Interrogations - anno VI - n. 17-18 - giugno 1979

. T~CNOLOGIA tà, proprio il regno dei bisogni materiali - della libertà. E' una scuola gerarchica, di obbedienza e di comando, non rivoluzionaria e liberatoria. Riproduce in ogni momento, in ogni ora, il servilismo del proletariato, e non il suo slancio rivoluzionario di portata storica. Non impedisce certo che venga ridotto ad oggetto, ma anzi attenta alla sua individualità, alla sua capacità di trascendere i bisogni. Di conseguenza, visto che l'autodeterminazione, l'iniziativa autonoma e l'individualità sono l'essenza stessa della « dimensione della libertà», esse devono essere negate alla « base materiale» della società, per trovare presumibilmente un'affermazione solo nelle sue «sovrastrutture» - almeno fino a quando la fabbrica e le tecniche della produzione capitalista saranno concepite esclusivamente dal punto di vista tecnico, come elementi connaturali alla produzione. Dobbiamo presumere, poi, che questo regno disumanizzante dei bisogni - vagliato da un'« autorità imperiosa» - possa in qualche modo elevare e accrescere la coscienza di classe dél lavoratore disumanizzato, trasformandola in una coscienza sociale universale; e che questo operaio, spogliato e privato di ogni individualità da una vita di quotidiano lavoro, possa in qualche modo recuperare l'impegno e la competenza sociali necessari a un processo rivoluzionario su vasta scala e alla costruzione di una società veramente libera, fondata sull'autodeterminazione nel senso più vero del termine. Infine, dobbiamo pensare che questa società libera possa eliminare la gerarchia da una parte, mentre la conserva« imperiosa» da un'altra. Portato alla sua logica estrema, il paradosso assume proporzioni assurde. La gerarchia, come una tuta da lavoro, diventa un indumento di cui ci si sveste nel « regno della libertà », per tornare ad indossarlo nel « regno dei bisogni». Come un'altalena, la libertà oscilla nel punto in cui poniamo il fulcro sociale - magari al centro della tavola in una determinata « fa. se » della storia, o più spostata verso l'una o l'altra estremità in un'altra« fase», ma sempre in modo che la misura sia sempre rapportabile alla « giornata lavorativa ». Questo fatale paradosso è comune al comunismo non meno che al sindacalismo. Ciò che redime quest'ultimo è l'implicita consapevolezza - assai esplicita, invece, nelle opere di Charles Fourier - della necessità di privare la tecnologia del suo carattere gerarchico e grigio, monotono, per poter creare una società libera. Nelle dottrine sindacaliste, tuttavia, questa consapevolezza è spesso distorta dall'accettazione della fabbrica come infrastruttura della nuova società all'interno della vecchia, co225

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