Lettere ai Lavoratori - anno I - n. 3 - 31 marzo 1952

Il lavoro a domicilio * Casa, non officina S ENZA rumore, quasi alla chetichella, si va estendendo un movimento di trasmigrazione del lavoro industriale dalle officine alle case. E' un fenomeno che merita invece di essere portato alla luce, reso noto e sbandierato perchè, se le sue dimensioni divenissero gradatamente maggiori, ci troveremmo dinanzi ad un equivoco e ad un danno. Ad un equivoco: quando noi sosteniamo contro il lavoro della fabbrica, il lavoro a domicilio come quello che non allontana la madre dal focolare e dai figli, e non obbliga la donna ali' asprezza e alla pesantezza di un ritm·o lavorativo tanto spesso nocivo alla sua salute. siamo mossi da una esigenza di speciale protezione. Ricordiamo anche che la legge per la tu tela fisica ed economica della lavoratrice maBib~56 ca Gino Bianco • MARIA FEDEBICI nata nel 1899. deputato democristiana, professoressa dre, alla quale demmo tanta appassionata attenzione, fu una legge nata dal bisogno di una speciale tu tela che è in relazione ai rischi del lavoro industriale. Non faremo, infatti, mai una legge per il lavoratore adulto tutta imperniata sul concetto di tutela. Ma l'equivoco nasce quando, per sfuggire a certi particolari oneri sociali, di gestione e fiscali, l'imprenditore consente che alcuni lavori di fabbrica si eseguanu a domicilio. Di solito, egli trova lieto accoglimento a questa sua trovata, che lo potrebbe autorizzare a dire: « Vedete, vengo incontro alle vo~tre richieste >. E invece no I Poichè rinasce,

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