Lettere ai Lavoratori - anno II - n. 4 - lug.-ago. 1953

Non pare - invero - che il nostro . larghissimo capitalismo di stato abbia finora portato nelle imprese . nazionalizzate maggiore burocratismo di quel che non affligga le grandi imprese rimaste nel comando .del capitalismo privato. Ma credo che ciò sia merito personale degli uomini che hanno finora gestito il capitalismo di stato, più che merito del sistema. Per contro l'esperienza recentissima ci ha mostrato come il fatto che il capitale di molte grandi imprese industriali foss·e, totalmente o quasi, proprietà dello stato non ha per nulla s~orzata l'asperità della lotta di classe nell'ambito di quelle imprese. Spesso, invece, l'avere lo stato come padrone ha significato più libero sfogo alla demagogia aziendale, più oberante fardello di spese improduttive, più lento processo di riconversione dalla produzione bellica a quella di pace; più facile e più lauto accesso ai soccorsi finanziari dell'erario pubblico. L'I.R.I. richiama l'I.M.I.; lo azionariato statale il finanziamento di stato, in varia forma, con motivazione economica e con motivazione politica e poichè le industrie di stato sono prevalentemente situate nell'Italfa settentrionale, il capitalismo di stato acuisce anche il problema dell'equa o dell'iniqua redistribuzione regionale del pubblico denaro. Il capitalismo di stato è di sua natura proliferante, sta perchè il coordinamento delle attività produttive ci.elle imprese nazionalizzate porta facilmente ad estendere la partecipazione ed il controllo di stato ad imBi --3&8ca Gino ianco prese affini o concorrenti, 4-d imprese clienti ed a fornitrjci di quelle già nazionalizzate, sia e soprattutto perchè le grandi .imprese in dissesto economico o finanziario sollecitano ed abitualmente ottengono il soccorso del pubblico erario. Quand'anche non fosse esplicitamente programmato dal governo, il nostro capitalisn10 di stato tenderebbe ad estendersi con tanta maggiore rapidità quanto più difficile diventasse la gestione _delle grandi imprese, per crisi economica od anche solo per marasma o disordine nel campo salariale. D'altronde, con riferimento alla concreta costellazione politica del paese, non possiamo dimenticare che il collettivismo di taluni fra i maggiori partiti, sebbene diluito - come tutti sanno - in larga gamma di opinioni discordi, punta pur sempre verso la nazionalizzazione almeno delle grandi imprese tii così detto tipo capitalistico. Senonchè, nessun partito potrebbe oggi impunemente programmare in Italia la confisca delle imprese da nazionalizza.rP,, ne~sun machiavellismo poli tic-o potrebbe consigliare siffatta confisca, e le ragioni sono troppo note perchè torni conto di elencarle. Ma un'ulteriore • nazionalizzazione delle nostre grandi imprese, attuata con indenizzi appena appena decenti, comporterebbe un ulteriore enorme accrescimento del debito pubblico. Al sopravvenire dell'immancabile crisi, l'erario sarebbe poi fatalmente costretto a larghi finanziamenti di salvataggio, mentre facilmente non saprebbe

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