Lettere ai Lavoratori - anno I - n. 12 - 31 dicembre 1952

voratori, attraverso le i 1ie graduali della diffusionz della piccola proprietà o del.la compartecipazione all'andamento delle aziende, questo, co·nie abbia1no già dimostrato, non è ostacolato ma consentito, entro i limiti della giustizia per tutti, dai postulati del programma sociale cristiano. lliCorme senza rivoluzione E finiamola anche di credere, sia pure colla retta intenzione di trasforma re in senso cristiano il regime della distribuzione dei beni terreni, che le riforme sociali debbano sempre avere « contenuto rivoluzionario», e si debba quindi pensare anche a far diventare l' eventuale sovvertimento di un ordine di cose esistenti, per crearne uno nuovo, una « rivoluzione cristiana». Qui è proprio il caso di abbandonare il sistema retorico oggi in yrande auge, e di non temere che i lavoratori cattolici - rimanendo fedeli al loro integrale programma cristiano-sociale - possano far apparire la loro religione come legata alla reazione ed alla politica delle classi dominanti. Ma non basta forse l' esperienza del passato, e quella stessa dura e dolorosa che viviamo ogfii, a sfatare simili scipitaggini avversarie? Non basta il nostro esempio a dimostrare con quale amore serviamo la causa dei lavoratori? Bisogna disincantarci una buona volta delle fa tue spm-anze nei rimedi erotct delle più o Biblioteca Gino Bianco meno vere «rivoluzioni». La storia insegna, non esclusa quel-- la recentissima. L'ascesa del proletariato non può avvenire che attraverso conquiste graduali, e cioè nel travaglio della esperienza, la forza delle organizzazioni, l'equità delle leggi, l'influenza diretta nella cosa pubblica, la libertà per tutti nei limiti della giustizia, lo spirito di sacrificio, la fede fermissima nel raggiungimento della pace sociale. Questa è, a mio modesto giudizio, la via aspra ma sicura che devono seguire i lavoratori cristiani. Tutte le altre minacciano di condurli a rovina. E se tale è il dovere dei lavoratori, identico è quello delle altre classi sociali. Bene a ragione voi, amici del «Lavoratore», avete riassunto alcune lezioni dell'illustre Cancelliere Mons. Seipel. Pongo a conclusione di questa mia lettera, che vi mando con fraterna confidenza, le parole che m'hanno colpito e colle quali l'egregio uomo di Stato chiudeva le sue lezioni sociali nel 1917: « Iddio vuole_ che nella nostra coscienza mettiamo un ordine e ve lo mettiamo; vuole pure un ç,rdine universale obbiettivo fuori di noi, nel quale tutto sia disposto secondo i principi dell'amore e della giustizia. Egli non vuole soltanto che il povero, lo operaio, il socialmente oppresso porti il suo fardello per amor di Lui, ma che questo fardello gli sia alleggerito; e a collaborare a tal fine sono chiamati ambedue, il povero e 'il ricco, l'operaio e il capi,talista, l'umile e l'alto locato. Ma il riconosci639

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