Interrogations - anno VI - n. 17-18 - giugno 1979

A. BEATOLO trovare la via o le vie per arrivare alla rivoluzione nel modo più idoneo perché essa sia ipotizzabile come una fase accelerata del cammino dell'autogestione e non una fase accelerata di transizione da una forma di eterogestione ad un'altra. Già soffermandosi sul primo dei tre punti in cui ho schematizzato le indicazioni della rivoluzione spagnola, sorge un primo interrogativo: quanto vi era, nell'autogestione popolare, di spontaneità diciamo « naturale » e quanto di spontaneità costruita (o solo« liberata»?) da mezzo secolo di propaganda agitazione organizzazione libertaria? Perché è chiaro che, come ho già sottolineato, nel porsi dell'uomo nella società c'è ben poco di naturale (se non forse nulla, oltre all'istinto sociale stesso) e moltissimo di culturale. Perciò, affinché la rivolta degli schiavi diventi progetto autogestionario, affinché la lotta di classe diventi rivoluzione emancipatrice, bisogna che larghi settori delle classi sfruttate sviluppino una cultura - una volontà ed una capacità - autogestionaria, educandosi all'autodeterminazione individuale e collettiva. Bisogna che passività e dipendenza cessino di essere le caratteristiche psicologiche dei lavoratori. Bisogna che iniziativa e responsabilità cessino d'essere monopolio di ristrette élite. La formula « all'autogestione attraverso l'autogestione» esprime, oltre che un ovvia - quasi tautologica - coerenza interna, anche questa esigenza «auto-pedagogica». Come dice Felix Diaz sull'ultimo numero di « Bicicleta » (15, 1979), « non si dà un'organizzazione libertaria che non sia un'organizzazione pedagogica, se la pedagogia non attraversa tutti e ognuno dei suoi pori ». Non si educa alla libertà, ci si educa. Compito dei militanti che si riconoscono nel metodo autogestionario non è perciò quello di educare all'autogestione, ma di stimolare la creazione e la moltiplicazione di « situazioni» di autoeducazione, vale a dire forme d'azione diretta e di democrazia diretta, secondo un lessico che è proprio della tradizione libertaria, in cui si pratichi sin d'ora l'autogestione. gli spazi dell'autogestione L'autogestione delle lotte è stato non solo uno degF slogans più fortunati, ma forse anche la manifestazione più evidente della domanda d'autogestione dell'ultimo decennio, un po' dovunque. Dagli ambiti più tradizionali della lotta di classe, i luoghi di lavoro, ad ambiti nuovi o parzialmente nuovi, è salita e sale questa domanda, che è il rifiuto di essere usati dai dirigenti come truppa, come fonte peculiare del potere dei ge32

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