Interrogations - anno VI - n. 17-18 - giugno 1979

M. BOOKCHIN me paradigma dell'organizzazione della classe operaia e come scuola per l'umanizzazione del proletariato e per la sua mobilitazione come forza sociale rivoluzionaria. La tecnologia, perciò, costituisce un grave dilemma per la concezione libertaria dell'autogestione. Da dove ricaveranno i lavoratori - e, in genere, tutti gli oppressi: le donne, i giovani, gli anziani, i gruppi etnici, le comunità culturali - la soggettività necessaria allo sviluppo dell'individualità? Con quali tecnologie si può sostituire la mobilitazione gerarchica della forza lavoro nelle fabbriche? Infine, quali sono le componenti della « gestione » che comportano lo sviluppo di una vera, autentica competenza, di probità morale e di discernimento? La risposta a ciascuna di queste domande richiederebbe un libro intero. In questo articolo, mi limiterò a rispondere brevemente al secondo quesito; a prospettare, cioè, quali sono le nuove tecnologie, potenzialmente non gerarchiche, con le quali sarà possibile sostituire le fabbriche in una società anarchica. 4. La tecnologia non è un fatto « naturale » più di quanto lo siano i cibi trattati chimicamente di cui ci nutriamo e le bevande fermentate sinteticamente che beviamo. Lungi dall'essere una cosa fissa, immutabile, è potenzialmente uno dei modi più malleabili con cui l'uomo entra in rapporto « metabolico » con la natura. Le istituzioni, i valori e le formule culturali attraverso i quali l'uomo crea un rapporto « metabolico » con il mondo naturale sono spesso assai meno modificabili degli attrezzi e delle macchine che conferiscono loro una tangibilità materiale. La loro funzione « primaria » rispetto ai rapporti sociali, nonostante quello che affermano i teorici del determinismo tecnologico, non è altro che un mito. Sono immersi, invece, in un universo sociale di interazioni, bisogni, volontà e interazioni umani. La fabbrica fa mostra di questa sua dimensione sociale come per vendetta. La sua comparsa nel mondo non fu determinata da fattori puramente meccanici, ma organici. Essa costituisce un mezzo per razionalizzare il lavoro, non per attrezzarlo con nuovi strumenti. Se ciò viene pienamente compreso, la fabbrica cessa di godere di quell'autonomia che le era stata attribuita da Engels e dai suoi accoliti. Sarà il « regno dei bisogni » solo finché ci saranno bisogni che ne giustifichino l'esistenza. Questi bisogni, tuttavia, non hanno una natura esclusivamente 226

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