Interrogations - anno VI - n. 17-18 - giugno 1979

R. GUIDUCCI L'autogestione viene, così, ad apparire, con chiarezza, come una variabile dipendente da una distribuzione sociale egualitaria del lavoro, delle attività, della politica e della cultura, in assenza di proprietà privata. In altre parole: senza distribuzione egualitaria dei compiti e dei lavori, non si può avere autentica autogestione. La controprova sta nel fatto, sociologicamente rilevabile, di attuazioni anche spinte di forme di autogestione, limitate alla base, in regimi rimasti autocratici nei centri partitici o statuali o in entrambi. Il potere qui è confermato, pressoché intatto, nei vertici; la divisione per classi o per strati è rimasta; l'eguaglianza non è affatto attuata; la libertà è condizionata; la giustizia è ancora arbitraria o persecutoria. Ed era quello che si voleva qui dimostrare. Concludo con due citazioni dall'interessante volume « I nuovi padroni» (ed. Antistato, 1978). Nico Berti afferma esattamente: « La divisione gerarchica del lavoro sociale risulta la struttura fondamentale della disuguaglianza», ed Amedeo Bertolo, altrettanto esattamente, ne deduce « che i dirigenti e gli aspiranti dirigenti di qualunque colore sono« nuovi padroni» attuali o potenziali; che l'emancipazione non si delega a nessuno, perché non la malafede o la debolezza dei compagni, ma il meccanismo oggettivo del potere è contraddittorio con l'emancipazione; che solo l'autogestione individuale e collettiva della lotta e della vita è mezzo e fine coerente e degno di una società senza servi e senza padroni». Al che mi permetto di aggiungere soltanto: la cessione di una parte anche piccola di uguaglianza lede la libertà, e la carenza di libertà e di uguaglianza genera l'ingiustizia. La storia potrebbe cominciare solo con la fine di ogni delega. 98

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