale socialista europeo. E quel poco in più di potere contrattuale del PSI nell'Internazionale socialista si regge sulla vicepresidenza di Craxi, sui buoni uffici del PSDI, egualmente appartenente all'Internazionale, e su posizioni più chiare e meno ambigue. come sono invece quelle riproposte al PSI sulla questione degli euromissili. Ma dove effettivamente il vice-segretario socialista naviga nelle soporifere nuvole del wishful thinking è laddove egli afferma. con beata perentorietà, che «i socialisti italiani si sarebbero garantiti (con la mozione propria) un proprio spazio concreto di dialogo e di mediazione all'interno del Paese e soprat111110 fuori». Circa la mediazione «all'interno del Paese» non si capisce verso e tra chi mediare: tra il voto contrario comunista e quello favorevole di tutti gli altri partiti democratici. per trovare un quid mediato con un voto «favorevolmente contrario»? E su che cosa? Nel dare il voto a favore dissolvendolo subito dopo? Certo. nel l'Italia delle «convergenze parallele» e dei «governi della non-sfiducia» tutto è possibile: anche mediare sull'aria fritta. Mentre le mediazioni fuori del Paese possono appartenere a meditazioni solitarie e a ruoli più presunti che reali. provenienti dalle voragini della peggiore storia della politica estera di questo nostro Paese. L'onorevole Signorile dovrebbe trarre qualcosa di più dalla ricchissima storia dell'Italia. Ma dovrebbe rendersi conto che nel mondo di oggi nessuno prende più sul serio i pontefici che spartivano il globo in due fette: a oriente delle colonne di Ercole la Spagna. ad occidente il Portogallo. Né può prendere sul serio 25 DICEMBRE 1979
l'antica vocazione, se non ossessione addirittura. mediatrice di origine cattolica, che i politici italiani si caricano sulle spalle. spesso non graditi. non richiesti e non creduti. A conclusione delle nostre note vorremmo infine osservare che la sortita della sinistra socialista sarebbe stata più seria e forse anche più nobile per i suoi angosciosi ripensamenti. se fosse stata postergata almeno fin dopo la riunione del Consiglio atlantico. Ci spieghiamo meglio. notando che i ripensamenti socialisti hanno obiettivamente indebolito la posizione contrattuale della delegazione italiana a Bruxelles, alla riunione del Consiglio atlantico. la quale. partita da Roma con una certa e definita maggioI DISEGNI SONO TRA1TI DA «TIME» _Processoallo Stato IL CONVEGNO DI MILANO su «SOCIALISMO liberale e liberalismo sociale». che ha raccolto vari intellettuali e politici italiani delle due tendenze. può essere visto e quindi giudicato a seconda dei significati che gli ,i vogliono auribuire. Puo essere considerato come un'operazione politica. per gettare un ponte tra i vari partiti. e quindi i vari interventi culturali possono essere visti solo come legittimazioni di eventuali intese politiche. misurando il suo successo sugli spazi di dialogo politico che ha fatto aprire; oppure può essere visto come il tentativo di un confronto tra due correnti ideali e politiche della storia italiana. ricche di tradizioni culturali e di personalità di spicco. ma divise internamente e povere di peso politico: in questo caso va valutato come un dibattito di tipo culturale. per gli spunti nuovi che ha dato al confronto fra due ideali e due modelli di societil. Anzitutto è stato motivo di incontro tra uomini appartenenti a forze. che se pure emarginate. hanno ancora delle cose da dire e delle occasioni per intervenire. E poi ha fatto venire fuori l'importanza di temi. di problemi, che dovrebbero essere all'ordine del giorno. non solo di liberali e socialisti. ma di tutti i consapevoli cittadini di un paese avanzato. Il convegno è cominciato. sotto la direzione di Bobbio, con gli interventi degli anziani. quelli che avevano conosciuto i fratelli Rosselli. avevano militato nel Partito IL LEVIATANO ranza. s1 e ritrovata a Bruxelles obiettivamente diminuita dalle gratuite ipoteche poste sul voto dei socialisti italiani a favore degli euromissili. Se vi è qualcosa che si chiede al «senso dello Stato» del politici italiani del nostro tempo, essa è principalmente quella di preservare gelosamente l'immagine di una Italia che nei suoi rapporti internazionali custodisca il principio del «pacta s,mt servanda». come elemento fondamentale della sua dignità internazionale. E che non offra - come purtroppo la nostra più recente storia ha fatto apparire ancora - l'immagine della definizione bismarckiana di «druda d'Europa». Gianni Finocchiaro d'azione oppure avevano fatto propri gli ideali liberalsocialisti. come Calogero. Garosci. Valiani. I loro contributi sono stati interessanti per la testimonianza storica e per il valore morale dei conferenzieri. Ciò che ha rappresentato però una svolta nel convegno è stato l'intervento di Matteucci. che ha introdotto il pensiero neolibcrale. di estrazione americana. che si batte per il ritorno di uno Stato meno esteso. per una privatizzazione dei servizi pubblici e una diminuzione dei suoi interventi economici. e che caldeggia un nuovo patto costituzionale. che delimiti le entrate e le spese dello Stato. Con lui ha polemizzato Pellicani. che dopo aver rifiutato il socialismo collettivista e burocratico. ha nuovamente fatto appello a Proudhon. con il suo socialismo decentrato e autogestionario. e ha affermato che il socialismo. investito di una missione etica. deve a,sicurare la tutela delle dassi più deboli. La risposta è. per Pellicani. nell'autogestione. nello intervento della rappresentanza decisionale anche nel mondo della produzione. Gli altri interventi. alcuni interessanti come quello di Ulrich su che cosa ha prodotto la collaborazione tra liberali e socialisti al potere in Europa. quello di Bettiza sulle divisioni storiche e attuali in Italia tra liberali e socialisti. quello di Segre sulranalisi di Weber a proposito del socialismo economico hanno arriccl11to il dibattito. Tuttavia è stato Forte a far fare un passo ulteriore all'area socialista sul problema dello «Stato gestore». anche se con la consapevolezza che la terapia non può essere solo una riprivatiz7_azione drastica e un ritorno al mercato. ma un insieme di 5
strumenti come il pluralismo dei servizi. l'autogestione (soprattutto la cooperazione). la garanzia di un minimo per- i più bisognosi. il managerialismo. Che cos'è dunque venuto fuori di preciso da questo confronto? Che si deve dibattere sui mezzi e non più sui fini; che ovunque, e specialmente in Italia, lo Stato, con la sua pubblica amministrazione e i suoi interventi economici, può creare danni alla società e ai ceti meno privilegiati; che è necessario garantire la qualità dei servizi pubblici per rispondere soddisfacentemente alla domanda dei ci11adini. Sembra che sia finita l'era del processo al mercato e si apra quella del processo allo Stato. Meglio tardi che mai. Tuttavia, se le diagnosi liberali che hanno portato avanti questa presa di coscienza sono rigorose e indicative di un metodo valido (il mercato). che anche se imperfetto è sperimentato, le soluzioni socialiste sono, per quanto ancora non chiare e inadeguate, ricche di motivazioni che rendono necessaria un'ulteriore ricerca e sperimentazione. Giovanni Aldobrandini L'esempio dei vecchi IN QUESTO ULTIMO ANNO, DALL'ELEZIONE DI Pertini alla Presidenza della Repubblica agli interventi di Amendola sulla stampa e alla televisione, la vecchiaia ha riacquistato presso l'opinione pubblica un prestigio che sembrava definitivamente sepolto sotto l'industrialismo ed i miti giovanilisti di destra e di sinistra. Già sull'Espresso l'ignoto Eventyr aveva dimostrato la falsità della tradizione che attribuisce ad un fanciullo la celebre sentenza «li re è nudo•, anzi i fanciulli furono i primi a prestarsi alla finzione del re vestito, e fu invece un vecchio che non aveva più né da temere né da sperare, a prendersi il gusto e la responsabilità della verità. L'esperimento si è ripetuto venerdì 14 dicembre davanti alle telecamere e Giorgio Amendola, un po' per coerenza, un po' per non deludere i suoi tifosi di ogni parte politica, l'ha ripetuto: «li re è nudo•. Martedì 11 dicembre è stato il giorno della decimazione nell'Istituto aziendale di Torino; lo stesso giorno al convegno sulla riforma di P.S. il segretario della CISL Pierre Camiti sostiene •Questo Stato vuole suicidarsi ma non salviamolo con le armi•. Giovedì 13 il Circolo Socialista •Mondo Operaio• organizzava un dibattito sugli arrestati del 7 aprile, Negri, Scalzone e C. con interventi dei soliti Spazzali, Branca e Giacomo Mancini divisi fra semplici •garantisti• e aperti «innocentisti•. li 14dicembre su La Repubblica, l'autorevole Rodotà, Gran Ciambellano e capo della folla che grida ammirata dai vestiti del Re, tuonava: • ... il terrorismo sta facendo nascere un pericoloso consenso di massa intorno all'adozione di misure autoritarie. travolgendo gli argomenti della ragionevolezza ed incrinando l'adesione alle regole della democrazia•. Ma il vecchio. che non ha più da sperare per sé ma da temere per gli altri. sollevandosi dallo schiamazzo. disse ai telespettatori le seguenti verità: I) li problema di gran lunga più grave dell'Italia è il terrorismo. 2) Esso ha raggiunto dimensioni tali che non si può fare a meno di parlare di guerra civile. 3) Esso prospera anche grazie alle complicità intellettuali di chi giustifica il terrorismo con la scusa delle ingiustizie sociali. Amendola ha messo a fuoco un fenomeno osser6 vato da tempo, la tendenza degli intellettuali a solidarizzare con l'eversione in generale, sia di destra che di sinistra; la loro tendenza ad attribuire i mali e le ingiustizie sempre alla società, «accettare che il male e la disuguaglianza siano da natura, ... significherebbe arrendersi all'ineliminabilità del male stesso, rinunciare all'assoluto in terra• (Domenico Settembrini - li Labirinto rivoluzionario - Rizzoli 1979pag. 29). Se si esaminano gli atteggiamenti prevalenti fra giornalisti e intellettuali di spicco nelle vicende del terrorismo, è facile constatare quanto Amendola colga nel segno. A cominciare dall'Ateneo di Padova, dove dopo i più efferati episodi di violenza, il corpo docente si trovava diviso tra mozioni di condanna della violenza «comunque•, e mozioni di condanna della violenza immotivata. In questa atmosfera è maturata quella guerra dei manifesti che ha visto al centro il coraggioso professore Ventura. Ridotti all'osso, i fatti sono questi: all'appello «garantista• alla Magistratura del 15 settembre in difesa dei diritti degli imputati Antonio Negri, Franco Piperno, Oreste Scalzone e altri, è seguito un contro-appello di docenti dell'Ateneo padovano che contestava il carattere di opinione alle idee degli imputati in quanto esse si configurerebbero come incitamento e giustificazione dei 500 attentati a persone e cose avvenuti a Padova nell'ultimo anno. La prevista risposta dell'Autonomia non si è fatta attendere, ed il 27 settembre il prof. Ventura Angelo, uno degli animatori del gruppo del contro-appello, è stato ferito nel modo solito. Immediatamente viene stilato un documento di solidarietà al prof. Ventura firmato prima da 56 professori, perlopiù colleghi del ferito, e poi da altri 82 intellettuali variamente collocati tra PSI e PCI. Ma invano si cercherà tra questi ultimi qualcuno dei 407 firmatari del primo appello a garanzia degli imputati. Inoltre i Partiti democratici locali e l'ANPI organizzano una manifestazione a Padova contro il terrorismo: risultato non più di 500 persone, e nessuna delle «stars• firmatarie del documento garantista come Moravia, Sciascia, Eco, Bocca, ecc., l'unica eccezione è l'imbarazzato Cacciari. Questa cronaca agghiacciante impone alcune considerazioni. I - Soppesando le firme ai due documenti si nota una schiacciante superiorità, non solo numerica, a favore del primo, e questo significa che se la libertà e la democrazia in questo Paese dipendessero dagli orientamenti prevalenti tra gli intellettuali, esse sarebbero già state spazzate via dalle spallate dei terroristi di destra e di sinistra. E questo non perché tale maggioranza sia filo-terrorista, ma perché è suo fermo convincimento che la minaccia alle Istituzioni viene da giudici e poliziotti più che dal Partito Armato, fino a non molti anni fa ritenuto una variabile delle •trame nere». Traumatizzati dal fascismo, i sedicenti garantisti vedono fascismo dappertutto. come certi adulti che vivono tulla la vita segnati dal trauma infantile. Il - E' fuor di dubbio che Gentile non ebbe alcun rapporto con i sicari di Ma11eotti, e nemmeno simpatia vista la sua concezione dello Stato. ma il suo manifesto dette forza politica e prestigio culturale ad un Partito che praticava l'omicidio come strumento di lotta politica: e questo 19 anni dopo i partigiani fiorentini non glielo perdoneranno. Così la qualifica di filosofo non salvò Rosenbcrg dalla condanna a morte al tribunale di Norinberga perché riconosciuto consigliere di Hitler. È lecito chiedere agli ex partigiani: la politica forse diventa follia omicida solo se rivolta contro gli Ebrei? O lo è meno quando prende 25 DICEMBRE /979
di mira magistrati, poliziotti, agenti di custodia e professori? L'impressione è che il fronte garantista, che ha snobbato guerriglieri come Lo Muscio o Zicchitella, è insorto quando sono scattate le manette a professori e giornalisti, come se si fosse trattato di lesa corporazione. Ed infatti le reazioni più rabbiose sono venute dai professionisti delle interviste ai latitanti, i quali considerando la propria professione ex-lege, chiedono provocatoriamente: quali limiti alla libertà di stampa? Se il fondamento della democrazia è l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non si capisce perché giornalisti e scrittori, come tutti gli altri cittadini, non dovrebbero avere i propri limiti nelle leggi vigenti che prevedono l'apologia di reato ed il favoreggiamento. Al momento non è dato di sapere se questa Repubblica, corsa e lacerata dai giovani si salverà o sarà travolta da qualcosa di peggio o di meglio, ma se si salverà forse lo dovrà a due vecchi, e a chi vorrà seguirne l'esempio. Guido Rilletti Liberali, non imbelli L, ONOREVOLE MANCINI NON HA DUBBI: "Dieci anni fa per la strage di piazza Fontana, toccò agli anarchici. Ora è la volta degli autonomi". C'è dunque in corso una caccia alle streghe che ha in Francesco Cossiga il suo tenebroso ispiratore, nei · partiti democratici i perfidi complici e negli intellettuali che non proclama110, se11za mezzi termini, l' in11ocenzadi Negri, Piperno e compagni, gli abietti servi del potere. Francameflte difronte a un dibattito come quello che si è svolto presso il Circolo culturale romano di "Mo11doperaio" si resta come allucinati, timorosi di vivere in un sogno popolato da tutti gli i11cubidella follia nazio11ale. ~ E invece non si tratta di incubi, ma di cose dette, co11tutta serietà, da illustri uomo11ipolitici ed autorevoli giuristi, i quali pretendono di convincerci non dell'innocenza di Negri e Piperno (il che è legittimo, anche se molto dubbioso), ma di essere l'Italia diventata un Paese dove non esistono più garanzie giuridiche e dove centinaia, forse migliaia di perseguitati politici di ''Autonomia" languiscono innocenti nei nostri terribili carceri. Tutto questo mentre i carabinieri continuano ad essere ammazzati come cani e professori, studenti, imprenditori e sindacalisti mandati senza tanti complimenti nei piacevoli reparti ortopedici degli ospedali. Si è letto sul/'" Unità" che l'anima innocente di un autonomo ha fatto al sullodato convegno la seguente pacifica dichiarazione: «Ma che cosa hanno fatto questi compagni? Avranno rapinato, avranno ucciso, ma non l'hanno fatto per scopo personale ... ». E' davvero atroce che, difronte a tanto disinteresse, lo Stato democratico badi ugualmente a difendersi. pur continuando, e i supergarantisti lo sanno benissimo, a fornire agli imputati tutte le giustissime tutele di cui dispone un Paese libero come il nostro. Quello che ormai indigna tanta parte del/'opinione pubblica non è certo la battaglia che molti va11no conducendo per impedire che, sotto l'ondata del terrorismo, il Paese scivoli verso metodi di governo autoritari. Per quanto possa sembrare molto spesso pretestuosa questa polemica, essa va accettata come un'ulteriore gara11ziache saranno comunque smascherati eve11tuali attentati alle nostre istituzioni. Quello che suscita la collera e il disgusto di tante persone oneste (che magari vivo110 il terrorismo sulla propria pelle) è l'arroganza di certi superdemocratici che accusano tutti coloro che non la pensano esattamente come loro di essere al servizio di non si sa bene quali progetti repressivi. Benedetto Croce, che aveva sulla coscienza il rimorso di aver dato un quale/te appoggio morale al fascismo nascente, disse più tardi che la colpa dei liberali sconfitti non era stata quella "di essere stati poco liberali, ma di essere imbelli, per incuranza, per imprevidenza, per momentaneo smarrimento". Ma forse, per certi supergarantisti afJlitti da paranoia politica, libera/democratico è sinonimo di imbecille. p.b. I I ed altri sono fatti per lo meno curiosi. LDE, PLI e PRI si trovano insieme. I repubblicani - dice il sen. SpadoIini - possono stare nella federazione, ma non nell'Internazionale, in quanto la prima «comprende partiti radicali e progressisti che hanno avuto una storia simile ai repubblicani italiani e nulla di comune con le forze moderate o reazionarie, spesso assorbite nei variegati fronti liberali. Aggiungete che la parola «liberale• quasi non esiste nella geografia politica francese. Il partito di Giscard si chiama "repubhlicano",,_ LETTERE Repubblicani e liberali Caro direttore, mi consenta una postilla all'intervista del sen. Spadolini. comparsa nel n. 5 del suo periodico. Lascio da parte gli excursus storici sul passato, che danno l'impressione di voler addirittura espungere le forze liberali dalla storia del Risorgimento e del post-risorgimento. Chiamare Giolitti, con la sua funzione storica di grande ammodernatore della vita italiana. nel filone_di Cavour e di Depret1s. una ~eccezione» nella rappresentanza delle istanze liberali-progressiste; escludere ogni riferimento al termine «liberale» in Amcndola: questi IL LEVIATANO Ma vengo a cose più recenti e che conosco per esperienza diretta. Esiste con sede a Londra, una Internazionale liberale (IL), fondata nel 1947 ad Oxford, riprendendo per iniziativa dei liberali italiani il filo di un· organizzazione similare di cui si ritrovano gli atti già prima della prima guerra mondiale. Di questa Internazionale fa parte il PLI ma non il PRI. Esiste pure, fondata nel I976 a Stoccarda, una Federazione dei partiti liberali e democratici della Comunità europea di cui fa parte come membro fondatore il PLI. Tale federazione (LDE) fu promossa nel 1974-1975 dall'IL in vista delle venienti elezioni dirette al Palarmento europeo. Il PLI, durante la preparazione del congresso fondatore di Stoccarda. su mia proposta e su decisione unanime di tutte le nostre componenti, attirò sull'iniziativa l'attenzione di Ugo La Malfa, prospettando un'adesione del PRI. Tale adesione ebbe poi luogo e oggi nella Qual'è la situazione di fatto? Mi sia lecito ricordare che la conosco bene essendo dal 1954 nell'Ufficio di presidenza (presidente per otto anni e poi presidente d'onore) dell'IL e dal 1976 nell'Esecutivo della LDE. Tutti i partiti della LDE (e cioè tutti i partiti liberali e democratici della Comunità europea salvo i danesi e i radicali di sinistra francesi) fanno parte della IL e quasi tutti ne facevano parte nel 1976 da decenni. Fa eccezione il PRI. 7
Nella IL si trovano. in più. partiti che nella LDE non ci sono. come i radicali di sinistra francesi: i liberali e i radicali svizzeri: i liberali austriaci: i liberali danesi. sia quelli di centro sia quelli di sinistra o «radicali•; i liberali norvegesi. svedesi e finlandesi; i liberali di Israele. di centro-destra e di centrosinistra: il grande Partito liberale canadese. Vi sono inoltre. sempre nella IL. personalità e gruppi liberali asiatici. africani e latino-americani. Dirò anzi che nel corso degli ultimi dieci anni. la IL ha lavorato assiduamente ad espandersi anche fuori delle sedi tradizionali del liberalismo in Europa e che il recentissimo suo congresso di Onawa ha rappresentato in tal senso una nuova tappa mollo soddisfacente. Quanto a Giscard. ricordo bene i suoi manifesti elenorali di qualche anno fa. con •libéral• a grandi lene re. Se il suo partito ha cambiato etichetta. si chiama •repubblicano•. è da quando collaborJ coi gollisti e frequenta i congressi della ,ii:nnra Thalcher. con grande dispello dei liberali inglesi. Ricordo pure congressi dei radicali francesi classici. quelli di Piace dc Valois. di Clémenceau e di Herriol. nei quali ho parlato a lungo ed espressamente come liberale. Che poi qualche uomo che sosteneva in quei congressi ranti-comunismo sia finito. coll'etichena di •radicale di sinistra• nel •fronte comune• SFIOPCF. sono scherzi del secondo turno. maggioritario. della legge elenorale francc,c. Un'altra notuione: il programma della LDE per le elezioni europee del 1979 fu redailo con gran cura. discusso a fondo nel modo più democratico e approvato all'unanimità nel congresso di Bruxelles del 1977. con il voto positivo delle delegazioni del PLI e del PRI (guidala quest'ultima. da Ugo La Malfa). E come i miei ottimi amici •europei• del PRI sanno mollo bene. alcune delle parti più delicate. p.cs. quelle sulla politica economicae monetaria. furono redatte in si rena collaborazione fra PLI e PRI in un comitato di cui avevo l'onore di essere presidente. Conclusione: il scn. Spadolini. di tanta acribia nelle sue opere storiche vorr:i certamente prendere nota di questi incontestabili falli e tenerne conto nei suoi discorsie scritti futuri. Mi domando infani se l'interesse comune del PLI. del PRI e della democrazia italiana non sia quello di ricercare i punti di incontro. che non mancano. e non quello di esasperare o addirinura creare dei contrasti anche là dove non hanno una base reale nei fatti. senza per questo rinunciare. il PRI. a quella •solidarietà nazionale• col PCI a cui non crede il PLI. Giovanni Malagodi. Roma Onesti o capaci? Caro direttore, nel n. I del Leviatano il lettore Alberto Gioia di Milano ti scrive esprimendo l'opinione per cui uno dei 8 fattori che avrebbe contribuito ampiamente a creare la situazione in cui ci troviamo sarebbe la corruzione. Non mi sentirei di solloscrivere questa af. fermazione. anche se il recente scan• dalo del petrolio saudita sembrerebbe provare che sia più che giusta. A mio avviso dire che ciò di cui abbiamo bisogno è «uomini onesti e incomJt• tibili•. come dice l'autore della lenera. è fortemente limitativo. E' vero che l'onestù è necessaria. ma i nostri mali hanno origine più in una politica sconsiderata. che nell'aspeno corrot• lo di tale politica. Che cosa pesa di più sullo stato disastroso delle nostre fi. nanze: le centinaia di milioni o le decine di miliardi ruhati. o i 20.<XXl miliardi di debiti delle aziende IRl'/ Abbiamo dunque bisogno non tanto di governanti onesti. ma di governanti capaci di anuare una politica che ci porti fuori dalla tempesta. Quanto all'onesto Zaccagnini. torni pure a predicare in altra sede; a parte il fallo che la sua faccia «oneslai. è servita a coprire più di un episodio poco chiaro compresa la sua politica di accostamento verso i comunisti. con tulio ciò che comporta (prepotenza sindacale. salvataggi come politica di fondo. spesa allegra). Sarò un cinico, ma preferisco un ladro capace che un onesto dissipatore! Mariella Bianchi. Torino Una pace difficile Egregio direttore. è questa la terza lettera che le scrivo nel giro di un mese; non vorrei passare per un grafomane o. peggio. per un rompiscatole. ma la risposta secca e inequivocabile messaa mo· di titolo alla lettera pubblicata sul n. 4 del suo sellimanale. in cui la invitavo a rivedere il suo giudizio su chi propone l'abolizione degli eserciti come mezzo per evitare le guerre. mi spinge a tornare sull'argomento. Mi chiedo. infaui. come sia possibile possedere certezze assolute sulla questione succitata. dal momento che è certamente un fano che il mondo non ha più vissuto guerre mondiali dal 1945 in poi. anche o soprallullo grazie all'equilibrio atomico tra le superpotenze (tesi sostenuta da Popper in polemica con Bertrand Russell che era invece fautore del disarmo unilaterale). ma è altresì vero che il potenziale distruttivo è incredibilmente aumentato. anziché diminuito. come invece ritenevano possibile che accadesse i sostenitori del disarmo graduale. In conclusione ritengo che dare una risposta al quesito: •come preservare la pace mondiale?• sia davvero difficile; come del resto è dimostralo dalle differenti e contrastanti opinioni che in proposito hanno riferito uomini avvezzi a ragionare come gli autori summenzionati. Cionondimeno, una scelta si impone, e la mia è la stessa dei nonviolenti. continuando comunque a ri0enere su questo che è veramente un argomento di vitale importanza. Ollavio Zambardi, Fe"ara Il tesseramento sindacale Caro direttore. giustamente l'articolo pubblicato sul n. 5 del Leviatano a proposito del sindacato. sottolinea il fallo che la concorrenza Ira confederazioni porta ad uno scavalcamento a sinistra. L'articolo dimentica però di far rilevare che tale corsa alla rivendicazione non si verifica solo tra confederazioni. ma anche tra confederazioni da una parte e sindacati autonomi dall'altra. Ad esempio. lo sciopero per la trimestra· lizzazione della scala mobile degli insegnanti è stato indello dalle confederazioni onde evitare di farsi spiazzare dai sindacati autonomi. Inoltre. questo sciopero è staio un esempio di ciò che l'articolo considera una agitazione che serve a tenere mobilitala l'organizzazione. Come si spiega. infani. la conferma dello sciopero anche dopo che il governo aveva sostanzialmente accenato - con una disponibilità che non ha molti precedenti - la sostanza di tutte le rivendicazioni? Vorrei inoltre proporre. se è vero, come dice l'articolo. che il tesseramento per delega costituisce un mezzo di rafforzamento del potere della direzione sindacale e di conseguenza del cattivo uso che ne fa. una campagna perché gli iscrilli al sindacato ritirino la delega? Perché i sindacalisti. come avveniva un tempo. sia con il contano con la base. sia con una politica più seria. non si sudano l'olle· nimento del rinnovo della adesione al sindacato ogni anno? Maria Milazzo. Roma Ineccepibili e co·ntroproducenti Egregio direnore. trovo ineccepibili gli argomenti dottrinari e storici esposti dal sen. Spadolini nel n. 5 del Leviatano: ma controproducenti ai fini di una possibile intesa programmatica nell'arco dai liberali ai socialisti. Ad alcuni milioni di elenori. hen lontani dall'essere prulctari. che. col loro voto suicida. vorrebbero dimostrare di preferire. senza conoscerla. la tirannia comunista all'impotente lassismo democristiano. contro cui votano per dispeno. bisognerebbe offrire un illuminato blocco laico. unito e solidale nel respingere inganni demagogici e utopie livellatrici. anche a costo di nascondere l'identità e sa• crificare l'orgoglio di nome. di tradizione. di storia di cui sono ricchi i singoli partiti componenti il blocco. I segretari politici dei 4 partili minori. nel tentativo di salvare la democrazia. dovrebbero prendere coscienza di questo necessario sacrificio • ed unirsi nel segno della salvezza comune. prima che l'Italia si allinei alla Finlandia o ad un satellite di Mosca. Silvio Mele. Vasto 25 DICEMBRE 1979
LIBERALSOCIALISMO ENZO BETIIZA Marxismo e liberalismo IN UN RECENTE LUNGO DIALOGO CON UGO lntini, che continuava quello avviato sull' «Avanti!» e che prenderà presto la forma di un libro, abbiamo voluto prendere atto insieme, fin dallo inizio della conversazione dei tre grandi momenti di liberazione della coscienza moderna dell'uomo occidentale: il momento religioso, il momento civile. il momento sociale. Nel nostro tentativo di rintracciare una certa comunanza anche spirituale fra le matrici del liberalismo e del socialismo, abbiamo voluto vedere già in Lutero e in Erasmo due embrionali punti di convergenza. Questo tentativo spregiudicato d'intravedere qualcosa di comune già negli atti di rinascita della coscienza religiosa libera e della coscienza razionale libera dell'uomo occidentale ci era apparso interessante e stimolante perché coinvolgeva il nostro essere liberali o essere socialisti al di là della rivoluzione francese e delle stesse rivoluzioni industriali che si svilupperanno poi nell'800. Ma sarà soprattutto nel modo di pensare eretico e antiautoritario degli illuministi che una certa comunanza di matrice fra liberalismo e socialismo prenderà più consistenza. La rivalutazione dell'individuo contro lo strapotere delle monarchie assolute, l'affermazione polemica del suo diritto naturale di essere libero e di agire contro ogni innaturale sopraffazione politica e sociale, costituiranno l'ampia piattaforma culturale e ideale da cui il pensiero liberale e quello socialista prenderanno insieme le mosse nel '700 per poi incontrarsi e anche scontrarsi ne11'800. Detto ciò, soggiungo che, abbozzando le linee di una comune ascendenza culturale fra liberalismo e socialismo, non intendo affatto delineare uno schema filologico ottimistico o inventarne a posteriori uno utopico. Quel che mi premeva di stabilire è che all'origine del pensiero critico moderno non vediamo una contrapposizione fra i prodromi genetici dei due filoni, ma piuttosto una separazione che si diparte da una medesima matrice che definirei insieme, eretica e occidentale. La contrapposizione verrà dopo e sarà profonda quanto artificiosa. La prima rottura storica tra liberalismo e socialismo si consumerà nella metà dell'800, nel pieno della rivoluzione industriale, e sarà provocata da quel «fattore K» ottocentesco che si chiama Karl Marx. Sarà Marx, con l'autoritarismo congenito IL LEVIATANO non solo alle sue concezioni filosofiche ma al suo stesso carattere, il primo pensatore moderno a scavare una vera e propria trincea di guerra tra socialismo e liberalismo. Si tratterà di un fossato tanto profondo quanto artificioso, arbitrario, esasperato. Arbitrario ed esasperato direi, rispetto alle stesse ambiguità inerenti al pensiero di Marx che, considerato nella sua totalità, può apparirci tutt'altro che scevro di venature e di spunti liberali. Da molti Marx fu inteso come un fautore del capitalismo liberale. li Capitale fu divulgato come un vangelo di modernizzazione capitalistica. Si proclamò sulla scia del determinismo marxiano che esistono «leggi generali» dello sviluppo che l'uomo non può ostacolare, valide così per la Russia come per altri Paesi europei. Si prese alla lettera il peana alla borghesia elevato da Marx e da Engels nelle prime pagine del Manifesto: si inneggiò alla libera impresa, alla concorrenza, al mercato, all'evoluzione creativa delle forze produttive moderne, auspicandone l'avvento sulle macerie dell'ancestrale comune rurale slava. Direi che in nessun altro Paese come in Russia, dove il marxismo doveva rivelare più compiutamente che altrove ambedue le sue facce, la liberalriformistica e la totalizzante, Marx fu costretto a denudarsi in tutte le sue ambiguità. Il liberalismo russo che fino allora aveva vegetato timidamente negli zemstvo ai margini del populismo moderato, risorgeva con insolita quanto paradossale vitalità in vesti marxiste. Come ha notato Alain Besançon, «mentre in Occidente il marxismo era stato la tomba del L'ANNUNCIO DELLA MORTE DI MARX ?~: IDtr ~o 1 ialbemokrat; - ~-:-- . ~traf-@rgnn ba bfuff~ ~&ialbnnofiralit-.::::::-- w.- H. --~ -..-.... ------OU:- ~-•......,·- ..,...-~~ I~- i;,;'~ . ~~- . ' -··- - = ~;e;?~ ~g--:~.: ~¾:-:?.~=~ ~~~~~ ~--~:(::-: ~~~~ i~~~tFa!~ ~#.~~~~];~~i~ ~~-=--:-~==-=rs 5~?~~= ~~È~'?.] ;;.:;,.:;:-=-r=.::::E: c.:--.~E-.:-::-.:-:-.::.·.: =-=.-...:::.-:.=..-...:-: 9
PIERRE-JOSEPH PROUDHON liberalismo economico, in Russia ne diventava la culla». Era l'epoca in cui Miljukov, capo del partito cadetto (cioè liberale), confutava con argomenti marxisti gli opposti estremismi conservatori di destra e di sinistra. Il marxismo nella rivoluzione industriale russa. diventava l'equivalente del pensiero manchesteriano nella rivoluzione industriale inglese. Non meno paradossale appariva la situazione culturale sul versante socialdemocratico vero e proprio. Plechanov il padre del marxismo russo, il maestro di Lenin, sembrava, con le sue idee, più vicino al cadetto Miljukov o al liberalmarxista Struve che al terrorista Tkacov. Quello che a un determinista rigoroso come Plechanov premeva soprattutto era l'avvento della rivu1uL1unc<letta borghese. Per lui, marxista classico, era non solo futile, ma pericoloso, voler anticipare con la violenza armata e con l'esasperazione dottrinaria una rivoluzione socialista prima che non ne fossero maturate tutte le condizioni oggettive e non si fossero consolidati, anche in Russia, uno Stato garantista di tipo li\)eraldemocratico e un'economia capitalistica evoluta. Questa concezione gradualistica dello sviluppo resterà poi, per sempre, lo spartiacque insormontabile tra il menscevis1no e il bolscevismo. I menscevichi, nonostante rntte le conce~~ioni occasionali alla demagogia rivoluzionaria. e nonostante la nota intransigenza ortodossa di Plechanov, custode inflessibile della dottrina in seno alla Seconda Internazionale, evolveranno verso posizioni che diverranno schiettamente liberalsocialiste al momento della loro sconfitta storica nell'ottobre 1917. Con altre parole, si potrebbe dire che i menscevichi diverranno dei liberali «anonimi». Prima di tornare a Marx, e al grave momento della frattura tra socialismo e liberalismo che IO con Marx si consumerà in Occidente alla metà del secolo scorso, mi era sembrato importante sottolineare questo bivalente filone liberale che aveva costantemente attraversato la storia dello stesso marxismo russo. Un filone che solo la terza rivoluzione russa, quella leninista, spezzerà. Non è vero che in Russia. data la sua arretratezza, non esistessero alternative diverse da quella di un socialismo autoritario destinato a imporre col terrore di Stato e col Gulag la rivoluzione industriale in un Paese sottosviluppato. Non è vero. C'erano in Russia già allora altre potenzialità, altre probabilità, altre ipotesi evolutive che vennero però tutte interrotte brutalmente non tanto dalla seconda rivoluzione, quella di febbraio, ma dal colpo di mano bolscevico contro di essa e contro le forze democratiche e socialiste che essa aveva espresso. Veniamo ora al Marx negativo, quello che ha contato e pesato di più non solo nel divorzio tra liberali e socialisti, ma nelle tragiche vicende dello stesso movimento operaio. Più studiamo oggi la figura e la lezione di Marx, e più vediamo che esse hanno molestamente sconvolto la naturalezza delle originarie coniugazioni fra liberalismo e socialismo. Perché Marx è uri' punto cruciale di svolta, di scissura storica tra le proposte di conflitto e di libertà del pensiero liberale e le esigenze di giustizia e di eguaglianza della tradizione socialista? Una risposta l'aveva già tentata Carlo Rosselli, nel suo Socialismo liberale. Rosselli considerava giustamente il marxismo come un corpo di dottrine a sé stante, un sistema autonomo, diverso e opposto sia al liberalismo che al socialismo. Per Rosselli il liberalismo è essenzialmente un metodo, il socialismo principalmente un ideale, mentre il marxismo non può essere né un metodo né un vero ideale perché è, fondamentalmente, un sistema. Tutto il libro di Rosselli, come ha notato Bobbio, è dominato da una tesi centrale: l'incompatibilità e pertanto l'inconciliabilità tra marxismo e liberalismo. Nella triade è il socialismo che si concilia col liberalismo. mentre il marxismo si contrappone ad ambedue e non si coniuga con nessuno dei due. Se Marx aveva imposto al socialismo, ivi incluso il socialismo italiano, la rottura col liberalismo. Rosselli col suo libro proponeva al movimentò operaio ormai adulto una netta inversione di rotta: proponeva alle nuove generazioni la necessità di una «rottura tra socialismo e marxismo». Diceva Rosselli: il socialismo, che era sempre stato considerato inscindibile dal marxismo, è con esso alla fine incompatibile, ed è invece perfettamente compatibile col liberalismo del quale era stato considerato, per lunga e arbitraria tradizione, l'antitesi. Il socialismo, secondo Rosselli, non solo non è incompatibile col liberalismo, ma ne è teoricamente e storicamente la continuazione e la logica conclusione. Vale la pena di citare, qui, l'acuta interpretazione che del socialismo liberale rosselliano fa 25 DICEMBRE 1979
Norberto Bobbio: «La superiorità del metodo democratico e quindi del liberalismo, dipende dall'essere fondato su quella visione antagonistica della storia che è la più alta espressione della civiltà moderna, una visione che, avendo ripudiato ogni finalismo, e ritenendo più importante il movimento verso il fine che non il fine medesimo, non permette di sacrificare il fine al metodo». A queste giuste osservazioni di Rosselli e di Bobbio sull'intervento storico negativo del marxismo nello sviluppo dei movimenti operai e democratici europei, va aggiunta una considerazione ulteriore. O, meglio, una correzione, che non sarà soltanto semantica. Per Rosselli, ciò che differenzia nella sua essenza il marxismo da ogni altro pensiero laico e democratico è la sua ambizione a costituirsi in sistema: cioè a comprendere e a spiegare organicamente la storia umana dall'inizio dei tempi per porre se stesso, esaurito il ruolo di mezzo di combattimento, a custode palingenetico della sua felice conclusione finale. La novità di un sistema siffatto, in cui scienza e credenza s'intrecciano, è che esso è qualcosa di meno e qualcosa di più di un sistema filosofico chiuso. La novità è che si tratta di un sistema ideologico. La novità vera ed esplosiva di Marx è nell'introduzione della ideologia, categoria fino allora ignota sia ai liberali che ai socialisti, nel cuore e nel cervello del movimento operaio proprio all'inizio del suo impetuoso sviluppo di massa. Proporrei perciò per differenziare ancora più nettamente e più precisamente il marxismo da ogni altro movimento moderno, di mettere l'accento più sulla ideologia che sul sistema. Perché nel marxismo è l'ideologia e non il sistema la fonte di tutto: è essa che fa nascere il sistema, è essa che lo chiude con le sue chiavi scientiste dall'esterno dopo avergli conferito una travatura soteriologica all'interno. L'ideologia è cosa molto complessa. Essa non è soltanto un insieme eclettico di credenze pseudoscientifiche. Non è soltanto un complesso di analisi socioeconomiche più o meno errate sull'inevitabile corsa al suicidio delle società capitalistiche. Ma essa porta in sé anche un dinamismo metafisico e totalizzante che sembra richiamarsi a certi fenomeni gnostici dei tempi antichi. L'ideologia diventa gnostica nel momento in cui, come la gnosi, si pone al centro del mondo per spiegarlo dal principio alla fine. Ecco perché lo gnostico era molto più intollerante del credente normale, così come oggi il social-marxista è molto più intollerante del socialdemocratico: perché entrambi hanno operato nel loro intimo un'usurpazione divina, entrambi conoscono a priori la volontà di Dio e l'itinerario della Storia, entrambi credono di tenere in pugno la chiave della verità cosmica. Rovesciati in termini atei, o se vogliamo laici, ritroviamo in Marx la stessa presunzione metafisica degli antichi gnostici, il loro stesso approccio onnipervasivo alla complessità dell'universo, il loro stesso meccaniIL LEVIATANO smo psicoteologico e salvifico nello spiegarne il destino. Per il marxista, come per lo gnostico, la verita è data per scontata: non si tratta di cercarla, ma di realizzarla. È da questo assioma ideologico che dal marxismo discende tutto un macchinoso ingranaggio di verità rivelate che riguardano l'economia, la politica, la sociologia, la filosofia, il diritto. l'arte, la letteratura, a religione, eccetera. L'ideologia, di cui Marx non è stato il detrattore ma il vero inventore, riassumerà e chiuderà in un blocco unico e sistematico tutte le componenti di questo complesso amalgama. Nascerà così il sistema ideologico marxista che non sarà propriamente né filosofia né sociologia; né politica né economia; né dottrina scientifica né una nuova teosofia atea. Che sarà tutto questo e, insieme, qualcosa di completamente nuovo da tutto questo. È tramite uno strumento siffatto, tramite l'ideologia inventata da Marx, che si compie la rottura non solo tra pensiero liberale e pensiero socialista: ma si compie, all'interno del socialismo medesimo, una frattura esiziale per il movimento operaio tra il marxismo e tutti quegli altri socialismi dell'epoca che Marx definiva con sprezzo «non scientifici». Caratteristica del continuo combattimento di Marx contro tutto e tutti sarà la versatilità: egli dichiarerà la guerra, nello stesso momento, al liberalismo e a tutti quei socialismi e anarcosocialismi del tempo che non coincideranno col suo. Abbiamo detto che nell'SOOci fu un archetipo del «fattore K» che si chiamava Marx il quale impedì la comprensione e la collaborazione fra liberali e socialisti e promosse la disgregazione stessa del fronte socialista del tempo. Ma c'è stato anche nella storia italiana recente l'altro «fattore K», il PCI, a impedire con la sua sola presenza e col ricatto marx-leninista la realizzazione di tante idee positive che animarono i LUIGI EINAUDI Il
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