Interrogations - anno VI - n. 17-18 - giugno 1979

N. BERTI è sempre in bilico fra un esito riformistico ed un esito nonriformistico (non-riformistico che non vuol dire ancora rivoluzionario). L'autogestione, infatti, essendo espressione evidente di positività, essendo cioè diretta alla creazione più che alla negazione, per avere senso non può che essere immediatamente il prodotto di svariate forze sociali che inevitabilmente sono disarmate sul piano attivo dell'ideologia. L'autogestione sta perciò sotto la soglia dell'ulteriorizzazione rivoluzionaria. Delineandosi come una lotta per qualcosa, più che contro qualcosa, essa presenta appunto questa disponibilità all'esito riformistico. In effetti non esiste una storia della strategia autogestionaria della classe operaia che non si sia data sostanzialmente come partecipazione, come cogestione. Nei lunghi periodi di dominio del capitale e dello Stato, la classe operaia agisce in qualità di salariato: il sindacalismo è quindi l'espressione suprema di difesa e di resistenza di un punto di vista sostanzialmente subalterno. Nei brevi periodi di abbattimento o di crisi del capitale e dello Stato, la classe operaia agisce in qualità di produttrice: di conseguenza vi è una caduta pressoché verticale del sindacato, o una forte trasformazione dei suoi compiti e delle sue funzioni. In tutti i casi, nella prima ipotesi l'autogestione si pone come mera variabile dell'autosfruttamento operaio, mentre nella seconda si delinea come forma organizzativa generalizzata della società post-rivoluzionaria. Verrebbe quasi da dire così che l'autogestione sfugge in un certo senso alle categorie classiche del riformismo e della rivoluzione. A questo punto, come evitare che l'insuperabilità di questa differenza data dall'ulteriorizzazione rivoluzionaria si trasformi in oggettivo comando sullo sviluppo economicosociale? Come evitare, cioè che tra lotta rivoluzionaria e lotta sociale si stabilisca un rapporto gerarchico e che quindi la minoranza agente diventi minoranza dirigente? 3. Riassumendo le osservazioni precedenti, abbiamo detto che nell'anarchismo esiste una differenza fra la dimensione sociale e la dimensione ideologica, che questa differenza è insuperabile perché la dimensione ideologica emerge al fine di combattere il potere in quanto tale ed evitare la possibilità stessa di una sua riproduzione; che, dunque, la dimensione politico-ideologica ha un compito sostanzialmente negativo di nullificazione del potere più che di creazione di libertà; che, infine, appartenendo alla sfera della lotta rivoluzionaria, questa 82

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