Il Leviatano - anno I - n. 3 - 20 novembre 1979

3 500 I i re ILLEVIATANO Non c'è sulla Ttrra chi sia superiore al Levia1ano, il quale è fallo per non avere paura: egli guarda in faccia tutto ciò che è eccelso, egli è re su tulle le creature più superbe. (Giobbe, XLI, 25-26/ Il grande Leviatano è quell'unica creatura al mondo Che dovrà restare senza ritratti sino al/a fine. Questo Levialano ci scende addosso, diba1tendosi dalle fonti dell'Eternità. (H. Melville. Moby Dick.capp. LV, CV) settimanale di commento politico ----■♦ .-.-- in questo numero: L 'arlt imita quel razionale e più eccellenlt lavoro della natura che è l'uomo. Poiché con l'arte è Creato quel gran Le°viatano, chiamato S1iJ10(in latino civit3sJ, il quale non è che .u.1u1omo artificiale, bench'i di maggiore Jtatura e forza del naturale, per la protezione e dif,sa del quale fu concepito. (T. Hobbes,, Leviatano, Introduzione/ E quante nature poeliche non ho incontrato t.4/fatto? E quante ne hai strangolate tu nel corso di questi deceMi, ' maledetto Le1Jiatano? (A. Solzenicyn, Arcipelago Gulag, V, S) Romeo sul dibattito all'interno del PCI Tamburrano sulla politica estera sovietica Bedeschi sulla «riabilitazione» di Trotskij Editoriale sull' «ambiguità socialista» I giudizi di Coen, Colletti, Settembrini sull'articolo di Amendola Giorgio Gomel sulle difficoltà economiche degli USA La sfortuna di Pifano - Il pirata Khomeini La supertassa sulla casa - Dopo Lenin l'lman Gli eurocomunisti studiano ancora a Mosca Collaboratori: lìlOVAN:'\/1 ALDOBRANOINI. GIUSEPPE ARE:., l>OME:-,.,;JCO BARTOLI. GIL:SEPPF. BEOES{ Hl. E:--.r.o Hl-. r I IL\, LL'CIANO CAFAGNA. VENERIO C'A rrA:'1-il. u;no COLLETTI. RE!'iZO DE FELICE. PAOLO DEMARTIS. ('EL.SO DE STEfA!'.IS. SIRIO DI GIULIOMARIA. GIAN!\11 FINO(THIARO. CARLO FUSI. ALDO GAROSCI. PIER CARLO \IASl:--.1. SICULA \IATTEUCCI. Rl'.'JATO \11ELI. ALDO G. RICCI. GUIDO RII.LETTI. ROSARÌO ROMEO. AI.BERIO RONC-UEY. DOMENICO SETl"E-.\18Rl:-,,;I. GIVSEPPL f:\\IBURRANO. PAOLO UNGARI. GUELFO ZACCARIA. Uireltore responsabile: GIL'UO SAVEU.I 20 novembre 1979

EDITORIALE Un Corso incerto BETTINO CRAXI È A PECHINO. PER qualche giorno almeno, in assenza del dinamico segretario socialista, non ci saranno «clamorose iniziative», né «saggi» di teoria politica o costituzionale, né inaspettati e repentini mutamenti di fronte. È forse il momento, allora, di tracciare un bilancio, sia pure sommario, della politica del PSI dopo il congresso di Torino. Se profittiamo di questa pausa è perché l'estro di Craxi potrebbe, altrimenti, metterci di fronte a qualche novità, rendendo obsoleto questo articolo che pure è scritto solo pochi giorni prima di esser letto. Tutto infatti si può rimproverare a Craxi meno che la mancanza di iniziativa. Per quanto riguarda le linee di fondo della politica socialista, in meno di due anni Craxi ha fatto redigere e approvare un nuovo programma del partito, un' «organica piattaforma ideologico-programmatica», come la definì il segretario, che al PSI mancava da molti anni; già pochi mesi dopo però, quella piattaforma apparve a Craxi inadeguata, per la parte ideologica, se ritenne necessaria la contestazione del leninismo (e implicitamente del marxismo) contenuta nel lungo articolo pubblicato sull'«Espresso» nell'agosto dello scorso anno; e per la parte programmatica il giudizio di insufficienza sul documento di Torino Craxi l'ha espresso proponendo una «accorta revisione» della Costituzione della Repubblica. Non meno attivo Craxi è stato nei rapporti con gli altri partiti e nella proposizione di schieramenti e formule di governo: il PSI è apparso via via a favore (e contro) la politica di unità nazionale, l'area laico-socialista, il neo-frontismo. Ma mentre, sul terreno ideologico, le iniziative di Craxi appaiono coerenti e, semmai, ciascuna sviluppo dell'altra sulla via del riavvicinamento del socialismo italiano alla socialdemocrazia europea e del definitivo abbandono dell'eredità dogmatica del movimento operaio; i passi di politica pratica sono, a dir poco, contraddittori. A dir poco. Perché spesso appaiono fantasiosi, se non addirittura avventurosi e irresponsabili. Negli ultimi due anni v'è stata anche la posizione dei socialisti durante la vicenda Moro; e l'ambiguità sul referendum per l'abrogazione della Legge Reale; e la tolleranza - mascherata da garantismo - verso il partito dei Piperno e dei Pifano; v'è stato un perenne tentativo di scavalcamento a sinistra dei comunisti sul terreno sin2 dacale, quando Lama - quali ne fossero le motivazioni - spingeva le confederazioni sulla via della moderazione; negli ultimi mesi v'è stata l'ardita proposta della presidenza del consiglio socialista, il cui esito pratico è stato quello di rafforzare, all'interno della Democrazia cristiana, l'ala dialogante con il PCI. E contraddittoriamente con tutto questo v'è stata però la preoccupazione per la governabilità del Paese, non coerente, è vero, con l'indisponibilità a far parte dell'esecutivo, e il riconoscimento del ruolo positivo di partiti dell'area laica e la riaffermazione, sulla questione del riarmo europeo, dei legami e della solidarietà atlantica. Si direbbe insomma che Craxi quasi tema di trarre le logiche conseguenze sul piano dei comportamenti pratici dalle premesse ideologiche su cui dovrebbe fondare la propria azione. Convinti che la moderna società occidentale può essere certamente riformata, ma che le leggi dell'economia impongono vincoli e compatibilità non ~uperabili con atti di pura volontà, i socialisti non esitano tuttavia a inceppare i più delicati meccanismi del sistema, quasi che, invece di riformarlo, volessero abbatterlo; consapevoli di quanto siano preziose la democrazia e la libertà e quanto però, in una situazione di gravi tensioni sociali, esse corrano il rischio di essere perdute, non esitano, se non a incoraggiare, a offrire una copertura ideologica, politica, morale a chi alla libertà attenta; ormai molto distanti, anzi francamente ostili, rispetto al mondo comunista, sembrano a volte subire l'iniziativa del PCI come a cavallo degli anni cinquanta. Queste oscillazioni e incoerenze nascono - ci sembra di capire - dalla preoccupazione per lo squilibrio tra i compiti che il Partito socialista si è assegnato - quello di ridare alla sinistra italiana una dignità europea, abbandonando l'infantilismo dei miti rivoluzionari, e quello di sottrarla al condizionamento sovietico - e l'esiguità delle forze fin qui raccolte. Credono cioè, i socialisti, che il compito prioritario sia il rafforzamento del proprio partito, l'allargamento della sfera di consenso e di influenza. E che il definirsi, il precisare obiettivi e scadenze, i sacrifici da compiere, i privilegi cui rinunciare, possa ostacolare, scontentando alcuni o molti, la crescita socialista. Onde ai precari si promette sicurezza e una scuola seria a chi vuole studiare, agli estremisti tolleranza e ordine alla forza pubblica, salari 20 NOVEMBRE 1979

crescenti agli operai del Nord e maggiori investimenti nel Mezzogiorno, tante case e case gratis. «Tutto e il contrario di tutto», come dice ormai anche Giorgio Amendola, la cui critica verso il PCI potrebbe essere estesa, nella sostanza, alla politica socialista. Ora, se per un verso l'aspirazione del Partito socialista ad avere, anche in Italia, un peso politico più rilevante e paragonabile a quello che il socialismo ha in Europa è del tutto legittima; per altro verso, dobbiamo constatare che la tattica prescelta non pare essersi dimostrata particolarmente efficace, visto che le ultime elezioni legislative hanno, tutt'al più, arrestato un lento declino, senza dare al PSI nuova forza: e il risultato più confortante di altri partiti può far presumere che, anche quanto si è ottenuto, non all' «ambiguità» socialista possa essere attribuito. Ma ammettiamo pure che l'incoerenza, gli scavalcamenti, gli ammiccamenti in tutte le direzior.i, ie ,àntasiose «trovate» portino acqua al mulino del PSI; che questo partito mostri finalmente qualche segno di capacità di aggregazione e che il suo peso nella sinistra e nel Paese risulti significativamente accresciuto. Se questo però si dovesse ottenere al prezzo di un ulteriore peggioramento della situazione economica, di un ulteriore deterioramento dell'ordine pubblico e di un conseguente inasprimento dello scontro sociale nel nostro Paese - esito naturale dell'attuale dissennata politica e del sindacato e di tutta la sinistra-, crede davvero Bettino Craxi che l'esser passato dal dieci al dodici o tredici per cento dei suffragi elettorali darebbe al PSI più forza di quanta non ne abbia ora? Non è l'avere qualche deputato in più - ciò che pure, ripetiamo, è lecito augurarsi - che DISEGNO DI RAFFAELLA OTTA V/ANI IL LEVIATANO può dare ai socialisti quel ruolo di protagonisti cui legittimamente aspirano. Fin da oggi, soprattutto se rafforzati da un raccordo e un'intesa con gli altri partiti dell'area laico-socialista, per il posto centrale che essi occupano nello schieramento politico, i socialisti potrebbero dare un contributo di primo piano per fare uscire l'Italia dal pantano in cui è stata cacciata nell'ultimo decennio. E, nel periodo più lungo, siamo certi che questo loro contributo non potrebbe che essere riconosciuto anche dall'elettorato. Ma nell'attuale situazione italiana, con i rischi che ancora corre la nostra democrazia, con la possibilità, tutt'altro che fugata, di un nostro ulteriore scivolamento fuori dell'area occidentale, nell'aggravarsi, perfino, della situazione internazionale, un partito che - come quello socialista - certo non punta allo sfascio, un leader - come Craxi - che, almeno sulle questioni di fondo, ha dato segni inequivocabili di un profondo attaccamento ai valori essenziali che sono alla base della società moderna, non possono non prendere coscienza della responsabilità che loro compete, immeschinendo la propria azione in un piccolo cabotaggio senza punti d'approdo. Non v'è piattaforma ideologico-programmatica, né riscoperta di Proudhon, né proposta di ingegneria costituzionale che possa mettere in ombra il problema centrale della vita politica italiana: quello della formazione di un governo forte e autorevole, che imponga a tutti il rispetto della legge, che colpisca sprechi e parassitismi pubblici e privati, che sappia ripristinare il meccanismo economico ridando vigore alle leggi di mercato. È a questo problema che è chiamato a dare una risposta, soprattutto, il Partito socialista. J

L'OCCUPAZIONE DELL'AMBASCIATA AMERICANA Dio, patria e xenofobia PER UNA BUONA TIRANNIDE, È STATO Dimostrato, non occorre, e anzi è dannoso, aver ragione. Quel che occorre è una buona ideologia, da richiamare le masse in piazza, e un buon apparato, non importa quanto barbare o ignorante. Se ci si aggiunge un nemico esterno, un pericolo che faccia paura a chi si è compromesso a favore del tiranno, meglio. Ma non occorre cercarlo lontano; lo si trova sempre. Lo avevano già dimostrato, in verità, Hitler e Mussolini, con il loro apparato di violenti avventurieri e la loro ideologia di paccotiglia (in fondo, Roma e la razza) con la quale avevano sconfitto le masse solidamente inquadrate e le ideologie collaudate che spiegavano tutto del mondo moderno, con l'industrializzazione, il capitale finanziario, l'imperialismo, und so weiter. È vero che la loro fine, ai fedeli della più collaudata delle tirannidi, quella leninista, era parsa una conferma delle «loro» verità: quelle brevi tragiche apparizioni erano incongruenti con il progresso industriale, erano mascherature di interessi, diversamente dalla loro, tanto è vero che erano affogate nel sangue e nel fango (anche se erano state a un soffio dalla vittoria). A quel che era venuto dopo, non avevano prestato attenzione. Che un Vargas, creatore di un «Estado novo», come Salazar, avesse potuto tornare al potere con regolare plebiscito popolare, che ci fosse stato un castrismo, un castroperonismo e un'infinità di tirannidi terzomondiste fondate su ideologie più o meno primitive, non aveva importanza. Andava tutto in conto dell'«imperialismo», che lascia dietro a sé simili residui. Ultimo sarebbe venuto il marxismo, seppellendo definitivamente questi inabili, antistorici tentativi. 4 Invece, almeno per ora, ultimo è venuto l'Iman. L'lman che, nella credenza sciita, non solo è il legittimo successore di Maometto nella scienza delle occulte realtà della rivelazione divina, ma l'Iman che ne applica la legge, che ne è il «potere esecutivo», veramente costituzionale, nel mondo. È vero che, dopo undici legittimi successori di Maometto secondo gli «sciiti» (almeno quelli dominanti in Persia; altri dicono dopo sette), dopo undici !man nel senso vero e proprio, il «dodicesimo» è scomparso, è «occulto» e si rivelerà nella perfezione dei tempi (come il «messia» o «il comunismo realizzato» che prenderà il posto dell'attuale «socialismo reale»); ma è forse venuta meno la legge religiosa dell'imanato? Quella legge dell'Islam, che, perfetta, fu rivelata per tutti? E .perché l'esecuzione di essa dovrebbe essere liberamente affidata a dei laici, peggio a dei «miscredenti», siano essi formalmente mussulmani e credenti nella successione dei califfi Ommiadi e Abassidi, o agenti del «colonialismo», dei suoi «monopoli» delle «multinazionali», dei detestati inglesi e dei loro eredi, che hanno voluto relegare la religione nel soprammondo, riservandosi gli affari e la politica? Perché chi conosce la legge non deve applicarla? Perché i giusti che conoscono la legge dovrebbero confinarsi nel loro studio e non scendere in piazza, e comandare? Non portava All (il primo «imam>) scudo e corazza? Così gl 'ingenui, che credevano che la «repubblica islamica» dovesse esser simile a qualche repubblica moderna, o i più sagaci comunisti, i quali credevano che, rimosso l'apparato dello scià, la via fosse aperta ai loro, si sono trovati dinanzi a un altro apparato, e a un'altra ideologia. In grado di dare molte soddisfazioni alle masse; perché, quali le masse che non desiderano la «giustizia»? Siamo sicuri che le nostre masse urbane non vedrebbero volentieri frustare il commerciante che, secondo loro, ruba sul peso (e che questi, intanto, non si affretterebbe a affettare il massimo ossequio per l'«iman»)? O far giustizia dei corrotti, dei violenti carnali, degli omosessuali, con il ferro e il fuoco? O ridere di chi si appella alle convenzioni di Vienna per liberare diplomatici tenuti in ostaggio, quando la legge vera è, non l'interesse del proletariato come altrove, ma la giustizia del Corano? Certo, anche questa volta i comunisti sperano alla 20 NOVEMBRE 1979

fine di succedere, perché vivono nella società industriale e gli altri no. Ma lo stesso esempio dei loro governi ha dimostrato che basta controllare i tecnici, non essere i tecnici, possedere i mezzi di produzione, non inventarli. Non è detto, proprio, che l'ultimo debba essere Lenin. Ultimo può essere l'lman. Tancredi I nuovi pirati li protegge Allah QUANTO È SUCCESSO IN QUESTI GIORNI in Iran e continua a svilupparsi sotto i nostri occhi versosoluzioni ancora oggi assolutamente imprevedibili rappresenta una svolta importante e grave nella scena politica mondiale. L'America tocca in questo momento il punto più basso della parabola della sua fortuna internazionale, costretta a elemosinareun aiuto diplomatico dall'Unione Sovietica e dall'OLP nel tentativo. di avviare una trattativa con il potere rivoluzionario e integralista iraniano al quale non ha in questo momento nulla di appetibile da offrire. L'occupazione dell'ambasciata americana da parte delle bande giovanile khomeiniste, pianificata in accordo con il Consiglio della rivoluzione e le gerarchie religiose, rappresenta un fatto del tutto nuovo in campo internazionale. Anche nei momenti più bui della storia, anche durante la prima e la seconda guerra mondiale, durante le rappresagliepiù feroci, continuarono però a sopravvivere, a volte anche solo formalmente, delle norme di diritto internazionale KHOMEINI (DA «DER SPIEGEL») IL LEVIATANO alle quali appellarsi. Gli stessi nazisti sentirono la necessità di coprire le loro stragi con delle ispezioni della Croce rossa internazionale, le quali avrebbero dovuto accertareil rispetto delle leggi sui prigionieri. In questo caso, invece, si assiste a una violazione del diritto internazionale promossa in prima persona dà un governo, il quale decide di servirsi dei rappresentanti diplomatici di un altro Paese come di ostaggi con i quali ricattare il governo di quello stesso Paese; si trasferiscono in questo modo, sul piano dei rapporti fra Stati, i metodi dei terroristi o dei criminali comuni, i quali miranoscientementealladistruzione della legalità esistente, servendosi tuttavia di tutti gli strumenti che il rispetto della legalità stessa impone alla controparte. Si tratta, come è facile intuire, di una svolta profonda nell'ambito dei rapporti internazionali; molte volte vi erano stati infatti, da parte di diversi Stati, delle violazioni più o meno gravi delle norme internazionali stesse, ma sempre mascherate, smentite, occultate; per la prima volta, in epoca moderna, assistiamo invece a una violazione gravissima e internazionale, che viene proclamata, giustificata, teorizzata; per la prima volta uno Stato agisce pubblicamente e scientemente come terrorista, proclamando unilateralmente (ben sapendo i vincoli che trattengono gli altri Stati) il ritorno alla legge delle giungla. Di fronte a questo l'America ha reagito con grande compostezza, come hanno rilevato soddisfatti molti commentatori, ma anche con assoluta incertezza e impreparazione. Essa non è infatti solo condizionata dal rispetto della legalità (anche se il fatto nuovo di un terrorismo di Stato richiederà, come quello interno, procedure nuove per combatterlo), ma dai complessi che hanno condizionato la sua politica internazionale dal Vietnam in poi. È troppo noto per ricordar/oche gli ultimi anni hanno visto gli Stati Uniti in ritirata su vari fronti, sconfitti senza combattere, ossessionati dall'incubo dell'Indocina, dalla condanna dell'opinione pubblica mondiale e dall'incertezza di quella interna. La caduta, quasi senza colpo ferire, dell'agguerrito regime dello scià, dispotico ma amico, è stato l'ultimo anello di questa catena, e certo uno dei più gravi. Con la decisione di abbandonare lo scià al suo destino gli Stati Uniti hanno reso omaggio alla democrazia e al non intervento, ma hanno anche contribuito a dare un colpo grave alla sicurezza e al 'equilibrio internazionale, del quale oggi si cominciano a registrare solo i primi effetti. Tutto questo torna ora brutalmente in primo piano sotto la spinta di questa gravissimaprovocazione internazionale. Quale che ne sia la conclusione, essa costituisce una svolta. li complesso del Vietnam era già in via di superamento per l'evolversi degli avvenimenti in Indocina in questi ultimi anni; restava inveceforte la tendenza a/l'isolazionismo, come risposta alle recenti sconfitte. Vi era quasi nell'opinione pubblica uno stato di animo di rinuncia e di incertezza nei confronti del ruolo mondiale degli Stati Uniti. Psicologicamente questo attacco diretto può rappresentare un punto di non ritorno, qualcosa di simile - anche se non nei risultati e fatte salve le proporzioni - agli effetti dell'attacco giapponese a Pearl Harbour. L'America si avvia a riscoprire, traumaticamente, che debolezza e incertezza sono più pericolose per la pace che una politica che sia ferma e, a volte, anche dura e inoltre che la scena mondiale è oggi più che mai piena di nemici, che vanno riconosciuti e combattuti come tali e della cui esistenza non ci si deve affatto vergognare. Aldo G. Ricci 5

BLOCKNOTES A day on the rood ÀDESSO CHE DANIELE PIFANO, LEADER DEL collettivo di via dei Volsci, è stato trovato dai carabinieri con due missili, i commentatori, come al solito, si divideranno in due partiti fieramente contrapposti: gli ottimisti, che come re magi scrutano il cielo della cronaca in perenne attesa del segno che porta a Betlemme, i quali plaudiranno alla ritrovata efficienza delle forze dell'ordine; ed i pessimisti incalliti i quali invece non dimenticano di commisurare i successi agli insuccessi, che restano sempre in proporzione invariata. Insomma a sentire questi ultimi se qualcosa resta nelle maglie larghissime della giustizia, ciò sarebbe dovuto a quella percentuale di errore cui sono sottoposte tutte le azioni umane, comprese quelle del partito armato. Secondo questa logica i successi delleforze dell'ordine non sarebbero altro che la prova di un aumento delle attività sovversive. Libero ciascuno di credere alla improvvisa rinascita dei cosiddetti «servizi segreti», a noi tutto lascia credere che Pi/ano e compagni siano caduti nelle mani della giustizia per pura sfortuna. I reati di violenza politica denunciati a Roma sono in buona parte attribuibili ad «autonomia operaia», per cui si può dire che Pifano non è estraneo a buona parte dei casi di violenza politica, di matrice non neo-fascista, avvenuti a Roma negli ultimi sei anni. Pifano era il capo del/' Autonomia romana quando nel '77 essa gestiva i cortei di 30.000 studenti che finivano regolarmente con saccheggi di armerie ed «espropri proletari». E lo era anche un mese fa, quando in occasione dell'arrivo a Roma dell'amico Piperno dal per lui troppo breve esiliofrancese, cento «autonomi» terrorizzarono il quartiere S. Lorenzo con incendi di autobus, barricate e vandalismi vari. Soprattutto Pifano è il capo del «Collettivo del Policlinico», che non ha avuto 61 licenziati, ma non ha nulla da invidiare alla Fiat: basta entrare e leggere per chilometri le scritte con nomi e cognomi di medici e capisala che devono stare attenti allegambe od altro per rendersi conto del clima di intimidazione e violenza che vi si respira. Vero è che la Questura ha denunciato Pifano per partecipazione a banda armala, danneggiamenti e incendi, ma dagli innumerevoli procedimenti giudiziari nei quali è stato coinvolto è uscito sempre indenne. Tanto è vero che /'«unità trasporto missili» non era costituita da pericolosi latitanti, votati alla clandestinità, ma da liberi cittadini in possesso di passaporto. Per quale caso chi è sfuggito alla giustizia per tanti anni, commettendo reati tanto gravi quanto palesi, doveva scivolare poi sulla buccia di banana di un controllo notturno? Ma la sfortuna di Pifano non finisce qui: il guaio è che si è fatto arrestare ad Ortona, in provincia, e presumibilmente sarà processato da quelle parti; mentre se fosse stato processato a Roma gli sarebbe potuto capitare uno dei tanti giudici che finora lo hanno assolto, e allora chissà, visto che la magistratura romana ha sentenziato che il covo di via dei Volsci era un circolo culturale, avrebbe anche potuto credere che i missili erano stati trovati per strada, come è _stato 6 DANIELE PIFANO dichiarato. A noi piacerebbe che la sfortuna di Pifano arrivasseal punto che egli avesse veramente trovato la cassaper strada, perché, dati i precedenti, nessuno gli crederebbe. E sarebbe la prima volta che si vedrebbe applicata su questa terra la dantesca legge del contrappasso. Pochi, ma.ledetti e ma.i LA MATTINA DEL 31 OTTOBRE UNA GIOVAne insegnante si reca alla sede romana della Banca d'ltalia per riscuotere lo stipendio. Quando presenta il tesserino ferroviario, come documento di riconoscimento, l'impiegato rifiuta il pagamento: sul tesserino c'è scritto J. T.1. (incaricato a tempo indeterminato) invece che «insegnante di ruolo». A nulla valgono le proteste e la precisazione che, essendo lo stipendio tra quelli «meccanizzati», era ovvio che l'insegnante fosse di ruolo e che si trattava solo del mancato aggiornammento del tesserino (valido, tra l'altro, fino al 1982). L'insegnante non ha potuto riscuotere lo stipendio. Che cosa era successo? Forse l'impiegato era preoccupato del fatto che la titolare del tesserino non fosse l'avente diritto allo stipendio? Faremmo torto ali' intelligenza dell'impiegato e al suo senso comune se lo pensassimn. La spiegazione è più semplice: si trattava di un esempio di sciopero bianco, cioè de/l'applicazione alla lettera di regolamenti che di solito venivano ignorati. A questo punto si impongono tre considerazioni: a) Contro chi avviene l'agitazione? Chi paga le conseguenze dello sciopero bianco? La banca ovviamente no, in quanto trattiene per alcuni giorni somme che altrimenti andrebbero nelle tasche di cittadini. Chi subisce le conseguenze sono appartenenti ad una categoria, che non è tra le meglio pagate. b) In un periodo di crisi economica, quando cioè la torta costituita dal reddito nazionale è troppo piccola, 20 NOVEMBRE 1979

Libertà non sarebbe opportuno verificare se le categorie in sciopero partano da situazioni retributive carenti o privilegiate? PercM la stampa quotidiana, nel dare notizia dello sciopero dei dipendenti della Banca d'Italia, non dà una informazione esauriente sulla situazione retributiva di questa categoria? Ci risulta, ad esempio, che i dipendenti della Banca d'Italia non siano esenti da rilievi concernenti le anomalie della «giungla retributiva». Ad esempio, ci risulta con certezza che la Banca d'Italia finanzia persino i viaggi all'estero dei figli dei dipendenti desiderosi di studiare lingue straniere. Ci è giunta all'orecchio la voce che le vacanze di questi lavoratori siano pagate in alberghi di prima categoria dall'onnipossente Banca che li ha assunti. Capita cosi' che un bancario ben pagato e pieno di privilegi possa rifiutare, in base ad un assurdo cavillo, lo stipendio ad una lavoratrice che fa parte di una categoria mal pagata. di scopone LA STAMPA QUOTIDIANA HA RIPORTATO, in genere senza commenti, la notizia dell'arresto, il 26 ottobre, di otto infermieri dell'ospedale civile Regina Margherita di Messina, per aver abbandonato gli ammalati durante il turno di noi/e per giocare a carte. c) Se ci mettiamo a riscoprire vecchi regolamenti non applicati, potremmo anche finire col riscoprirne alcuni la cui applicazione potrebbe provocare fenomeni diversi e anche opposti, come ad esempio la norma che consente il licenziamento per scarso rendimento. Potrebbe benissimo accadere, se ci mettessimo sulla strada della rigorosa applicazione della legge (e talvolta non sarebbe una strada sbagliata). Ciò che ha fallo notizia non è l'abbandono del posto di lavoro in un sei/ore cosi'delicato come un ospedale. Pensiamo in/alti che, purtroppo, il caso non sia isolato. La stampa si è occupata del caso per il fallo che il giudice ha ordinato l'arresto degli infermieri colpevoli di tale negligenza.Dopo i ne/turbini di Napoli, ecco che la magistratura si occupa di altri casi di colpevole negligenza in un servizio pubblico. Sarebbe un segno incoraggiante, se la notizia non fosse seguita da un 'altra: i sindacati hanno proclamato uno sciopero di 24 ore al Regina Margherita di Messina per protestare contro il «clima di intimidazione». Al lungo elenco di ba/taglieper le libertà civili, si aggiunge ora quella per la libertà di scopone . • • I FASTI D'ITALIA I di Venerio Cattani n misirizzifiscale Il ministro Reviglio è la prova vivente che i tecnici non possono, anzi non debbono, fare polilica. Meglio sarebbe se fossero adoperati con parsimonia dai politici i quali, oltretutto, dovrebbero ben discernere i loro consigli e, nella migliore delle ipotesi, scartarne la metà. Avevamo appena scritto dell'IVA sui ristoranti, e suggerito varianti sul tema da molti amici ritenute eccessive, che subito si è confermato che la realtà, in politica, surclassa la più audace fantasia. Questo della supertassa sulla casa è un provvedimento che poteva venire in mente solo a un pensoso professore inopinatamente chiamato a incarichi ministeriali per i quali non ha nessuna dimestichezza. Intanto, c'è da dire che da un esperto sarebbe stato lecito attendersi qualcosa di nuovo, in materia fiscale; nossignori, benzina e casa, casa e benzina. Non è cioè la pensata che stupisce, ma Il momento e Umodo. La Corte costituzionale aveva appena pronunziato la sentenza dell'INVIM, Il TAR del Lazio la decisione sull'equo canone; due colpi di maglio da seppellire anni di sciagurata politica della casa. Qualsiasi ministro dotato di normale buon senso avrebIL LEVIATANO be passato alcuni mesi ad 11SSOrbirlea botta: macché, il misirizzi fiscale, dall'anima di gomma, si raddrizza immediatamente e rllancla. La politica italiana è giunta ormai a uno stadio di putrefazione avanzata, per cui qualsiasi cosa si voglia fare, dalia più intelligente alla più cretina, semplicemente non riesce. Non è più nemmeno questione di uomini: potresti resuscitare Cavour e Sella al posto di Cossiga e Reviglio, e U risultato sarebbe il medesimo. Quanto meno si dovrebbe evitare di favorire una situazione che decreti come la supertassa sulla casa stanno pericolosamente accelerando: la fase della disobbedienza civile. Già mezza Italia vive fuori legge. Con leggi come questa si mette fuori anche l'altra metà. Alla prossima scendo L'Intervista di Amendola, indipendentemente dal rumore che ba fatto, è di quegli atti politici che rimangono. Non tanto sul piano politico, dove gU • • effetti, e specie nel PCI, saranno nulli; ma per la storia di questi anni, e sul piano morale. Insomma, «a futura memoria». In breve, è la sconfessione del dieci anni di follia, dal '68 a oggi. Peccato che arrivi tardi, e quando Amendola è stato messo, da anni, fuori uso. Ma in Italia, e non solo in Italia, è fatale che gli uomini politici dicano la verità (o almeno quel che pensano sia la verità) soltanto dopo che sono stati, dalla lotta o dall'età, ellminati. Rarissimi i casi di coloro che vengono invece eliminati proprio perché sostengono «la loro verità» mentre sono in servizio permanente effettivo. Ma la cosa può stupire solo dei moralisti sciocchi. L'uomo politico deve difendersi anche tacendo la verità. Chi non lo fa, non se ne intende: meglio faccia il filosofo o U profeta. Che il PCI possa accettare la revisione di Amendola è fuori del futuro immediato, e anche del futuro politico. Dei sindacati neanche parlarne, essendo incapaci d'intendere e ormai persino di volere. Se Amendola avesse detto le. stesse cose dieci anni fa la storia d'Italia non sarebbe andata diversamente: semplicemente lo avrebbero fatto fuori prima, nel delirio sinistrese non solo del PCI, ma anche del PSI e di pressoché tutta l'intellettualità politica d'allora, che poi è la stessa di oggi. Però sarebbe stato di grande aiuto per I poveri crocefissi che, nel centro-sinistra, cercavano senza fortuna di sostenere quelle medesime ragioni. Ai quali rimane, se non altro, li conforto di essere stati battuti da personaggi come Amendola (e Togliatti), e non dai loro pallidi epigoni. 7

AMENDOLA ROSARIO ROMEO Trasocialismo e democrazia fondibile fisionomia nel panorama dell'Italia odierna. Da parte nostra, non crediamo che si possa trame motivo per sollecitare impensabili palinodie e tanto meno per' giustificare ammonimenti alla coerenza rivoluzionaria. La questione è piuttosto di individuare il contributo che questo tipo di riflessioni è in grado di recare alla maturazione politica della sinistra e dunque di tutta la democrazia italiana. MESCOLANZA DI STALINISMO E LIBEralismo, deviazionismo di destra, incapacità di portare a fondo la critica degli errori del PCI: la consueta girandola di accuse si è levata da ogni settore dello schieramento politico dopo il recente saggio di Giorgio Amendola sul «caso Fiat». E sono accuse non prive di verità, anche se si tratta di una verità quasi sempre distorta dalla polemica. Nell'esperienza intellettuale e politica di Amendola si realizza infatti il tentativo di recuperare l'unità ideale delle due linee, democratica e comunista, nelle quali si è storicamente suddivisa la sinistra italiana a partire dal 1921: e da questa convergenza essa deriva la sua inconAmendola rimprovera alla politica del sindacato di non aver saputo opporsi efficacemente alle gravissime deviazioni dalla tradizione democratica del movimento operaio italiano che si sono verificate nell'ultimo decennio, e denuncia con vigore le responsabilità che agli errori del sindacato spettano nello sviluppo del terrorismo e nelle distorsioni determinatesi a tutti i livelli nella vita economica e nei rapporti sociali; senza tacere la parte che in queste responsabilità va attribuita allo stesso PCI. È una denuncia della quale va apprezzato anzitutto il coraggio della verità impopolare, cosi raro sempre e cosi difficile soprattutto nell'ambiente comunista. Ma si ha l'impressione che in parte essa sia legata a una visione dello sviluppo storico del movimento operaio italiano in larga misura ancora apologetica e convenzionale. Scioperi nei servizi pubbli8 È tutto vero. Però... Federico Coen Le prediche di Amendola - a differenza di quelle di llerlln&uer - hanno U grande merito della slnceriti e della concretezza. I fatti che egU denuncia - rivendicazioni Incontrollate, abuso dello sciopero, difesa corporativa degU Interessi degli occupati, sotto• valutazione delle esigenze di produttività, tolleranza del teppismo In fabbrica, e cosi via - sono veri e configurano una corresponsabilità della sinistra politica e sindacale nell'ag&ravamento della crisi Italiana. Non è Invece accettabile Il tentativo che Amendola fa di prendere U movimento sindacale come unico capro espiatorio, Ignorando che ormai da parecchi anni Il sindacato si muove In un vuoto di potere, avendo come Interlocutori soveml privi di autoriti politica e di Indirizzi prosrammatlcl definiti e coerenti. Come si fa a frenare le spinte di base quando manca un quadro di riferimento prosrammatlco a cui commisurare le rinunce e I sacrifici che la situazione richiede? Né si può pretendere che questo quadro di riferimento sia unilateralmente definito dal sindacato. La veriti è che, a sinistra, le colpe del partiti sono assai maulori di quelle del sindacati: non solo per la mancanza di una vera cultura di sovemo, ma anche perché socialisti e comunisti per raslonl diverse (I primi per debolezza, I secondi per U rifiuto di rompere I legami con I «socialismi rttll»), non hanno saputo cmire un'alternativa al governi democristiani. Sta qui la ragione prima dell'lngovemablllti del Paese, che rende più difficile anche per I sindacati esercitare U loro ruolo In modo mponsablle. Solo Il suo lnsuarlblle patriottismo di partito può far pensare ad Amendola che si possa far accettare agli operai l'austeriti economica e la disciplina In fabbrica In nome del compromesso storico con la DC. Lucio Colletti f: ovvio che Amendola ha rasJone, cosi come è ovvio che aveva rastone Lama quando, anni fa, cercò di lmpri• mere alla politica del sindacato una svolta radicale. Una sinistra, che non voglia far saltare Il sistema democratico In Italia, non può squln ogl che questa politica: contenimento dell'ln• nazione, contenimento del disavanzo della spesa pubblica, contenimento del costo del lavoro, rlpma desii Investimenti, ecc. Senza una politica economica di questo tipo, U sistema democratico In Italia è destinato, In breve tempo, allo sfascio. Il fallimento della svolta di Lama e della politica dell'Eur, prima, ed ora U rifiuto opposto da alcuni dirigenti del PCI alle critiche di Amendola confermano solo che, nel gruppo dirigente comunista, esiste una divisione profonda tra chi vuol salvaguardare U sistema democratico e chi, di fatto, vuol farlo saltare. Incapace di una scelta coerente tra queste due linee opposte, Il centrismo di Berllnguer è destinato ad amministrare da anni la pura contraddizione. Da una parte, esso chiede l'austeriti. Dall'altra, e contemporaneamente, sostiene e prote111etutto Il rivendicazionismo ribelli• stico scatenato dal sindacati. Sotto questo profilo, UPCI riassume ed esprime l'Impotenza e Il velleitarismo di fondo di tutta la sinistra Italiana:Incapace di fare la rivoluzione e Incapace, al tempo stesso, di raddrizzare e far funzionare Il sistema. f: evidente che, al termine di questa strada, lastricata di vel• lelti e Incoerenze, la sinistra Italiana può trovare all'appuntamento solo una sua sconntta storica. 20 NOVEMBRE 1979 GJ

ci, interruzioni e blocchi stradali, aggressioni alle forze dell'ordine non sono cosa soltanto di oggi, e punteggiano le vicende delle agitazioni operaie nel nostro Paese, si può dire, fin dalle origini: senza che spesso sia possibile tracciare una precisa distinzione tra violenza collettiva organizzata e violenza individuale. Purtroppo la storia del movimento sindacale italiano è stata condotta quasi sempre a livello di vertici, e da quel che si è scritto si apprende dunque assai poco degli eventi attraverso i quali l'egemonia dell'organizzazione si affermò concretamente sull'insieme dei ceti operai. È un fatto, però, che la storia del sindacato sarebbe incomprensibile al di fuori della lotta, talora sanguinosa, contro il crumiraggio, dei metodi anche violenti di picchettaggio, del ricatto sull'ordine pubblico come parte essenziale dei conflitti di lavoro, anche a sfondo esclusivamente economico. Amendola denuncia con giusta indignazione gli atti di brutalità ai danni di capi reparto e di tecnici della Fiat di cui si è venuti a conoscenza nelle ultime settimane. Ma ha forse dimenticato gli ingegneri rapiti al tempo dell'occupazione delle fabbriche, i fatti di sangue seguiti al 1945, le violenze contro impiegati e dirigenti moltiplicatesi durante l'autunno caldo? Tutto ciò non può far dimenticare il ruolo del sindacato nell'avviare la violenza inerente alla lotta di classe verso l'azione collettiva politicamente o socialmente giustificata: anche se una visione non convenzionale deve attribuire al sindacato una parte non secondaria nella mobilitazione psicologica che spesso è all'origine della violenza, anche individuale. Naturalmente, questa è una parte della storia del movimento operaio italiano, che è la storia di un grande movimento sociale e politico, e che solo a questo livello può essere intesa: ma è una parte che non può essere cancellata. E la storia ha condotto il movimento sindacale ad acquistare una quota di potere tanto grande da indurre Amendola ad avvertire che «lo statuto dei lavoratori non può essere interpretato a senso unico», e che non si può ammettere «un potere sindacale superiore a quello espresso dalla maggioranza degli elettori». IL LEVIATANO In che misura questo sia già accaduto si può constatare nella pratica dell'esistenza quotidiana: ma sarebbe ora di cominciare a raccogliere le testimonianze delle enormi distorsioni determinatesi da decenni nella struttura dello «Stato di diritto» (tanto spesso invocato a proposito e a sproposito, ma non mai richiamato su questo Domenico Settembrini Le recenti uscite di Amendola, culminate nell'articolo su «Rinascita», denunciano U fallimento clamoroso dtUa politica di revisione Indolore, graduale e prudente, perseguita negli ultimi anni dal gruppo dirigente comu• nista. DI questa poUtlca Giorgio Amendola ha manovrato, volta a volta, a seconda delle necessiti, Il freno o l'acceleratore, nella convinzione, come ebbe a dire un anno fa, che «certe operazioni di mutamento bisogna sa• perle fare a tempo debito, controllando ogni mossa per evitare che lo spo• stamento di posizioni apra una frana». È evidente perdò che se il rinnovamento nella continuità fosse stato una linea concepita per portare davvero U PCI ad essere una fona del tutto omogenea al sistema In tempo utile rispetto alle esigenze del Paese, U processo avrebbe dovuto essere onnal pervenu• to al suo logico sbocco. Questo sostiene del resto la propaganda ufficiale del partito, che seguita ad addossare alla DC la responsabUità esclusiva per la rottura della maggioranza di emergen1.a. Come si spiega allora da parte di Amendola un attacco al sindacati e al PCI che equivale ad attribuire invece proprio all'azione di queste due forze, al populismo eversivo della prima e alle contraddizioni della seconda, l'lm• passe a cui è giunta la poUtlca del compromesso storico? SI ha l'impressione che, per aver voluto essere troppo cauto, quando bisognava invece rl• schiare, oggi Amendola non esiti a rlcom,re alla dinamite, anche a rischio di provocare incontrollabill valanghe. Lo muove l'oscura percezione che, dopo avere preservalo fin troppo bene gli Interessi corporativi del partito, a spese di quelli del Paese, li rinnovamento nella continuità rischi ora di precipitare in un comune disastro l'uno e l'altro. Onnai è però troppo tardi. Onnal la salvezza della democrazia In questo Paese esige il sacrificio brutale degli Interessi corporativi che si celano dle· tro l'unità del PCI. Sembra che anche Amendoia vada convincendosene. Se riuscirà nell'intento, cosa quasi impossibile, ce ne rallegreremo con lul. Se finirà schiacciato, o isolato, dalla reazione del corporativismo offeso, personalmente non dovrà piangere altri che se stesso. 9

terreno che tocca la vita di tutti), in seguito alla posizione di privilegio che si è fatta ai «sindacati maggiormente rappresentativi» in una serie di settori, e negli stessi meccanismi della amministrazione pubblica. Anni fa un giurista come Arturo Carlo Jemolo mise in rilievo che in Italia si era determinata una differenziazione fra i diritti spettanti ai semplici cittadini e i diritti di cui gode invece chi riveste la duplice qualità di cittadino e di membro del sindacato. A questi sindacati così potenti Amendola rimprovera adesso di non aver saputo condurre con efficacia la lotta contro la presenza del terrorismo nelle fabbriche, e deplora che il Partito comunista abbia consentito che ciò accadesse, accettando che la lotta politica debba «fermarsi reverenziale di fronte ai cancelli, come se la Mirafiori o la Rivalta fossero isole intoccabili». Posizione, ancora una volta, giusta e coraggiosa, da rispettare e apprezzare. Ma forse neanche lo stesso Amendola riesce ad evitare un arresto «reverenziale» della sua riflessione davanti a quelle soglie. Che altro, infatti, può significare la tesi che lo sciopero deve essere soggetto solo a forme di autoregolamentazione, diversamente da quanto accade per tutte le altre manifestazioni rilevanti della vita sociale, se non il riconoscimento che le fabbriche costituiscono una sorta di regno separato in cui non vige la regola della comunità, alla quale sono invece soggetti tutti gli altri settori della vita sociale? Nessun'altra organizzazione o gruppo di interessi, dalla Chiesa alla Confindustria, potrebbe proporre senza scandalo questa soluzione, che sembra invece gran concessione da parte del sindacato. E che l'azione sindacale si sia svolta, in Italia e altrove, sotto l'egida di un regime giuridico speciale, che sospende nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori molte norme del diritto comune, è anch'esso un dato che appartiene alla storia. Ma due fatti nuovi si dovrebbero registrare. Anzitutto, il sindacato ha ormai varcato la soglia in cui la sua funzione era legata a una condizione di inferiorità della classe operaia, che oggi è scomparsa in larga misura nei confronti dei molti altri settori della società. E poi, la classe operaia non è più in espansione, ed è destinata a declinare numericamente in avvenire, così che le barriere erette in sua difesa rischiano in molti casi di diventare ostacoli alle tendenze operanti in seno alla società moderna verso una diversa distribuzione dell'attività produttiva. Per di più il sindacato è particolarmente vulnerabile ai fenomeni denunciati da Amendola come responsabili di avere impedito una lotta efficace contro il terrorismo. Il settarismo, gli scavalcamenti a sinistra, l'attivismo rivoluzionario hanno un terreno specialmente favorevole all'interno del sindacato: e sono, quanto meno, un'arma di perpetuo ricatto verso ogni seria politica di autoregolamentazione. La battaglia per il pieno inserimento del sindacato nella nostra democrazia pluralistica non può non essere, ancora una volta, una battaglia perché la legge sia uguale per tutti. 10 MISSILI GIUSEPPE TAMBURRANO l , . ... ma amor mio non muore NoN si Può DAR TORTO AL PARTITO comunista che insiste sulla gravità di una eventuale decisione di installare in Europa e in Italia i nuovi missili americani Pershing 2 e Cruise. Questa decisione, nel quadro del Salt 2, può significare che gli Stati Uniti terranno sotto tiro i paesi comunisti con ordigni micidiali e non intercettabili, da basi europee, senza rischiare la rappresaglia sovietica sul loro territorio o rischiando tale rappresaglia assai meno che se l'attacco partisse dal loro territorio. È una preoccupazione seria che deve indurre gli europei ad ottenere serie garanzie in ordine alle procedure di impiego dei missili, con la disponibilità della «seconda chiave» o in altro modo. Questo è uno dei problemi reali relativi alla questione dei missili. L'altro riguarda la necessità di avviare al più presto trattative con l'Unione Sovietica per ridurre il più possibile gli armamenti in Europa, sia quelli atomici che quelli convenzionali. Se il Partito comunista avesse centrato le sue critiche su questi aspetti avrebbe contribuito alla ricerca della soluzione. del problema vero: come assicurare l'equilibrio delle forze in Europa, promuovere il disarmo e garantire i paesi europei nei confronti dell'alleato egemone, gli Stati Uniti. Invece il PCI si è mosso lungo una linea in gran parte diversa non tenendo conto, anche alla luce di quanto ha detto Kissinger a Bruxelles, che l'Europa non può restare alla merce' della superiorità sovietica: non si può ignorare che il Salt 2 indebolisce il deterrente strategico degli Stati Uniti e questi probabilmente non provocherebbero la distruzione dell'URSS e la loro per una guerra limitata al teatro europeo. Come non ha considerato l'altro argomento e cioè che il Senato americano sarà più propenso a ratificare il Salt 2 quando sarà certo che i «sacrifici» compiuti con questo trattato saranno compensati con un rafforzamento dei dispositivi di sicurezza in Europa. Ma il PCI commette un peccato di omissione assai più grave poiché non prende in considerazione, almeno apparentemente, le conseguenze della sua proposta di non approvare l'installazione di missili in Europa e in Italia. Dopo la decisione dell'Olanda di approvare tale installazione nella forma proposta da Schmidt (aprire immediatamente le trattative con l'URSS e non installare i missili qualora le trattative giun20 NOVEMBRE 1979

gano ad un risultato positivo), il Consiglio atlantico sarà tra un mese praticamente unanime sugli orientamenti da prendere. Se il governo italiano votasse contro, la conseguenza sarebbe che la NATO dovrebbe ritirare le sue basi presenti sul nostro territorio: in una parola noi dovremmo uscire dall'organizzazione militare del Patto Atlantico. La Francia l'ha fatto, ma ha creato la sua f orce de frappe atomica: è questo che si vuole? Aggiungo che, con la proposta del PCI e tenuto conto della posizione geografica italiana, si porrebbe addirittura il problema della nostra permanenza nel Patto Atlantico. Ecco dunque la domanda alla quale i comunisti debbono dare una risposta: volete queste conseguenze ineluttabili della vostra proposta? Come si conciliano tali posizioni con la dichiarazione che Berlinguer ha fatto prima delle elezioni del 1976 ed ha rinnovato alla vigilia delle ultime elezioni, e cioè che i comunisti accettano la NATO perché è uno strumento di equilibrio tra i blocchi ed anche perché rappresenta uno scudo dietro il quale è possibile e.ostruire il socialismo nell'indipendenza? «L'UNITÀ» DEL 7 NOVEMBRE È UN esemplare da mettere negli archivi. Vi si trova in prima pagina il testo dell'ultima intervista di Breznev ed un articolo di fondo di Antonio Rubbi che sposa nella sostanza le proposte del leader sovietico. Sempre in prima pagina vi è il saluto del PCI al PCUS per il 62° anniversario della rivoluzione di ottobre che si conclude con la riaffermazione della «reciproca autonomia» e contemporaneamente della «solidarietà internazionale». In ultima pagina vi è un corsivo che alla «Repubblica» è apparso «una dura polemica dell' "Unità" con la "Pravda"», un corsivo nel quale più modestamente il giornale del PCI si limita a ribadire la sua condanna dei processi di Praga contro gli esponenti di Charta 77. La «Pravda» aveva criticato il PCI ed aveva giudicato i condannati del mostruoso processo di Praga «rinnegati che regolarmente fornivano false informazioni all'Occidente». Perché «l'Unità» ha usato due pesi e due misure? Perché non si esprime sull'Unione Sovietica, che solidarizza con Praga negli stessi termini usati per i processi a Charta 77? Che differenza c'è tra la persecuzione del dissenso a Praga e quella a Mosca? Aspettiamo che gli intellettuali comunisti che hanno firmato una lettera che noi condividiamo totalmente sui processi di Praga ne scrivano un'altra identica contro la «Pravda» e il PCUS. IL LEVIATANO VENGONO SEGNALATI SPOSTAMENTI DI truppe sovietiche in Afghanistan. Consiglieri militari sovietici, cubani, bulgari, tedeschi orientali, vietnamiti sono in molte zone dell'Africa, a cominciare dall'Etiopia di Menghistu per aiutarlo a schiacciare la resistenza dei patrioti eritrei. L'America manda armi - decisione sbagliata - al Marocco: armi, non uomini; a Tripoli si riunisce un vertice dei responsabili militari libico, cubano e vietnamita per concordare l'invio di armi e di uomini a sostegno del Polisario. Chi può negare che difendendo cause giuste (Angola) e cause ingiuste (l'Etiopia) l'Unione Sovietica cerca di penetrare,con armi e· con uomini, scoi u d; fedelissimi alleati in un numero crescente di paesi-chiave dal punto di vista soprattutto dell' approvvigionamento di materie prime per l'Occidente? Perché lo fa? Ammettiamo che la nozione di imperialismo concernente i paesi capitalistici sia ancora valida come ai tempi in cui Lenin l'ha elaborata, e che essa dia una chiave per capire la politica degli Stati Uniti (un paese, che dalla sconfitta nel Vietnam ha subìto dure perdite senza mai più spostare un uomo armato). Vorremmo sapere dai comunisti come giudicano la natura, le finalità, e le conseguenze della politica estera sovietica e dei suoi alleati. Su questo argomento vi è stato un dibattito alla Conferenza dell'Avana e Castro ha sostenuto che i caratteri socialisti e la politica estera antimperialista dell'URSS ne fanno un alleato naturale dei paesi non allineati e del terzo mondo. I comunisti italiani si sono sempre dichiarati vicini a Tito: sembra che nell'incontro tra socialisti e comunisti, Berlinguer, ad una domanda specifica di Craxi, abbia risposto di condividere la linea di Tito e non quella di Castro. Ma purtroppo vi è di che dubitare di questa affermazione visto che Berlinguer ha dichiarato recentemente che «i progressi della Unione Sovietica aiutano la lotta contro l'imperialismo dei popoli amanti della pace» sposando cosi proprio la tesi difesa da Castro nei confronti di Tito. È un dubbio che viene confermato dalla constatazione che le posizioni del PCI in politica estera sono sempre vicine a quelle sovietiche. È un dubbio che rende sospettosi i sovietici sulla «solidarietà internazionale»: e rende nello stesso tempo poco credibile l'accettazione comunista della NATO. E riproponiamo la domanda: qual è il giudizio dei comunisti sulla natura, le finalità e le conseguenze della politica estera sovietica? 11

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