Il Leviatano - anno I - n. 3 - 20 novembre 1979

RIESUMAZIONI GIUSEPPE BEDESCHI Un cadavere nell'armadio I COMUNISTI, DUNQUE, HANNO RISCOperto Trotskij. A quasi quarant'anni dal suo assassinio, egli non è più «la sgualdrina del fascismo» (secondo la definizione corrente fra i comunisti negli anni trenta). «L'Unità»(del 3 novembre) ne ha commemorato il centenario della nascita con un articolo in prima pagina del suo direttore, Reichlin, e con gli interventi di due storici (Boffa e Spriano) in terza pagina; «Rinascita», a sua volta, ha pubblicato un articolo di Procacci. Il fatto è degno di rilievo, sotto due aspetti almeno: in primo luogo, perché ciò avviene per la prima volta dopo tanto tempo (a ben ventitré ~nni dalla destalinizzazione, come ha rilevato De Luca sulla «Repubblica»); in secondo luogo, perché nell' URSS, nei paesi satelliti e in tutti i partiti comunisti Trotskij è ancora tabù. Commemorandolo, i comunisti italiani continuano quindi nella loro linea, che consiste nel rimettere in discussione (sia pure con estrema gradualità e con cautela gesuitica) alcuni nodi del loro passato, e nel differenziarsi dagli atteggiamenti del «campo socialista». Detto questo, vale la pena di entrare nel merito della commemorazione, che non è stata meramente protocollare e di circostanza. Lasciamo da parte le considerazioni di Reichlin, che sono delle vere e proprie amenità: egli afferma infatti che l'atteggiamento assunto per molti decenni dal movimento comunista verso Trotskij e il trotskismo - «l'aver innescato una logica perversa e manichea per cui la storia veniva ridotta a ideologia» - è stato essenzialmente «un delitto contro noi stessi» (come dire: cari borghesi, di che vi lamentate, dopotutto i danneggiati siamo noi). E aggiunge che «in questa fase l'enorme sforzo dell'avversario, specie verso le nuove generazioni, non è rivolto tanto a distruggere le organizzazioni della sinistra, quanto il suo cervello collettivo, cancellando la coscienza storica, la visione razionale delle cose, la memoria». Ora, se si considera che son dovuti passare ben ventitré anni (una generazione!) dal 1956, perché i comunisti commemorassero Trotskij, bisogna concludere che il direttore dell'«Unità» non deve avere molto sviluppato il senso del ridicolo (come peraltro risulta dal suo stile inutilmente concitato e convulso). Ma veniamo agli aspetti seri. Una cosa colpisce immediatamente negli articoli di Boffa, Spriano e Procacci. Essi mettono in rilievo il grande con12 L.D. TROTSKIJ NEL 1939 tributo di Trotskij alla rivoluzione d'ottobre, la sua convergenza e la sua collaborazione con Lenin in momenti decisivi, la lucida consapevolezza che egli ebbe della completa inconsistenza dell 'incredibile teoria staliniana del «socialfascismo» (fatta propria, supinamente, da Palmiro Togliatti), che facilitava enormemente l'avvento del nazismo al potere. Al tempo stesso gli storici comunisti mettono in rilievo, giustamente, gli errori e i limiti dell'analisi trotskista negli anni trenta, della sua idea che la seconda guerra mondiale fosse semplicemente una continuazione della prima e che dovessecoincidere con una insurrezione proletaria in Occidente. Di qui la tesi di Trotskij che fosse «impossibile condurre una vera lotta contro il fascismo se non con i metodi della rivoluzione proletaria», di qui il suo «sinistrismo» estremistico, ecc. Tutte cose giuste, anzi giustissime. Senonché, come dicevamo, una cosa colpisce negli articoli degli storici comunisti: essi esaminano vari aspetti delle idee e dell'attività di Trotskij, ma lasciano del tutto in ombra la sua analisi della società e dello Stato sovietico. Perché mai? Dopotutto, non si tratta di un aspetto secondario del pensiero trotskista, bensì di un suo aspetto centrale e assolutamente essenziale. Inoltre, il trotskismo è stato discusso per lunghi anni infra et extra moenia, cioè dentro e fuori il movimento operaio, assai più per la sua valutazione della natura della società e dello Stato sovietici, che per la sua critica dei fronti popolari e dell'unità antifascista. Come mai, dunque, questa dimenticanza, o piuttosto questa omissione, che non può non apparire singolare, anzi sorprendente? Secondo noi, un motivo c'è. Esso va ricercato nell'imbarazzo che questo aspetto del pensiero di Trotskij procura agli intellettuali e ai teorici comunisti. Imbarazzo, in primo luogo, per quello che essi, a questo proposito, dovrebbero dire, e, 20 NOVEMBRE 1979

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