Il Leviatano - anno I - n. 2 - 13 novembre 1979

I VITA DI CHIERICI I di Guido Rii/etti Credenti a teatro NEL NOVEMBRE 1970 I CORTEI DI MARXJsti-leninisti che uscivano dalla Statale di Milano, dopo aver scorrazzato per la città, si ritrovavano quasi intatti in Via Larga, per affollare il «Lirico» dove la collaudata ditta «Brecht-Grassi-Strehler» esibiva il sul ultimo prodotto: Santa Giovanna dei macelli. / giovani entravano a teatro con un fiero disprezzo per l'arte, tranne quella che incitasse alla lotta di classe, e l'avvenimento teatrale era vissuto come una prosecuzione, sotto altra forma, de/l'assemblea del mattino e della manifestazione del pomeriggio. Ma il teatro era affollato da un'altra categoria di persone nettamente diversa dalla prima per età ed abbigliamento, la quale era spinta da motivazioni altrettanto diverse: costoro avevano l'arte in grandissima considerazione e avrebbero giurato di essere Il per ragioni puramente estetiche, insomma per godersi il teatro di questo Shakespeare del XX secolo, ultimo dei classici.A un decennio di distanza, col metro del senno del poi, fra i due gruppi, gli studenti e gli intellettuali, quello che ci fa migliore figura è il primo: gli uomini giusti al posto giusto, come dicono gli Inglesi. Poi, i giovani hanno la fortuna di cambiare, quasi sempre in meglio, mentre c'è da scommettere che l'onorevole De Carolis rimarrà un brechtomane tutta la vita. Infatti uno di quei giovani di strada ne ha fatta tanta da scrivere l'unico libro su Brecht che meriti il nome di saggio, essendo tutti gli altri delle comuni agiografiche. li francese Guy Scarpetta, ventenne nel '68, ex marxista-leninista, ex teatrante brechtomane, col suo libro Brecht o il soldato morto (SugarCo Edizioni) è riuscito, documenti alla mano, a smascherare i più tenaci luoghi comuni della retorica brechtiano: il ~uo pacifismo, il suo lirismo, il suo antifascismo, il suo antiautoritarismo, la sua dissidenza, la sua avanguardia. Le reazioni non si sono fatte attendere, da quelle istericheda vestali del culto come Strehler ( «ignobile libello»), a quelle intrise di benevola condiscendenza che hanno l'aria di rimproverare a/l'autore di non essere abbastanza noioso, il che è verissimo. Sembra di capire che quello che spinge Scarpetta ad occuparsi di Brecht non è tanto l'autore, dato il suo significante valore letterario, quanto il suo pubblico; infatti l'intero affare Brecht sembra a Scarpetta la dimostrazione che «una società può funzionare benissimo... con una struttura borghese e una sovrastruttura marxista». Che le cose stiano cosi, ed in Italia più che in Francia, è difficile negare specialmente se si pensa che la confezione del mito «Brecht grande autore di teatro» è riuscita solo nell'Europa continentale, ma sarebbe stata assolutamente impensabile nel mondo anglosassone dove, grazie a Dio, l'equazione marxiana è rispettata.· Poiché il mito brechtiano è una funzione politica, Scarpetta non si fa alcuna illusione sulla funzione di una critica culturale come la sua: «... Brecht è vivo e lo sarà ancora a lungo, per lo meno finché il marxismo avrà in Occidente l'egemonia sull'insieme delle pratiche sociali e culturali; finIL LEVIATANO ché sarà il riferimento d'obbligo di tutti i discorsi intellettuali». Finché a messa ci vanno i cattolici non c'è nulla di strano, ma quando le chiese si riempiono di miscredenti la cosa è sospetta. A Santa Giovanna dei macelli, che tra tutti gli spettacoli noiosi di Brecht può senz'altro avere l'Oscar della noia, dopo quattro ore e mezzo di spettacolo anche i più volenterosi er.ano distrutti; eppure alla fine anche coloro che erano stati svegliati dagli applausi giuravano di essersi divertiti. La cosa preoccupante è che chi è riuscito a far passare questa opera per un capolavoro può far credere tutto, anche che la libertà stia in una prigione. I IL PRINCIPE IN REPVBBLJCA di P{U)wUngari Continua il tempo della "grande intesa" I INTESSUTO DI SORRIDENTI AMBIGUITÀ, seguita a snodarsi il lento cerimoniale dei colloqui fra partiti «rispettabili» in tema di riforma delle istituzioni, per la quale è troppo facile prevedere il rinvio a nuovo ruolo. Ma non poteva cader più tempestiva, intanto, la pubblicazione per i tipi del Mulino di una massicciaserie di volumi che vengonofacendo stato di una grande ricerca di «primo scavo», promossa dalla Regione Toscana sull'opera della Costituente. Chi intende apportare a un edificio modificazioni di qualche rilievo, è bene si procuri anzitutto la mappa dellefondamenta: non fosse che per questo l'iniziativa è ben meritoria, e destinata ad assumere· rilievo primario ai fini del dibattito politico-istituzionale in corso. Su quale terreno poggiamo i piedi? Come si colloca la Costituzione del 1947 nel complessivo orizzonte delle nuove costituzioni postbelliche, con speciale riguardo ai paesi vinti, ed in quale rapporto con la cultura degli esi/f e con i fermenti e le esperienze del tempo partigiano? Cosa si può dire di documentato e concludente in ordine ai collegamenti con l'avventura europea del «parlamentarismo razionalizzato», nonché alla più ampia cornice di «revisionismo» democratico postweimariano in cui essa si inscrive? Secondo un'opinione vulgata, la nostra Costituzione risulterebbe da un compromesso fra marxismo, cattolicesimo e libera/democrazia. Un'altra, più penetrante, mette in luce lo scontro fra il costituzionalismo ortodosso di derivazione prefascista e un neocostituzionalismo che riassumeva l'eredità delle critiche al vecchio Stato e delle autocritiche democratiche del tempo totalitario, oltre a risentire di elaborazioni caratteristiche del circolo dell'alta cultura giuridica europea fra le due guerre. Una visione ancor più scientificamente persuasiva è quella che al di là delle mutevoli tattiche dei partiti, in particolare dei rovesciamenti di fronte dei due maggiori, scorge un conflitto fra due «modelli» costituzionali (equilibratore-garantista, «americano» l'uno, assembleare-giacobino, «francese» l'altro), conflitto dal quale si generano le successive antinomie interpretative della Costituzione. 3

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