EDITORIALE Un Corso incerto BETTINO CRAXI È A PECHINO. PER qualche giorno almeno, in assenza del dinamico segretario socialista, non ci saranno «clamorose iniziative», né «saggi» di teoria politica o costituzionale, né inaspettati e repentini mutamenti di fronte. È forse il momento, allora, di tracciare un bilancio, sia pure sommario, della politica del PSI dopo il congresso di Torino. Se profittiamo di questa pausa è perché l'estro di Craxi potrebbe, altrimenti, metterci di fronte a qualche novità, rendendo obsoleto questo articolo che pure è scritto solo pochi giorni prima di esser letto. Tutto infatti si può rimproverare a Craxi meno che la mancanza di iniziativa. Per quanto riguarda le linee di fondo della politica socialista, in meno di due anni Craxi ha fatto redigere e approvare un nuovo programma del partito, un' «organica piattaforma ideologico-programmatica», come la definì il segretario, che al PSI mancava da molti anni; già pochi mesi dopo però, quella piattaforma apparve a Craxi inadeguata, per la parte ideologica, se ritenne necessaria la contestazione del leninismo (e implicitamente del marxismo) contenuta nel lungo articolo pubblicato sull'«Espresso» nell'agosto dello scorso anno; e per la parte programmatica il giudizio di insufficienza sul documento di Torino Craxi l'ha espresso proponendo una «accorta revisione» della Costituzione della Repubblica. Non meno attivo Craxi è stato nei rapporti con gli altri partiti e nella proposizione di schieramenti e formule di governo: il PSI è apparso via via a favore (e contro) la politica di unità nazionale, l'area laico-socialista, il neo-frontismo. Ma mentre, sul terreno ideologico, le iniziative di Craxi appaiono coerenti e, semmai, ciascuna sviluppo dell'altra sulla via del riavvicinamento del socialismo italiano alla socialdemocrazia europea e del definitivo abbandono dell'eredità dogmatica del movimento operaio; i passi di politica pratica sono, a dir poco, contraddittori. A dir poco. Perché spesso appaiono fantasiosi, se non addirittura avventurosi e irresponsabili. Negli ultimi due anni v'è stata anche la posizione dei socialisti durante la vicenda Moro; e l'ambiguità sul referendum per l'abrogazione della Legge Reale; e la tolleranza - mascherata da garantismo - verso il partito dei Piperno e dei Pifano; v'è stato un perenne tentativo di scavalcamento a sinistra dei comunisti sul terreno sin2 dacale, quando Lama - quali ne fossero le motivazioni - spingeva le confederazioni sulla via della moderazione; negli ultimi mesi v'è stata l'ardita proposta della presidenza del consiglio socialista, il cui esito pratico è stato quello di rafforzare, all'interno della Democrazia cristiana, l'ala dialogante con il PCI. E contraddittoriamente con tutto questo v'è stata però la preoccupazione per la governabilità del Paese, non coerente, è vero, con l'indisponibilità a far parte dell'esecutivo, e il riconoscimento del ruolo positivo di partiti dell'area laica e la riaffermazione, sulla questione del riarmo europeo, dei legami e della solidarietà atlantica. Si direbbe insomma che Craxi quasi tema di trarre le logiche conseguenze sul piano dei comportamenti pratici dalle premesse ideologiche su cui dovrebbe fondare la propria azione. Convinti che la moderna società occidentale può essere certamente riformata, ma che le leggi dell'economia impongono vincoli e compatibilità non ~uperabili con atti di pura volontà, i socialisti non esitano tuttavia a inceppare i più delicati meccanismi del sistema, quasi che, invece di riformarlo, volessero abbatterlo; consapevoli di quanto siano preziose la democrazia e la libertà e quanto però, in una situazione di gravi tensioni sociali, esse corrano il rischio di essere perdute, non esitano, se non a incoraggiare, a offrire una copertura ideologica, politica, morale a chi alla libertà attenta; ormai molto distanti, anzi francamente ostili, rispetto al mondo comunista, sembrano a volte subire l'iniziativa del PCI come a cavallo degli anni cinquanta. Queste oscillazioni e incoerenze nascono - ci sembra di capire - dalla preoccupazione per lo squilibrio tra i compiti che il Partito socialista si è assegnato - quello di ridare alla sinistra italiana una dignità europea, abbandonando l'infantilismo dei miti rivoluzionari, e quello di sottrarla al condizionamento sovietico - e l'esiguità delle forze fin qui raccolte. Credono cioè, i socialisti, che il compito prioritario sia il rafforzamento del proprio partito, l'allargamento della sfera di consenso e di influenza. E che il definirsi, il precisare obiettivi e scadenze, i sacrifici da compiere, i privilegi cui rinunciare, possa ostacolare, scontentando alcuni o molti, la crescita socialista. Onde ai precari si promette sicurezza e una scuola seria a chi vuole studiare, agli estremisti tolleranza e ordine alla forza pubblica, salari 20 NOVEMBRE 1979
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