TEORIA DEI BISOGNI struttura e della personalità, che hanno trionfato nel XX secolo, vengono sostituiti da un concetto relativistico e culturale dell'agire economico. Dalle osservazioni fin qui fatte si può dedurre a contrario che nella grande impresa un'autogestione effettiva è difficilmente attuabile. Da un punto di vista teorico non può essere che così, non solo per le obiettive difficoltà di applicarvi i principi fondamentali del self-management, ma perché la grande impresa sconvolge con il suo stesso esistere l'equilibrio del territorio ed altera i rapporti tra le componenti umane che vi sono insediate. Essa si può giustificare con l'esigenza di soddisfare certi bisogni di massa, ma va considerata come un fattore produttivo sostanzialmente eccezionale e non coerente con i principi-base dell'autodeterminazione e della partecipazione (14). Un ente che tende a piegare alle proprie esigenze tutte le attività sociali, che produce concentrazioni umane innaturali, non può che essere considerato residuale in una società che si proponga di favorire realmente le possibilità di sviluppo esistenziale degli individui. Tra i suoi difetti, uno è fondamentale: di identificarsi continuamente con gli interessi generali, mentre in realtà tutela solo certi interessi, soprattutto i propri. Galbraith lo ha detto chiaramente: la grande impresa tende a trasformare qualsiasi decisione esterna in decisione interna, a sopprimere il mercato mediante il monopolio, a creare bisogni artificiali imponendoli ai consumatori per assicurarsi la con- (14) In termini analoghi sembra concepirla André Gorz, che scrive: « Supponete ... che la grande industria, pianificata e centralizzata, si limiti a produrre solo il necessario: quattro o cinque modelli di scarpe e di abiti che durino, tre modelli di automobili robuste e trasformabili, più tutto il necessario per gli equipaggiamenti di servizi collettivi. E' impossibile questo in economia di mercato? Sì. Sarebbe la disoccupazione massiccia? No: la settimana di venti ore purché si cambi il sistema. Sarebbe l'uniformità, sarebbe il grigiore? No, poiché supponete ancora questo: ogni quartiere, ogni comune disporrebbe di officine aperte giorno e notte, fornite il meglio possibile di ogni sorta di utensili e di macchine, dove gli abitanti, individualmente, collettivamente o in gruppi, produrrebbero per se stessi, fuori mercato, il superfluo secondo i propri gusti ed i propri desideri. Poiché non lavorerebbero che venti ore settimanali (e forse meno) per produrre il necessario, gli adulti avrebbero tutto il tempo per imparare ciò che i bambini imparerebbero a loro volta alla scuola primaria: lavorazione dei tessuti, del cuoio, del legno, della pietra, dei metalli, elettricità, meccanica, ceramica, agricoltura ... », Ecologie et politique, Paris 1975, trad. it. Cappelli Nuova Cappelli, Bologna 1978, p. 39. 143
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