Lettere ai Lavoratori - anno I - n. 12 - 31 dicembre 1952

I Scritti di: BELLO RA t1 DE FALCO " G EU N A GIORDANI " GRANDI " LARUSSA ,, LEVJ PALLENZONA,, PAPI t1 PEl'RILLI; PONTREMOLI i , · ·, .1 • ' ' i . . .. \; _; ;.: • ·•• RAPELLI" ROVEDA ·,; SJ\RACENO . ·.· , . . . . . . . : ...... ; ♦ Un anno . ·, . . . ♦ Il tormento sociale cristiano ~- , ~ I • \ ••• , t 't \ •\ • • •,• • La C. F. T. C. I • I rapporti sindacali a Torino ♦ I segretari comunali ♦ Il problema delle nascite ♦ La grande conquista ♦ La legge del valore ♦ Contraddizioni econòmiche ♦ Aree sovrapopolate i ♦ Medici e mutualità ♦ Nazionalizzazione delr IRI ♦ L,industria cotoniera italiana ♦ 1 portuali genovesi ♦ La comunità agricola europea ♦ La pubblicità sovietica ♦ I tipografi americani ♦ Cronache e lettere . . . \ .. 1, . ,.. .. . ( N. 12 - ROMA - 31 DICEMBRE 1!Js2 J Biblioteca Gino Bianco I

fLettereaiLavoratori\ dirette da GIUSEPPE RAPELU • Uaciranno ad ogni fin di mese in ftUcicoli aemplici t!d in fa, acicoli doppi nt!l periodo t!.6tivo • Abbonamento annuo L.1000- ,, aemestr. ,1 500Faacicolo semplice n 100- ,, doppio ,, 200 - Estero il doppio • indirizzo postale: LETTERE Al LAVORATORJ Casella Postale 328 ROMA • Versamenti per abbonamenti sul e/ e poatalt! n. 1 / 21927 intestato a '' Lettere ai lavoratori,, nell' uf, licio dei conti correnti di Roma Re1pon1a6ile: PIERO RANZl Autor. Trib. di Roma n. 25~ del 25,t,H Stabilimento Tipograiieo UESISA,., Roma Biblioteca Gino Bianco

. s/lgli a&&onati .. . etteraei avorator nel 1953 • usc1ranno in fascicoli bimestrali di 112 pagine, a pa,,.tire ' dalla fine di febbraio,· seguiranno a fine aprile., giugno, agosto., ottobre., · dicembre ' Abbonamento annuo L. 1000 • Semestrale L. 500 Servirsi del modulo di e.e. postale compiegato L'AMMI"l'lSTRAZIONE " Bibliòteca' Sino Biancc

LettearieLavoratori Anno I - N. 12 Diceuabre 19o2 UN ANNO Un anno di jVita della nostra pubblicazione è terminato. Una esperienza che ci è costata qualche sacrificio, qualche amarezza, qualche delusione. Siamo stati confortati da lettere ,di amici che ci han scritto: continuate. Non pensiamo di aver avuto un notevole successo, perchè ciò non poteva essere, malgrado il nostro entusiasmo. L'ambiente operaio è ormai ;pervaso da troppo sfiducia. Ci siamo posti inoltre su una linea che non era del tutto facile a seguirsi ed abbiamo di proposito respinto, il più possibile, la polemica e la demagogia. Abbiamo cercato di· far conoscere uomini e cose: abbiamo posto delle questioni che restano, a nostro avviso, di interesse vitale per i· lavoratori. Epperciò riteniamo utile continuare anche se, invece di uscire tutti i mesi, usciremo con fascicoli doppi ogni bimestre. Con raddoppiato impegno, s'intende, anche per noi nella loro compilazione. I fascicoli doppi ci consentiranno una maggiore ampiezza nell'esposizione delle varie tesi sui diversi argomenti, e ci daranno modo per la parte storica di non ridurla a semplici frammenti che spesse volte riescono di difficile comprensione per chi non ha sufficiente cognizione della storia del movimento operaio. Biblioteca Gino Bianco

J2eitere del 1926 ILTORMENTO SOCIACLREISTIANO Nel 1926 si sta1npava a Torino una rassegna « Il Lavoratore» da me diretta e che nel maggio di quell'anno pubblicava una « Lettera di un amico» che doveva andar famosa perchè nel dibattito da essa aperto intervenivano cattolici, comunisti, fascisti, repubblicani, socialisti. Fra gli altri interloquirono nella discussione Achille Grandi, Rinaldo Rigola, Alessandro Cantano, Carlo Lovera di Castiglione, Renato Vuillermin, Guido Galbiati, e giornali e periodici delle varie correnti s'interessarono della polemica insorta. Verrebbe tentazione di riprodurne per iutiero il dibattito allora sviluppatosi perchè le questioni sono tuttora attuali, ma per adesso ci limitiamo a ristampare la « lettera di un amico» e quella di Achille Grandi sull'argomento. E' passato il fascismo, ma le cose son per tanti aspetti quelle di prima e il tormento dei lavoratori cristiani continua. GIUSEPPE RAPELLI Lettera di un amico Cari amici de «Il Lavoratore» Seguo con viva simpatia le pubblicazioni della vostra Rassegna, e sono ammirato per la precisione con cui impostate i problemi del movimento operaio. Più d'ogni altra cosa mi è piaciuta la « Presentazione » in cui con ammirabile intuizione, avete ripetuto ciò che già altri B 6 6 ,a Gino Bianco disse, (questo però non toglie che la verità non possa essere ridetta), che l'economia continuamente si svolge e come lo sforzo consista nello applicare in situazioni mutate e magari sostanzialmente diverse, i principii etici informativi della dottrina professata. Giustamente inoltre avete identi'fi:èato il movimento operaio nell'ascensione economica sociale, e conseguen-

temente politica, che il Cristianesimo ha operato nelle 1nasse lavoratrici. Di ciò e voi l'avete detto, vi sono i documenti storici in ogni epoca e più che il documento che ci trascina nei particolari e non ci dà là visione della sintesi, vi è il risultato della storia stessa. Abolizione della schiavitù, della servirtù della gleba; progredire economico tecnico; sviluppo dello artigianato, agricoltura e delle forme di scambio: divieto nel Medioevo di esercizio dell'usura,- che portava ad una incipiente formazione di capitalismo, il che purtroppo. avvenne più tardi con l'allontanarsi ilei popoli e dei reggitori dalle regole di morale cristiana. Potrei continuare in citazioni, ma la notorietà di questi fatti è così vasta, che credo di poterne essere dispensato. Tutto ciò sta a dimostrare come la Chiesa ha ben saputo guidare quel moto di elevazione spirituale, sociale, economica delle classi lavoratrici cominciato colla predicazione del Vangelo di Cristo. Ma con la abolizione delle Corporazioni, avvenuta giuridica1nente nel 1791, la soppressione dello spirito cristiano nelle leggi e nelle istituzioni, con l' esercizio immoderato, ingordo e inumano dell'usura, con il f ormarsi dei monopoli nella produzione e nel commercio, favorita quest'ultima fase dalle innovazioni tecniche nell'industria e dai facilitati mezzi di trasporti, ecco determinarsi un nuovo regime economico, quello mode1·no, quello in cui noi viviamo ed operiamo ancora. Bibli0teca Gino Bianco Leone XIII lo caratterizza con questa eloquente e scultorea frase osservando che « un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all'infinita moltitudine dei proletari un gioco poco men che servile». Ecco la separazione dell'operaio dal proprio mezzo tecnico di produzione, ecco la costituzione del salariato, ecco l'origine del Capitalismo. Sonibart nella sua Stpria del Capitalismo moderno ha posto in luce quanto ha operato la Chiesa per impedire il nascere di questo· nuovo regime, e influendo negli istituti delle Corporazioni che assorbivano si può dire tutto lo sviluppo economico delle popolazioni medioevali, e con il proibir canonicamente l'esercizio dell'usura, che è la ragion d'esser del capitalismo e con il complesso della sua dottrina. Basterebbe qui riportare un sunto di quell'aureo periodo di discussioni tra i teologi scolastici, che trova il suo culmine nel 1200, S. Tommaso d'Aquino ha sull'argomento parole che non ammettono dubbi ed errate interpretazioni. Tant'è vero che se ben esaminiamo la Rerum Novarum troviamo che questa è la logica discendenza del pensiero scolastico: d'altronde il formarsi di una ben definita dottrina sociale cattolica s'accompagna ad una rinascita di studi filosofici neo - scolastici, promossi dallo stesso Leop,e XIII. La materia sociale-economica d'altronde deve necessariamente subire nei suoi costituiti ed aggregati giuridici una dipendenza dalla morale: ed ecco qui il sorgere della fi627

losofia del diritto, altrimenti chiamata dai cattolici filosofia morale. Col capitalismo che si afferma, la questione sociale diviene d'una palpitante attualità. Ketteler, Manning, Decurtings. La Tour du Pin, De Mun, K oping Doutreloux, dan vita ad un fiorire di studi sociali · che t!raggono, notisi ancora bene, la loro origine dalla scolastica, dove, specie nella dottrina di S. Tommaso, sono in anticipazione di sei secoli, condannati gli errori moderni. Le encicliche leoniane danno il crisma ufficiale al risultato di queste conclusioni teoriche. Uno sviluppo democratico cristiano da esso deriva e genera i primi tentativi di concretazione della dottrina sociale cattolica, che viene così ad essere ufficialmente e nettamente definita. Si rivolge questa concretazione alle associazioni operaie che sono appunto uno dei rimedi suggeriti dalla Rerum Novarum per la soluzione della questione sociale. E' il sorgere del sindacalismo cristiano. Qui occorrono distinzioni: sindacalismo non è corporazione, così come industria capitalizzata non è artigianato. La beri,ta ignoranza di molti che s'attengono di più ai nomi che alla sostanza delle questioni, ripone sovente in campo discussioni superate dal tempo, e propone istituzioni che sono ana,-- cronistiche e perfettamente im .. possibili odiernamente. Il Sindacalismo cristiano viene per sua natura e compost• zione ad essere classista: subtsce cioè la lotta di classe ch'è diventata una ineluttabilità economica: vano sarebbe il ne• Bi 628 ,ca Gino Bianco garlo. La lotta di classe non è da confondersi con l'odio dt classe: l'una è portato economico, l'altro è portato morale. I~a lotta di classe La lotta di classe si cangia in odio attraverso una predicazione violenta di esasperazione e di sopraffazione. Il che cristianamente dobbiamo non volere, anzi combattere. La lotta di classe economica, è una necessità che bisogna superare. La dottrina sociale cattolica cerca di ottenere ciò con la collaborazione di classe e conseguentemente per tentare una trasformazione dell'attuale regime economico capitalista pone come principali pastulati di rivendicazione dei salariati la conipartecipazione agli utili, l'azionariato operaio, ecc. E' precisamente nel dopoguerra, dopo che questa ha determinato un nu'ovo sconvolginiento economicomondiale ed ha rincrudito i siste1ni capitalistici internazionali, che si tenta l'applicazione di questi postulati sociali cattolici. In Italia non è riuscita: sappiamo ora di tentativi in altre nazioni (Australia, Stati Uniti), per parte anche di non sociali cattolici, il cui esito non è ancora assicurato e i cui effetti non sono I acilmente prevedibili. Constatando ciò mi è sorto un dubbio, direi di più, una preoccupazione, che m'è parsa di veder condivisa da voi, amici del Lavoratore, laddove parlate di una continua 111,utabilità, e pel cambiarsi di condizioni econo-

mtche, ~ per nuove espertenze, di dottrine . sociali, anche se queste mantengono inalterata la loro origine etica. I o mi son chiesto dunque, riandando un pò con studi nel corso dei secoli ed al formarsi del capitalismo, se la « collaborazione di classe » è bastante per la trasformazione in senso cristiano del regime economico attuale? l .. 'usura. E mi son risposto: il capitalismo che trae la ragion d'esser dall'usura, che vive sull'usura, ch'è combattuto nel suo nascere dalla Chiesa, è perciò necessariamente anticristiano: dunque deve combattersi, deve non accettarsi nelle sue conseguenze morali. Ora la collaborazione di classe ammette implicitamente il sopravvivere della classe capitalistica, non solo ma vi porta l'appoggio della classe operaia che si traduce in appoggio economico. Perchè qui bisogna togliere le molte inesattezze che si dicono: se per collaborazione di classe s'intende collaborazione tecnica nel · processo produttivo questa già esiste, e non occorre affatto predicarla, e tentare d'instaurarla; se s'intende la negazione dell'odio di classe ed allora dobbiamo essere d'accordo che la parola collaborazione diviene un termine improprio, e questa predicazione morale di carità cristiana esula dal campo economico. Resta perciò che la collaborazione di classe non potendo essere nè l'una, nè l'altra cosa è quella economica, e si risolve nel consentire che il caBil · eca Gino· Bianco pitalismo tragga t mezzi del suo sostentamento economico, percependo un compenso non meritato, detto: dividendo, utile, ecc., e come perciò esso continui a sopravvivere. Ponendo che il capitalismo deve combattersi, questo mezzo della collaborazione non risulta quello adatto. E qui prevengo l'obbiezione che molti amici potrebbero farmi, e che un tempo io stesso avrei fatta. Ritenevo allora che l'appicazione continua dell'azionariato operaio, progressiva conquista del capitale da parte del lavoro, e dalla compartecipazione agli utili, progressiva diminuizione dei dividendi èapitalistici, avessero condotto alla eliminazione del capitale come fattore di sfruttamento da parte di non lavoratori, ed all'effettivo possesso dei mezzi di produzione, naturali e tecnici, da parte della classe lavoratrice. La esperienza ed una sonima di indagini e di osservazioni mi hanno convinto di no; e ciò anzitutto perchè le limitazioni che si sarebbero imposte a· queste applicazioni l'avrebbero impedito, e poi perchè la realtà economica si è discostata da quella dell'epoca di promulgazione della Re.rum Novarum, in quanto il capitalismo non è più il padronato, identificabile in alcuni individui straricchi, come dice la R.N ., 1na il capitalismo è il capitale, investito nell'anonima ,nel «trust», il denaro impiegato ad interesse e che quasi tutti, chi in misura larghissima e chi in misura minimissima, posseggono. Il risparmio dell'operaio va a finire nell'investimento capitalista, e da questo riceve il modesto tor629

naconto nell'interesse maturato sul suo deposito alla Banca. Il capitalismo d'altronde è un fatto internazionale, lega talmente a sè, nelle singole nazioni, la finanza dello Stato da forma re quasi una sola cosa con essa, traendo da ciò un altro mezzo di vita nella speculazione dei cambi e nelle barriere doganali. Dunque la soluzione nazionale diviene impossibilie sul solo terreno economico privato, e va quindi trasportata sul terreno politico con la conquista dello Stato. La soluzione nazionale non basta, occorre la soluzione internazionale: massimamente necessaria per l'economia industriale, ed anche agricola, italiana. L'unità eu1•opea Il sogno degli amici di Parte Guelf a,di una costituzione di Stati Uniti di Europa, è anche un indice di una necessità econoniica, sentita dagli stessi' industriali, che come il noto Gualino della Snia-Viscosa, auspicano all'abolizione delle barriere doganali orientandosi dunque per un federatismo di Stati, ch'è qualcosa di più della Soctetà delle Nazioni, naufragata quasi a Locarno. Attilio Cabiati, sulla Stampa discorrendo di protezionismo doganale e delle crisi economiche a cui questo porta, arriva nelle stesse conclusioni. Ne consegue la illazione che economicamente è pure sentita la necessità di una trasformazione del regime economico attuale. Come comportarci di fronte a questa tenBib ~ecaGino Bianco . denza di trasformazione? Penso che dobbiamo essere nettamente favorevoli, non solo - ma pretendere, che sia conforme alla morale cristiana da noi professata. Qui si impone la domanda: con che mezzi si può giungere a ciò? I.a svolta Voi amici de Il Lavoratore seguendo la politica internazionale della classe operaia, avrete notato come dappertutto, e in Asia, e in America, e in Australia, e in Europa, nella stessa Africa · civilizzata, si noti una tendenza da parte dei lavoratori di non accontentarsi più del solo aumento di salario, e di restringersi nella forma chiusa e protettiva della organizzazione di resistenza, ma di cercare la conquista del mezzo di- produzione, di ottenere in una nuova economia il diritto della proprietà col diritto del lavoro. E quel che d'altronde, ci spiega Guido Miglioli nel suo recente libro Una Storia e una Idea;sì è ottenuto dai lavoratori russi nel nuovo regime federativo sovietista. I minatori inglesi, nella loro vertenza con la proposta della nazionalizzazione delle miniere, tenàono pure a ciò. Le agitazioni di Australia e della Nuova Zelanda, che sono caratterizzate da nomi tanto cari ai social-cristiani, di partecipazionismo e azionariato operaio, hanno il fine cui accennavo. Ora se ben esaminiamo la sostanza di questi movimenti che assumono diversi nomi (noi troppo spesso ci siamo limitati

ai nomi, e facemmo gli scandalizzati nel solo udire certe parole), ci accorgiam.o che hanno un unico fine direttivo, quello che possiamo riassumere con Leone XIII: « I frutti del lavoro a chi lavora», ottenuto mediante la pratica del diritto di uso della proprietà terrena, largitaci da Dio, da parte del lavoratore, affine di giungere alla concretazione del noto aforisma di S. Paolo, nella sua lettera ai Tessalonicesi:« si quis non vult operari, nec manducet » ed in lingua italiana « chi non vuol lavorare non mangi». Il che equivale alla trasformazione completa in senso cristiano dell'attuale regime. Questa riunione di movimenti operai è perciò indubbiamente nel suo contenuto rivoluzionaria, se per rivoluzione s'intende il sovvertimento di un ordine di cose esistenti, per costituirne uno nuovo. La riwoluzione cristiana Tentiamo noi lavoratori cattolici, di f a,la diventare una rivoluzione cristiana. E come? Partecipando a questo 1novimento: portando in esso il contributo della nostra formazione etico-morale: non sabotando, con la nostra non partecipazione, un movimento che tende dare al lavoro i suoi giusti diritti. Oh! retorica consumata di molte frasi: la terra ai contadini, la fabbrica agli operai, quante demagogie hai coperto, quante ambizioni hai soddisfatte! I o non le ripeterò queste frasi,. Mi è parso di compiere un do-• vere di coscienza esponendo queBibt1oteca Gino Bianco ste mie preoccupazioni e queste mie osservazioni: credo che una effettiva adesione dei lavoratori cattolici a questo movimento rivoluzionario di operai e di contadini che in tutti i paesi del mondo si va determinando, sia un bene per la nostra Religione, per la stessa Chiesa Cattolica. Noi entrando in questo movimento, manteniamo intatta la nostra fisionomia etico-morale, cerchiamo anzi con questa di influire sugli altri, ai quali ci uniamo nella persuasione di compiere un dovere cristiano concorrendo ad abbattere un sistema d'ingiustizie sociali nettamente anticristiano. Ad uno sforzo di unità accompagniamo uno sforzo di conquista: dimostreremo così praticamente come la religione nostra, cattolica apostolica romana, non sia affatto legata alla reazione, alla politica delle classi dominanti. L'accettazione di questo movimento rivoluzionario internazionale vuol dire riconoscere che è necessario far precedere. una conquista politica dei lavo:ratori, che darà nello stesso tempo una conquista economica, il che servirà per stabilire una nuova sistemazione economica conforme ai principi di giustizia cristiana, derivati dal Vangelo, dalla pratica della Chiesa fin dai primi secoli, dalla dottrina cattolica. Ecco la mia conclusione. Su questa mia lettera sarò lieto che voi del Lavoratore esprimiate il vostro pensiero, e che altri amici dicano il loro. Non intendo con la eventuale pubblicazione della lettera sulla Rivista coinvolgere la vostra 631

responsabilità nella tesi da me sostenuta, e mentre ringrazio se ciò farete, vi porgo cordiali saluti. P .S. - Questa postilla è per rilevare come parlando di capitalismo e di sistema capitalista, io dia a questi la sola importanza sociale e morale nel senso della distribuzione della ricchezza prodotta, e del do- ... minio economico-politico e non intento affatto accennare a quel peculio d'innovazioni tecniche apportate all'industria in quest'epoca. Chiarifico il mio pensiero osservando che con l'abolizione dell'economia capitalistica odierna io non voglio tornare a quella medioevale o a quella prj.. mitiva. A intelligente lettor bastan poche parole! Lettera di Achille Grandi Cari amici de « Il Lavoratore», partecipo anch'io, per una volta tanto, alle vostre discussioni libere, e dico subito pe1 rilevare un dissenso che non 1ni sembra lieve fra le mie vedute circa le mète a cui tend~ il programma sociale crisìia110 nell'opera di elevazione delle classi lavoratrici e queEe invece a cui sembra mirare l'« amico che con noi ha condiviso, nell'immediato dopoguerra, lotte, dolori e incerti dell.J organizzazioni operaie » nella lettera che ha scritto al « Il Lavoratore». Tralascio la sintesi dell'opera sociale della Chiesa che l' A. compie con frase riassuntiva sostanzialmente esatta. Convengo nella definizione ch'egli dà del sindacalismo quando dice 632 Biu,,v1.vvaGi.noBianco che « non è corporazione», così « come industria :Jap~talizzata non è artigianato». Riconosco anche che nùn . è attraverso il sindaca~,;'>,·no eh e si vuò risolvere la loltJ di e lasse. Il sindacalismo cristit1~1,or.,e attenuerà i contrasti, eviterà che si trasformi in odio di ciosse, ma non può per sè itesso eliminarla. La lotta di clas~~e andrà scemando solo man rnano che gli insegnamenti di giustizia, di amore, di cari;à, dei quali è principio il Vangelo di N. S. e maestra la Chiesa cattolica, permeeranno la coscienze, gli animi, la volontà dei datori di lavoro come degli operai, degli educatori come professionisti, dei Capi di Stato come dei legislatori. La dottrina sociale cattolica, come indica nelle associazioni

il mezzo onesto e legittimo di di/ esa degli interessi di ogni classe sociale, così respinge le trasformazioni economiche e politiche che urtano contro le leggi naturali e le naturali libertà. Ecco perchè il socialismo, nelle sue diverse forme e finalità, è sempre condannato. Sopprimendo esso il diritto di proprietà personale per trasformarla in collettiva, mentre crede di riparare radicalmente il male sociale, offende invece i diritti naturali degli individui, altera le competenze e gli offici dello Stato, e scompiglia tutto -l'ordine sociale. E' la parola di Leone XIII. Il capitalismo attuale, è vero, offre nel suo sistema argomenti efficaci di critica che giustificano talvolta la rampogna acerba del socialismo, così come implicitamente sono condannati dalla « Rerum Novarum ». Non credo proprio che Leone XIII, parlando dei diritti e dei doveri dei padroni e degli operai, volesse accennare soltanto agli individui, ma a tutto il fenomeno del capitalismo che già nel 1891 si delineava nella sua imponenza. Infatti la sua diagnosi della questione operaia è formidabile. Il Pontefice rileva « che i portentosi progressi delle arti ed i nuovi rnetodi dell'industria, le mutate relazioni tra padroni ed operai, l'essersi in poche mani accumulata la ricchezza e largamente estesa la povertà, il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici Biblioteca Gino Bianco più vivo, e l'unione tra loro più intima: questo insieme di cose e i peggiorati costumi hanno fatto scoppiare il conflitto. La Rerum Nova1•nm vale ancora E dopo aver detto che il problema è di tanta gravità che tiene in trepida aspettazione sospesi gli animi, ed affatica lo ingegno dei dotti, i congressi dei savi, e le assemblee dei legislatori, « in guisa che oggi non v'ha questione che maggiormente interessi il mondo», rivendica alla Chiesa cattolica il diritto di trattarla « ora di proposito e pienamente, a fine di mettere in rilievo i principii con cui, secondo giustizia ed equità, risolvere la questione ». Ed ancora: « Imperocchè, soppresse nel passato secolo le corporazioni di arti e mestieri, sènza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che a pàco a poco gli operai rimanessero soli ed indi! esi in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un'usura divoratrice, che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, per fatto d'ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tantochè un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all'infinita moltitudine 633

dei proletari un giogo poco n1,en che servile ». Non mi pare dunque che si possa dire la « realtà econo1nica odierna si è discostata da quella dell'epoca della promulgazione della "Rerum Novarum", ma che invece Leone XIII antiveggesse dalla gravità degli esordi già manifesti le dolorose conseguenze. Ed allora ecco il perchè io ritengo che gli insegnamenti della "Rerum Novarum " circa le possibilità della soluzione della « questione sociale » reggano nella loro fondamentale sostanza. Basta leggerli con mente e fede pura per pienamente persuadersene. L'amico esagera Io non comprendo q·uindi perchè l' A., dalla critica che egli fa del sistema capitalistico, deduca che non solo debba combattersi perchè ritiene che f.Sso derivi dalla usura, e viva sull'usura generalizzazione che mi sembra esagerata - ma che la collaborazione di classe deve oggi respingersi perchè lascerebbe sopravvivere la. classe capitalistica, portandovi l'appoggio della classe operaia sul terreno economico. Nè a correggere i difetti dell'attuale ordinamento capit(J.listico l' A. ritiene possan~ bastare i rimedi che un giorno pure lui sostenne, e cioè: « l'appiìcazione dell'azionariato operaio, progressiva conquista àel capitale da parte del lav<no e della compartecipazione c,gli B 684-.;a Gino Bianco utili, progressiva diminuzione dei dividendi capitalistici ». Lo A. già pensa che « l' esperie-riza ed una somma di indagini e di osservazioni » lo hanno con'ùinto di no; e ciò anzitntto perchè le limitazioni che si sarebbero imposte a queste ap1;licazioni l'avrebbero impedito, e poi perchè la realtà economica si è discostata da quella della epoca di promulgazione aella "Rerum Novarum", in quanto il capitalismo non è più il padronato». Io penso invece che l'A. pecchi di esagerazione, eà aliresì di un grave difetto che già ehbi a ravvisare in taluno cr, e pur ebbe, sotto vari aspetti, ?1.0tevoli benemerenze nel camjJO nostro: la fretta cd un o stato d'animo di perenne malcontento. Chi può infatti oggi a~ermare che i postulati dell'ozionariato operaio e della com p0,1 - tecipazione agli utili !1-bbian~ già compiuto un periodo di esperienze tali da dimostrarne la loro inanità? Noi non siamo su questo terreno che ai primi passi, coll'aggravante che in Italia non abbiamo compiuto neppure quelli e proprio perchè ostacolati e derisi dai socialisti e dagli industriali, non esclusi i fascisti. Il :Lodo Bianchi Chi, per esempio, può dire che l'esperimento del « Lodo Bianchi » se avesse trovato pronte le volontà delle parti interessate, avrebbe dato un esito negativo? Io ho sotto gli occhi un piccolo esempio che si svolge presso una azienda

tipografica e posso dire che di esso ne sono soddisfatti gli operai e gli amministratori, anche se è passato attraverso dif ficoltà non certo previste. Tutti sanno del resto che in Italia se, per assurdo, si potesse arrivare a rendere collettiva tutta la ricchezza privata, le paghe operaie sarebbero elevate di poco più del venti per cento! Ed ancora: noi cominciamo soltttnto adesso ad apprendere che alcuni Stati legiferano nella delicata materia dell'azionariato operaio e della compartecipazione agli utili delle aziende, e dobbiamo quindi attenderne i risultati. Segno è però che la corrente favorevole a questi postulati è abbastanza diffusa e, si noti bene, nel senso di togliere l'urto e la lotta fra il capitale e il lavoro ed introdurre nei rapporti tra operai ed industriali un senso maggiore di equità morale e di giustizia distributiva. E' vero che solo nel dopoguerra i postulati sociali cattolici, accennati dalla « Reri;,m Novarum », tentano le loro a1Jplicazioni. Ma ciò non vuol dire che già si debbano conda,nnare all'impotenza. In Italia la proposta della loro introduzione, fatta, con un progetto di legge dalla Confederazione bianca nel gennaio 1921, al Presidente del Consiglio on. Giolitti, cadde per la sorda opposizione dei liberali, dei socialisti e degli industriali. Ma ciò non significa che non venga un giorno in cui meriti di essere ripresa in seria considerazione. Biblioteca Gino Bianco Distinzioni sup~rate Per esempio proprio l'on. Olivetti, segretario della Conf ederazione « fascista » dell'industria - che, a suo tem'Oo, fu fiero avversario dei no3tri progetti compartecipazionisti -- in un suo discorso del 7 aprile scorso a Torino, è uscito in queste sintomatiche· a(lennazioni: « La vecchia distinzione tra capitale e lavoro non 1 oggi di certo netta, chè anzi i due termini tendono a fondersi in ii11 o solo... Basta a questo proposito considerare un 111.0,nento la figura ormai frequen~e dello amministratore delegato il <ruale è un padrone senza ca1)i ta.7 e epperciò un lavoratore che però dirige e ordina forse più del capitalista. E non è inutile Jar conoscere l'esempio di una grande azienda americrtnrt,, la Swift, nella quale lentamente, a poco a poco, l'intero capitale è passato agli operai, i quaii sono cosi anche gli azionisti della società ». I o non voglio qui ('itare alcuni esempi italiani e 1nolto più frequenti all'estero di volontario esperimento di questi nvstri postulati, ma mi sembra che, pur ammettendo alcun-i insu ccessi, non si possa dedurne lo assoluto pessimismo dell' A. !-V lla possibilità di una loro larga realizzazione con benefici risultati per la pace economica e sociale. Basterebbe qui ricordare che una delle più importa,nti conclusioni della Commwsi()ne d'inchiesta sulle condizioni clell'industria mineraria in}1iese è quella che suggerisce (<allo Stato di garantire la partecipazio635

ne degli operai agli utili della impresa in cui lavorana, accordando loro delle azioni 1•er interessarli alla produzione ed al benessere dell'impresa i>. E si ~a che il Governo inglese ha dichiarato che, per conlo s'ko, non è alieno dal sostenere dette conclusioni. E può o.nche darsi che questa sia la via attraverso la quale si avvierrì a soluzione giusta la gra1ute ~'(;1 - tenza mineraria in cot-so. Il dissenso più g1·ave Ma il punto più grave di dissenso che io sento di avere con l' A. ·è nel giudizio che egli dà tout court del capitalismo ~n generale, ritenendolo « necessariamente anticristiano », sicchè la collaborazione di classe non è bastante per la trasformazione in senso cristiano del regime economico attuale. E' vero che in una molto accorta postilla l' A. dichiara che, « pa, - lando di capitalismo e di siste· ma capitalista, egli dia a questi la sola importan2ri sociale e morale nel senso della distribuzione della r 1,cche.zz ·t p1 oè.otta, è del dominio ecotio1nico politico, e non intenùa a.ffatto accennare a quel peculio d'innovazioni tecniche apportate dall'industria in quest'epoca ». Finalità socialcomuniste? Ma la dichiarazione non d1.- strugge la impressio,t~ generale che io ho riportato dall'articolo dell' A., e che mira, a, ·mio modesto giudizio, a trascinare i 636 8 _ ca Gino Bianco cattolici su un terrtHi::> di pr nsiero e di azione che rar;enta le finalità socialiste e co,,iuniste. Che vuol dire infatti quella sua abile ricerca nel campo degli studi economici o delle aspirazioni politiche o delle agitazioni operaie in Nazioni diverse, per dimostrare che dalla generica tendenza alla coalizione degli Stati, o alla soppressione di vincoli doganali e protezionisti od a mutamenti economici - tutte cose lecitissime - deri'lfa la illazione che si tenda alla «conquista del mezzo di produzione, e ad ottenere in una nuova economia il diritto della proprietà col diritto di lavoro? Come mai si può affermare che gli esperimenti del regime f ederativo sovietista o le richieste dei minatori inglesi per la nazionalizzazione. delle industrie (il che, per altro, non vuol dire socializzazione), tendano proprio precisamente ad un unico fine direttivo, « quello che vossiamo riassu1nere con Leone XI I I: "I frutti del lavoro a chi lavora" ottenuto mediante la pratica del diritto di uso della proprietà terrena, largitaci da Dio, da parte del lavoratore ... ?». A me sembra A me sembra che qui, sia pure con l'intenzione di dare una impronta cristiana a trasformazioni sociali che si creclono inevitabili, si arrivi a travisare in pieno la dottrina ed il pensiero sociale cristiano co3i nettamente tracciati nella E-ncicl-zca « Rerum Novarum ». Noi riconosciamo la neces.J-Lià di tutte le classi sociali. Non crediamo che possa derivare un

bene dalla loro soppressione perchè si andrebbe contro l'ordine naturale delle cose u1nane. Non crediamo ad una uguaglianza livellatrice e nel contempo distruggitrice di o!}ni impulso di civiltà, di progresso e di benessere nell'ordine sociale. Le classi sociali, come gli individui sono utili, anzi necessarie, perchè si attengono alla legge di Dio, che consente la esplicazione onesta di tutte le libertà naturali. Il diritto ili proprietà è una di ques~e. Non può essere soppresso se acquistato od ereditato con 11iezzi legittimi. Può restrinqer~i o_d estendersi a seconda degli .S'Jtluppi della societ i urnana, e rendere patrecipi dei suoi be- , nefi,ci chi col lavora, loll'intelligenza, col risparmio, se ne rende degno. ViJne pe.r,iuto da chi non sa conserva,·lo o farne un uso legittimo. 1t,f a nessuno può sopprimere il di1'itto r~atura le di propriet,i. Il capitale ed il lavora, come l'intelligenza e la tecnica, la scienza e le facoltà direttive, sono fattori indisvensabili del progresso economico nella vita industriale, commerciale ed agricola. Tutti questi fattori devono collaborare non solo sul terreno tecnico del processo produttivo, il che già si compie, per quanto non sempre perfettamente, ma devono sentirsi legati dai vincoli superiori della morale, della giustizia, della carità cristiana, dai quali deriva anche il rispetto della umana dignità, dei reciproci diritti e doveri, e la tutela dei comuni interessi. Per 1ne il capitale, e, se volete generalizzare, il sisteBiblioteca Gino Bianco nia capitalista, non è condannabile in sè, nè credo che sempre lo si possa paragonare alla usura, o che viva dell'usura e della illecita speculazione. Queste sono le deviazioni, le corruzioni del sistema. Il nostro programma le condanna ed indica i rimedi per eliminarle. II risparmio Ma quando il capitale è il frutto del risparmio onestamente impiegato, essendo elemento necessario alla vita economica e produttiva, ha diritto di essere rimunerato in proporzione corrispondente al rischio che corre. Così come il lavoro, dal più elevato al più umile, è egualmente indispensabile, e quindi non deve essere menomato, oppresso o sfruttato. Tutti questi elementi che distribuendosi poi negli individui, singoli od associati, costituiscono di fatto le diverse classi sociali, hanno, nell'ordine economico e sociale, le loro distinte e necessarie funzioni, così, come nell'ordine fisico, le membra del corpo umano. L'uno di essi non può sopraffare l'altro: ne deriverebbe e ne deriva a lungo andare il turbamento dell'ordine naturale e la morte. Ecco perchè tendiamo all'armonia fra le classi sociali e deprechiamo la lotta e l'odio di classe. La dott1•ina dei Maest1•i I mezzi che ci sono stati insegnati dai nostri Maestri più sicuri, dalle esperienze storiche del periodo migliore delle Corporazioni medioevali (fatta giu637

sta distinzione fra i tempi e le situazioni diverse), dalle sanzioni della « Rerum Novaruni », sono: la libertà di associazione, le buone leggi sociali, l'intervento dello Stato in senso protettivo ma non accentratore, la diffusione della piccola proprietà, l'istruzione professionale, la compatercipazione agli utili e l'azionariato operaio, non escluse quelle altre provvidenze alle quali la nostra dottrina non pone un limite. Ma tutto ciò sarebbe ancora inutile o ben poco consistente se, insieme, le classi} meglio tutti gli uomini, non accompagneranno l'ossequio e la pratica degli immutabili veri che emanano dalla morale e dalla dottrina cattolica, che soli possono impostare e risolvere la « questione sociale ». L'ordine naturale Ripeto: non rompia,mo l'ordine naturale delle cose umane. Le classi sociali sono una realtà insopprimibile. Le loro diff erenze derivano dalle doti intellettuali, morali, fisiche, volitive, dalle virtù e dai difetti che distinguono uomo da uomo. Tutte insieme costituiscono una linea armonica, purtroppo molte volte turbata dagli egoisnii, le violenze, le pretese ingiuste, le sopratJazioni, ma che deve ricomporsi quando prevalgono la giustizia, la libertà, l'amore, che trovano la loro suprema sintesi nel Cristianesimo. Il resto è illusione. Tutti i tentativi collettivisti o comunisti (quando non si confondano colla vita in comune dei primi cri-- stiant, o degli ordini monastici, il che è soprattutto sacrift,cto, Biblii i a Gino Bianco rinuncia, umiliazione e non socialismo) sono destinati a cadere. I o non credo ciò cfrie dice l' A. che, seguendo la vita volitica internazionale, tutta la classe operaia tende a non accontentarsi più del solo c:,11/niento di salario, e di restringersi nella forma chiusa e protettiva della organizzazione di resistenza, ma cerca la conqu'i.sta clel 1nezzo di produzione, e di ottenere in una nuova econornia « il diritto della prop"·zetà col diritto del lavoro », s~ tutto ciò è inteso in senso socialista o comunista, corne pare accenni l' A. quando rileva ciò che spiega Guido Miglioli nel suo recente libro circa quello che avrebbero ottenuto i lavoratori russi del nuovo regirne /ed~; ativo sovietista. Nel rt?sto di Europa e fuori mi sernb1a che la grande maggioranza dei lavoratori non aspiri trop no ad i?n itare la Russia, e tanto nieno credo lo aspirino i minatori inglesi, i quali, del resto, possono legittimamente chiedere 1r1, nazionalizzazione delle m·~niere (che non è, ripeto, so,;ia~izza- -~ione), quando sia definiti.vamente dimostrato che i proprie ... tari attuali si siano resi 1nr.apaci di gestirle. Il lavoro legittima la proprletil Se invecP-, par!ando di 11,na tendenza verso « ll diritt~ clella proprietà col dir:"-tv del lai•o .. ro », per quanto co 1, termini ·;mprecisi, l' A. voglia alludere alla possibilità di rend~re pa.rte(!ipi dei benefici della proprieta un sempre maggior nu:nier-, di la-

voratori, attraverso le i 1ie graduali della diffusionz della piccola proprietà o del.la compartecipazione all'andamento delle aziende, questo, co·nie abbia1no già dimostrato, non è ostacolato ma consentito, entro i limiti della giustizia per tutti, dai postulati del programma sociale cristiano. lliCorme senza rivoluzione E finiamola anche di credere, sia pure colla retta intenzione di trasforma re in senso cristiano il regime della distribuzione dei beni terreni, che le riforme sociali debbano sempre avere « contenuto rivoluzionario», e si debba quindi pensare anche a far diventare l' eventuale sovvertimento di un ordine di cose esistenti, per crearne uno nuovo, una « rivoluzione cristiana». Qui è proprio il caso di abbandonare il sistema retorico oggi in yrande auge, e di non temere che i lavoratori cattolici - rimanendo fedeli al loro integrale programma cristiano-sociale - possano far apparire la loro religione come legata alla reazione ed alla politica delle classi dominanti. Ma non basta forse l' esperienza del passato, e quella stessa dura e dolorosa che viviamo ogfii, a sfatare simili scipitaggini avversarie? Non basta il nostro esempio a dimostrare con quale amore serviamo la causa dei lavoratori? Bisogna disincantarci una buona volta delle fa tue spm-anze nei rimedi erotct delle più o Biblioteca Gino Bianco meno vere «rivoluzioni». La storia insegna, non esclusa quel-- la recentissima. L'ascesa del proletariato non può avvenire che attraverso conquiste graduali, e cioè nel travaglio della esperienza, la forza delle organizzazioni, l'equità delle leggi, l'influenza diretta nella cosa pubblica, la libertà per tutti nei limiti della giustizia, lo spirito di sacrificio, la fede fermissima nel raggiungimento della pace sociale. Questa è, a mio modesto giudizio, la via aspra ma sicura che devono seguire i lavoratori cristiani. Tutte le altre minacciano di condurli a rovina. E se tale è il dovere dei lavoratori, identico è quello delle altre classi sociali. Bene a ragione voi, amici del «Lavoratore», avete riassunto alcune lezioni dell'illustre Cancelliere Mons. Seipel. Pongo a conclusione di questa mia lettera, che vi mando con fraterna confidenza, le parole che m'hanno colpito e colle quali l'egregio uomo di Stato chiudeva le sue lezioni sociali nel 1917: « Iddio vuole_ che nella nostra coscienza mettiamo un ordine e ve lo mettiamo; vuole pure un ç,rdine universale obbiettivo fuori di noi, nel quale tutto sia disposto secondo i principi dell'amore e della giustizia. Egli non vuole soltanto che il povero, lo operaio, il socialmente oppresso porti il suo fardello per amor di Lui, ma che questo fardello gli sia alleggerito; e a collaborare a tal fine sono chiamati ambedue, il povero e 'il ricco, l'operaio e il capi,talista, l'umile e l'alto locato. Ma il riconosci639

mento di questo dovere è reso possibile agli uni e agli altri ancora dalla cultura. Di particolare importanza è che quanti occupano una posizione sociale elevata imparino a pensare, sentir.e, agire socialmente. Senza essi o peggio ancora contro essi, la questione sociale o non può in generale essere risolta, oppure lo sard ma soltanto tardi, e per le giravolte della soppressione di tutto il preesistente». lddid voglia che i cattolici non portino la responsabilitd di questo ultimo presagio. ACHILLE GRANDI (da « IL LAVORATORE» del giugno 1926). Il valore sociale del!' Evangelo Sì, è vero·; noi riconosciamo che il Cristianesimo non è bastato a « stabilire un ordine politico e sociale perfetto, a liberare l'umanità dai mali che la opprimono ed a formare la felicità del genere umano su questa terra ». Dopo venti secoli di Cristianesimo vi sono ancora troppi disordini, troppe iniquità, troppa miseria, troppi dolori e troppi abusi; ma la colpa non è del ,Cristianesimo., essa è tutta, e specialmente, del mal animo degli uomini che non vogliono mai piegarsi a conformare completamente la propria condotta alle prescrizioni evangeliche. !Meglio osservate, queste prescrizioni avrebbero intieramente trasformato la faccia dell'universo; ma per somma sventura esse cozzarono contro gli istinti egoistici di questa povera nostra natura, ed in questa lotta l'interesse e le passioni ebbero troppo spesso ragione del dovere e del diritto. Ad onta di ciò, l'influenza del Vangelo fu enorme. Esso diffuse pel mondo dei principi che lentamente agirono sullo spirito pubblico, trasformandolo insensibilmente, e che, malgrado le difficoltà dovute ad un lunghissimo passato pagano, sono pervenute a suscitare nel mondo rigenerato delle idee e dei costumi ignoti prima del suo avvento. • L. GARRIGUET 640 G 8 . Bi ,a ino 1anco

Cronache del passato I • tur11.1... Oltre iL lato altamente morale, il sistema del turno ha, è vero, anche un lato che sa di opportunità economica, togliendo esso di ·mezzo il p2ricolo eh e i disoccupati vadano ad offrire ii loro lavoro ad un prezzo inferiore a quello in vigore e fissato dal contratto colLettivo stipulato dai sindacati. Comunque, il turno è un fenorneno tal1nent2 italiano che, allorqu,ando, nel 1905, Giovanni l\1ontemartini, nella sua qualità di direttore dell'Ufficio del Lavoro, si rivolse al segretario gen3rale della Federazione Tedesca dei Panettieri, Allmann, per avere informazioni sull'appLicazione del sistema in Germania, questi dovette dargli la r1sposta che nel s-uo paese tal.e forma di soiidarietà operaia era sconosciuta. ••• e la solidarietà Quando scoppiò nel 1891 lo sciopero dei mitallurgici di Nlilano, le operaie portarono ai loro co1npagni, come narra il Ttlrati, « ese1npio gentile e co1nmovent~, curve sotto il carico g1·ave, la valigia gonfia dei soldoni, raccolti ad uno ad uno nelle afose officine fermnninili, ognuno dei quali rappresentava la privazione non diremo !di un nastro o di un gingillo, ma forse di run boocon d.i pane, di una ciotola di minestra suLlo squa·llido desco», e le stesse contChdine di Pieve d'Olmi, Gtvendo iSaputo della lotta e non potendo mandare denaro in contanti, mandavano ai collettori delle ceste colme d'uova per soccorrere colla vendita di queste gli scioperanti. Ricordere,mo ancora qualche altro tra i tratti infiniti iche si potrebbero rilevare. N elio sciopero dei risaiuoli di Ostiglia, SerraJvaUe e Coreg•gioli, nel 1902, la parte degli scioperanti, i cui pctJdroni avevano finito per piegare accurdando il richiesto a.tlrtiento di ,salario, ri.prese sì il lavoro, ma rinunciando per conto proprio al sovrappiù della paga, mettendolo per parecchie settimane a disposizione dei compagni che, 11ieno fortunati di loro, !dovevano continuare la lotta. (da « Storia C'ritica del Movimento Socialista Italiano>> d~l 1926). Biblioteca Gino Bianco 641

CVicende francesi La c.·f. T. C. Nel 1887 in Parigi veniva fondato per opera di elementi cattolici il Sindacato degli impiegati del commercio e dell'industria. Fu attorno a questo primitivo nucleo che si forma1 rono successivamente altre organizzazioni che poi diedero vita alla C.F.T.C. (Confederation Francaise Travailleu~s Chrétiens). Lo statuto del Sindacato degli impiegati app'l'ovato il 18 settembre 1887 precisava questi compiti per la nascente organizzazione: unire fra loro gli impiega ti cattolici dando loro un appoggio morale, aiutandoli nella ricerca di un impiego in ditte cattoliche, organizzando corsi e conferenze. Per essere iscritti si richiedeva di essere un impiegato cattolico e di onorare la fede attraverso una buona reputazione. Mare Sangnier Ma tale concezione statutaria doveva esseire tenacemente •combattuta da Mare Sangnier, il fondatore del Sillon, B 612 8 . 8 . ,...,, :a 1no 1anco movimento di avanguardia sociale tTa i cattolici francesi. Egli nel 1906 scriveva: « Aprire un sindacato ai soli cattolici, è ammettere degli uomini che, uniti senza dubbio sul terreno religioso, sono di fatto molto divisi sul terreno sociale. La diversità delle loro vedute sociali, i modi opposti di giudicare delle riforme, li condurrebbe fatalmente a restare neutra·li. Per Testare uniti cosi dovrebbero fare il sacrificio delle loro pTeferenze sociali. Cosa abbiamo da temere da uomini che perseguono lo stes,so fine sociale nostro e che non fanno professione di combattere la fede cattolica? Non tutti i cattolici sono democratici. Ora, per fare opera democratica, abbisognano dei democratici ». La tesi del Sangnier, fondato'l'e del Sillon e della J eune Répub lique ebbero una notevole influenza sui militanti sindacali cattolici. Alle tesi di allora del Sangnier danno conferma postuma quanto seri ve il canonico Tiberghien su Chronique Sociale de France

(aprHe 1952) « Indiscutibilmente noi dovevamo sembrare a chi non condividesse la nostra fede come dei clericali, rpTivi di virilità civica, incapaci di pensare da se stessi, sempre ansiosi di appoggiarsi sulle Encicliche sociali», e soggiunge « questa attitudine di carattere clericale aveva un altro inconveniente quello di isolarci, rispetto ai non praticanti cattolici che pure condividevano le nostre idee soCJiali ». Questo travaglio inteTno si concludeva con una prima tappa nel 1919 quando la C.F.T.C., venne battezzata con travailleurs chrétiens, anzichè chatoliques. l l travagli J interno Però esso è continuato e continua tuttora. Anche se la C.F.T.C. è arrivata ad un reclutamento sindacale notevole di masse « non cattoliche » o « scritianizzate » anche se molti dei suoi militanti ritengono di aver adesioni PeT la « efficacia del movimento sociale cristiano » il problema dottrinale rimane, pur essendosi definitivamen,te chiuso il periodo confessionale. E' evidente che una effettiva democrazia sindacale comporta possibilità d'iniziativa diverse e di libere discussioni. Tra i militanti sindacalisti cristiani di Francia vi è dunque uno sforzo di ricerche, e se è fonBiblioteca Gino Bianco damentale l'adesione alla dottrina cristiana, questa è soprattutto intesa dottrina morale. più che un testo di tecnica sociale. Réconstruction conclude così un suo •recente studio: « Un minimo di analisi fa scoprire che "il disagio della C.F.T.C." è legato ad una elaborazione del rapporto, presso i credenti, tra la loro fede e le loro concezioni e le azioni materiali - che è lo stesso rapporto - nella società francese in crisi, tra credenti e non credenti. Uno sforzo d'analisi sto-rica e sociologica, sembra necessa - rio perchè i militanti d'ispirazione cristiana superino le limitazioni che li legano al passato delle loro organizzazioni e pos,sano cosi dare tutte le loro forze all'indispensabile, anche se difficile, rinnovamento del sindacalismo francese, in condizioni che non potevano essere pireviste dagli anziani fondatori della C.F.T.C. La comprensione del pa~sato permette di superarlo, senza misconoscerlo: questo passato dell'origine della C.F.T.C., resta d'altronde un notevole sforzo per il tempo e per L'ambiente dove si è prodotto, sforzo che ha condotto al movin1ento sociale delle foi4 ze che sino allora erano state inutilizzate ». (Da « Reconstruction » del 10 dicembre). 643

- I '' rapporti sociali,, a Torino La situazione dei « rapporti sociali » nell'industrin meccanica torinese è taie oggi da indurre anche l'osservatore più superficiale a rilevare una certa gravità per quanto riguarda le ripercussioni che questa può ave1·e su ogni altra attività del Paese. Le constatazioni trovano il loro fondamento nell'esan1e dei fatti succedutisi dal 1948 in avanti. Il programma economico-soci ale del1'a coalizione che risultò vincitrice alle elezioni politiche del 1948 trovò consenzienti tutti i lavoratori democratici. Essi dimostrarono con la scissione sindacale del luglio 1948 di essere pronti ad assume·re la loro parte di respon - sabilità purchè quel programma trovasse anche nelle fabbriche il terreno favorevole alla sua realizzazione. I lavoratori democratici infatti hanno inteso con ìa scissione: 644 BuJ11vltC8 Gino Bianco - Lmpedire la trasfor1nazione del movimento sindacale in sttun1ento di opposizione politica alla attuazione dello approvato progran1ma delìe forze de1nocratiche; - instaurare un nuovo metodo nelle relazioni tra datori di lavo'ro e prestatori d'opera, attraverso il quale escludendo la violenza e la demagogia, si contribuisse a creare nelle fabbriche il clima necessario ad una costruttiva collaborazione; - inàurre i datori di lavoro ad accettare la loro pa-rte di responsabilità e di sacrifici per la realizzazione del programma elettorale, aiutandoli a trasformare il sentimento di paura che allor-a li dominava in un sentimento di comp•J.~ensione nei confronti delle esigenze dei lavoratori, ed incitandoli ad accettare il concetto della funzione sociale della proprietà.

.,.. Scissione a prò di· chi? Dobbiamo invece oggi purtroppo riconoscere che la scissione sindacale è stata fine a s~ stessa e non ha avuto quel seguito cui poc'anzi si è accennato e che era nell'animo dei promotori di base. Sotto questo aspetto dobbiamo concludere che la scissione del '48 ha mancato ai suoi scopi e potrernJmo addirittu•ra, seppure amaramente, parlare di fallimento. Infatti dopo un primo tempo durante il quale da parte degli imprenditori e del Governo si è dimostrata una -certa comprensione, in seguito la situazione è andata gradatamente modificandosi e gli industriali, ritenuto il pericolo co1nuni sta allontanato e quin - di non più imminente si sono irrigiditi su ogni richiesta, cercando di ritornare a sistemi di rapporti con i lavoratori che si credevano largamente sorpassa ti. E dobbiamo pure constatare come il Governo nulla abbia fatto per iinpedire tale involuzione che pure contrastava e contrasta in modo palese con il citato programma del 18 aprile 1948. In altre parole, tu1 ti i lavoratori di idee contra•rie al comunisn10 non hanno esitato BibliotecaGino Bianco ad entrare apertamente in lotta con questo quando maggiore era il pericolo e sovente hanno pagato di persona per la difesa di quegli ideali la cui 'realizzazione appare oggi quasi impossibile a raggiungersi. Gli indust 1 riali invece sfruttarono la scissione sindacale per dividere i lavoratori servendosi della parte democratica di questi per liquidare il comunismo co1ne potenza di disordine nelle -aziende. Oggi che tale obbiettivo ritengono raggiunto, gli industriali rito•rnano a ragionare e &d agire nei confronti di tutti i lavoratori con la primitiva e gretta mentalità classista. Tentazione del comunismo Talchè i lavoratori che aderirono in sempre maggiore numero alle tesi propugna te dalle forze demoC'ratiche sono tentati oggi di guardare di nuovo al comunismo con1e la unica valida 1nassa di urto contro il prepotere industriale. In pratica dobbian10 regi - strare nei confronti degli industriali: 1) il progressivo smantellamento dell'istituto delle Commissioni Interne alle quali. non si riconosce più alcun 645

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==