Le relazioni e le comunicazioni presentate al convegno internazionale di studi sulla tecnoburocrazia organizzato da lnterrogations e dal Centro Studi Libertari (Venezia, 25-27 marzo '78) 512 pagine / 6.000 lire EDIZIONI ANTISTATO, cas. post. 3246, MILANO
interrogatiuns rivista internazionale di ricerche anarchiche internatlonal review of anarchist research revue internationale de recherche anarchlste revista internacional de investigaci6n anarquista 17-18 giugno / june / juin / junio 1979 Amedeo Bertolo / La gramigna sovversiva / p. 9 Olivier Corpet / Leggere l'autogestione / p. 38 Eduardo Colombo / Lo spazio ideologico dell'autogestione / p. 60 Nico Berti / Per una lettura storico-ideologica dell'autogestione / p. 77 Roberto Guiducci / Autogestione e divisione del lavoro / p. 91 Albert Meister _/ Self-management e autogestione nella formazione e nell'industria / p. 99 Luciano Lanza / Autogestione ed economia / p. 107 Gian Paolo Prandstraller / La teoria del bisogni nell'impresa autogestita / p. 135 José Elizalde / L'autogestione in Spagna, oggi/ p. 154 Gustave Joyeux / La fuga autogestionaria / p. 175 Michele La Rosa / Società tardo-capitalistica, mutamento e autogestione / p. 185 René Lourau I Autogestione e istituzioni / p. 195 Murray Bookchin / L'autogestione e la nuova tecnologia / p. 211 Summaries / Résumés / Resumenes / p. 231 1
INTERROGATIONS 1979 due numeri doppi deux numéros doubles two double issues dos numeros dobles prezzo 3.000 lire / prix 20 francs f. / precio 250 pesetas / price 2 uk pounds / or the equivalent in the country currency of 4 u.s. dollars amministrazione e redazione / administration et redaction / management and editi"ng / administraci6n y redaci6n: EDIZIONI INTERROGATIONS via G. Reni 96/6 10136 TORINO - Italia pagamenti / payments / versements / pagos: Roberto AMBROSOLI via A. Vespucci 41 bis 10129 TORINO - Italia c.c.p. 2/18534 promozione e coordinamento vendite nelle librerie italiane: S.E.D.I.T. via U. Foscolo 41 50124 FIRENZE tel. 055/2298420 stampa: Officine Grafiche Sabaini - Milano direttore respons.: Paolo Finzi iscrizione al trib. di Torino n. 2683 dell'1.4.1977
Ed ecco la « nuova » lnterrogations. Doppia di volume, monografica come contenuti, tutta in italiano. Sempre internazionale, come si può vedere, quanto a collaborazione ed interessi e taglio culturale, nonostante l'italianizzazione linguistica. Sempre anarchica, naturalmente, ma come sempre aperta a quanti, intellettuali o militanti, pur non richiamandosi esplicitamente all'anarchismo condividono le nostre inquietudini e la nostra volontà di lucidità. In questo numero pubblichiamo una dozzina di contributi al dibattito preparatorio del convegno internazionale di studi sull'autogestione (Venezia, 28-30 settembre 1979), promosso e organizzato da Interrogations e dal Centro Studi Libertari di Milano, e tra essi vi sono studi di matrice culturale anarchica ma anche marxista-libertaria e liberal-socialista. Questi contributi ed altri, già pubblicati o in via di pubblicazione su altre riviste libertarie, costituiscono la base di discussione su cui si articoleranno i lavori del convegno. Indipendentemente da ciò, essi rappresentano comunque un apporto non indifferente all'impostazione e ad un primo approfondimento d'una tematica centrale per il pensiero libertario contemporaneo. Cogliamo l'occasione per ripresentarci, nella speranza che la nuova formula di Interrogations guadagni un'ampia area di nuovi lettori che non ci hanno seguiti nei primi quattro anni di vita, due di redazione parigina e due di redazione italiana. Scrivevamo, nella presentazione del primo numero di Interrogations: « Definire ciò che questa rivista intende come proprio compito, ci riporta ad elencare ciò che manca, in questa fine del ventesimo secolo, al pensiero libertario ( ...) Si tratta di uno sforzo di lucidità. Uno sforzo che deve portare in primo luogo alla verifica ed all'estensione delle tesi anarchiche sul ruolo dello stato e sulla formazione di una nuova classe dominante, due fenomeni strettamente connessi. Questo aggiornamento non può concepirsi senza studi paralleli sui mutamenti e la valorizzazione delle forze, organizzazioni, esperienze e tentativi che, in ogni parte del mondo si oppongono alla marcia verso la centralizzazione, verso la riduzione degli esseri umani a materia prima (manodopera o soldati) e rifiutano la folle corsa alla potenza ed al potere». Le ambizioni con le quali siamo partiti erano commisurate alle necessità. I sedici numeri sinora pubblicati hanno dato la misura delle nostre capacità e delle nostre possibilità, che non possono evidentemente che corrispondere in piccola parte alle esigenze del movimento libertario, quanto a studi ed analisi del presente atti ad intervenire efficacemente nelle evoluzioni e nelle trasformazioni sociali. Tuttavia siamo anche certi che di quel necessario lavoro intellettuale la nostra rivista sia stata e sia uno strumento importante, di stimolo e di collegamento. Per questo facciamo tutto il possibile per mantenere in vita Interrogations, stretta quasi mortalmente dalle difficoltà economiche. Per questo stiamo sperimentando questa nuova formula (semestrale, monografica, in italiano) nella speranza di allargare la diffusione a sufficienza da coprire i costi. La formula precedente, soprattutto il quadrilinguismo, s'era rivelata letale per la diffusione. Anziché soddisfare quattro aree linguistiche non ne soddisfaceva neppure una, riducendo la sua circolazione a poco più di un migliaio di lettori, sparsi qua e là, capaci di affrontare tematiche e trattazioni impegnative in lingue diverse dalla propria. Troppo pochi, a parere nostro e non solo nostro, per l'interesse del materiale pubblicato e troppo pochi, soprattutto, per coprire i costi, a meno di alzare 3
spropositatamente i prezzi. Ecco perché abbiamo deciso di soddisfare almeno l'area linguistica italiana (che comprendeva già la maggior quota di lettori), sforzandoci nel frattempo di fare circolare gli studi e le ricerche anche nelle altre aree linguistiche. Già parte di questo numero apparirà in spagnolo, su un numero speciale della rivista « Bicicleta ». Già stiamo prendendo accordi per la pubblicazione parziale del prossimo numero ( « dissenso / consenso / repressione ») in francese e spagnolo ... So here's the « new » Interrogations. Twice as long, with its contents on one theme, and entirely in Italian (the French, English and Spanish summaries are gathered together, for tecnica! reasons, in the back of the magazine). Still international, as can be seen, as regards contributors, concerns and cultura! style, despite the Italianization in language. Stili anarchist, of course, but as always open to those, intellectuals or militants, who share our appresensions and our desire for clarity, whilst not adopting an explicitly anarchist position. In this number we are, in fact, publishing a dozen contributions to the preliminary discussions Jeading into the international study-conference on self-management (Venice, 28-30 September 1979) promoted and organized by Interrogations and the Centro Studi Libertari of Milan. Amongst them there are studies from an anarchist cultura! matrix but also from marxist-libertarian and liberal-socialist ones. These essays and others, already published or in process of being published in other libertarian magazines, constitute the base of discussions on which the work of the conference will build. Independently of that fuction, however, they represent a not unimportant contribution to the out lining and to an initial deepening of a theme centrai to contemporary libertarian thought. We are taking this opportunity to present ourselves again in the hope that the new format of lnterrogations may gain us a broad area of new readers who have not been following us in our first four years, two edited in Paris and two in Italy. In the presentation of the first number of Interrogations we wrote: « To define what this magazine intends its proper task to be brings us back to a listing of what is lacking, in this final quarter of the twentieth century, in libertarian thought ( ... ) The question is one of an effort to attain clarity, lucidity. An effort which must, in the first piace, be brought to bear on the verification and extension of anarchist theses on the role of the state and on the formation of a new ruling class, two closely connected phenomena. This updating cannot proceed without parallel studies on the mutations of society (... ) In a word, what we intend is to make known and to make use of the forces, organizations, experiences and endeavours which oppose themselves, throughout the world, to the movement towards centralizations, towards the reduction of human beings to raw materiai (labour force or armed force) and reject the mand scarble for might and power ». The ambitions we started out with were set according to necessities. The sixteen numbers so far published bave given the measure of our capacities and of our possibilities, which can obviously only match up in small part to the exigencies of the libertarian movement in the matter of studies and analyses of the present enabling effective parti4
cipation in the evolutions and transformations of society. Nevertheless we are still convinced that in this necessary intellectual work our magazine has been and is an important instrument of stimulus and liaison. For this reason we are doing everything possible to keep Interrogations, almost throttled by economie difficulties, alive. That is why we are experimenting with this new format (six-monthly, monographic, in Italian) in the hope of enlarging circulation sufficientily to cover cost. The previous format, above all the four-language aspect, has re- , vealed itself to be lethal as far circulations is concerned. Far from satisfying four language areas, it did not even satisfy one, reducing circulation to little more than a thousand readers, scattered here and there, capable of broaching demanding themes and treatments in languages not their own, Too few, in our opinion and not only ours, given the interest of the materia! published, and too few, above all, to cover cost without an excessive price rise. That is why we have decided to satisfy at least the Italian language area which already comprised the largest quota of readers), in the meantime trying our best to get the studies and researches circulated in the other language areas too. Already part of this number will appear in Spanish, in a special number of the magazine. « Bicicleta », and some writings in French on « Les Raisons de la Colére ». We are already making arrangements for the partial publication of the next number ( « dissenti consensus/repression ») in French and Spanish ... Voci Interrogations sous sa nouvelle forme. Un volume double, un thème monographique, des textes en italien seulement (pour des raisons techniques, les résumés en français, anglais et espagnol sont réunis en fin de volume). La revue est toujours internationale, comme on le verra, par les collal:>orateurs, les intérets, la manière, malgré son « italianisation ». Toujours anarchiste, naturellement, mais comme toujours ouverte à ceux, intellectuels ou militants, qui ne se réclament pas explicitement de l'anarchisme mais partagent nos inquétudes et notre volonté de lucidité. Le présent numéro contient une douzaine de contributions au débat préparatoire à la conférence internationale sur l'autogestion (Venise, 28-30 septembre 1979), organisée sous l'égide d'Interrogations et du Centro Studi Libertari de Milan. Parmi ces textes, certains ont une orgine anarchiste, d'autres marxiste-libertaire ou libéral-socialiste. Avec les autres contributions déjà publiées ou à paraitre dans d'autres revues libertaires, ils forment la base de discussion sur laquelle s'organiseront les travaux de la conférence. Indèpendamment de celle-ci, ces travaux représentent µn apport non négligeable à la problématique et à l'approfondissement d'un thème centra! pour la pensée libertaire contemporaine. Nous saississons l'occasion pour nous présenter à nouveau, pour les lecteurs qui n'auraient pas sauvi les quatre premières années de la vie d'Interrogations, avec une rédaction d'abord par:isienne puis italianne. La présentation du premier numéro disait: « Définir ce que la revue entend comme tàche propre revient donc à énumérer ce qui manque en cette fin du XXe siècle à la pensée libertaire (... ) Il s'agit d'un douloureux effort de lucidité. Effort qui doit porter en premier lieu sur la vérification et le prolongement des thèses anarchistes sur le ròle de 5
l'Etat et sur la formation d'une classe dirigeante nouvelle, les deux phénomènes étant étroitement associés. Cette mise à jour n e peut se concevoir sans des études parallèles portant sur les mutatio ns sociétaires. ( ... ) Enfin, c'est la connaissance et la mise en valeur des forces et organisations, expériences et tentatives qui, de par le mo nde, s'opposent à la marche vers la centralisation, vers la réduction des etres humains à l'état de matière première (main-d'ouvre ou combattants), et refusent la course folle vers la puissance et le pouvoir ». Nos ambitions de départ se mesuraient aux nécessités. Les seize numéros parus à ce jour ont donné la mesure de nos capacités et de nos possibilités, qui ne correspondent évidemment que pour une faible mesure aux exigences du mouvement Iibertaire, sous forme d 'études et d'analyses du monde actuel pour servir à une intervention efficace sur l'évolution sociale. Quoi qu'il en soit, nous sommes certains que notre revue a été et reste un instrument important pour stimuler et r assembler ce travail intellectuel nécessaire. C'est pourquoi nous faiso ns notre possible pour garder en vie Interrogations, que !es difficultés économiques ont failli mettre à mort. C'est pourquoi nous expérimentons cette nouvelle formule (semestrielle, monographique, en italien) pou r essayer d'amortir le cout par la dilfusion. En elfet, la formule précédente était presque impossible à diffuser en raison des quatre langues de rédaction. En outre, vouloir satifai re quatre régions iinguistique équivalait à n'en satisfaire aucune, à réduire la distribution à un millier de lecteurs éparpillés de par le monde, capables d'affronter des thèmes et des réflexions en langue étrangère. Trop peu, à notre avis, trop peu pour l'intéret du matériel produit, trop peu enfin pour couvrir !es couts à moins d'un prix de vente prohibitif. C'est porquoi nous avons décidé de contenter au moins la région de langue italienne, celle où ce recrutaient déja le plus grand nombre de lecteurs, et de faire circuler par d'autres voies !es étud es et les recherches dans d'autres langues. Une partie de ce numéro est déjà annoncée en espagnol, dans un numéro spécial de la revue Bicicleta. Des articles paraitront en français dans Les Raisons de la Colère. Pour le prochain numéro (sur la dissidence, le consensus, la ré pression), des contacts se prennent pour des éditions française et espag nole ... He aqui una « nueva » Interrogations. De volumen doble, de tema monografico y de texto en italiano solamente (por razones técnicas, los resumenes en espafiol, francés e inglés aparecen al fi nal de la revista). Sigue siendo internacional, corno puede verse, por sus colaboraciones, por los temas y por su tenor cultura!, pese a su italianizaci6n linguistica. Continua siendo anarquista, por supuesto, p ero sigue corno antes, abierta a cuantos, investigadores o militantes, no pretenden ser especfficamente anarquistas pero comparten nuestras inqu ietudes y nuestro afan de Iucidez. En e! presente numero figura una docena de trabajos destinados al debate preparatorio de la conferencia internacional sobre autogesti6n (Venecia, 28-30 de septiembre de 19 79), patrocinada y organizada por Interrogations y por el Centro de Estudios Libertarios de Milan. Entre esos textos, algunos tienen un orige n cultura! anarquista, otros un origen marxista-libertario y otros liberal-socialista. Estos articulos, junto con otros ya publicados o en vias de p ublicaci6n en otras revistas libertarias, forman la base de las discusiones sobre las 6
que se estructuraran las tareas de la conferencia. Aparte de ello, representant asimismo una aportaci6n nada desdeiiable al planteamiento y al esclarecimiento de un tema centrai del pesamiento libertario contemporaneo. Aprovechamos la ocasi6n para presentarnos de otra vez, con la esperanza de que la nueva formula de Interrogations ganara un nuevo sector de lectores que no habian seguido los cuatro primeros aiios de vida de la revista, dos de redacci6n parisina y dos de redacci6n italiana. Deciamos, en el primer numero de Interrogations: « Definir lo que la revista entiende por funci6n propia equivale a enumerar todo lo que le falta al pensamiento libertario en este final del siblo XX ( ... ) Es un doloroso esfuerzo de lucidez, un esfuerzo que debe versar ante todo sobre la verificaci6n y la prolongaci6n de las tesis anarquistas acerca de la funci6n del Estado y de la formaci6n de una nueva clase dirigente, fen6menos ambos estrechamente relacionados entre si. Esta actualizaci6n no se puede imaginar sin estudios paralelos sobre las mutaciones sociales (. .. ) Por ultimo, se trata de estudiar y dar a conocer fuerzas y organizaciones, experiencias y tentativas que, en todo el mundo, se oponen a la marcha hacia la centralizaci6n, haçia la reducci6n del ser humano al estado de materia prima - mano de obra o soldé!dos - y que rechazan la loca carrera por el poder ». Nuestras ambiciones iniciales estaban a la medida de las necesidades. Los dieciseis numeros aparecidos hasta la fecha han estado a la medida de nuestras posibilidades, que por cierto s6lo corresponden en pequeiia medida a las exigencias del movimiento libertario; en ellos han aparecido estudios y analisis de la actualidad encaminados a interyenir eficazmente en la evoluci6n socia!. Sea lo que fuere, estamos seguros de que nuestra publicaci6n ha sido y sigue siendo un instrumento importante para suscitar y recoyer opiniones. Por eso hacemos cuanto esta a nuestro alcance para mantener en vida a Interrogations, casi asfixiada por dificultades econ6micas. Por esta raz6n vamos a experimentar nuestra nueva formula (semestral, monografica, en italiano) con el fin de cubrir los gastos gracias a una mayor difusi6n. La formula precedente habia resultado de imposible difusi6n, debido sobre todo al hecho de estar redactad11 la revista en cuatro lenguas. Querer satisfacer cuatro areas Jingufsticas equivalia finalmente a no satisfacer ninguna y a reducir la distribuci6n a un millar de lectores, dispersos por el mundo y mas o menos capaces de afrontar temas y reflexiones en lenguas extranjeras. Demasiados pocos, a nuestro parecer, respecto del interés del materiai publicado y demasiados pocos, desde luego, para cubrir los costos, a menos de subir desorbitadamente el precio de la publicaci6n. Por eso hemos decidido satisfacer por lo menos el area de lengua italiana (que es la que tenia ya mayor numero de lectores), esforzandonos al mismo tiempo por hacer circular los estudios y las investigaciones en otros idiomas. Parte del presente numero ha de aparecer en espafiol en un numero especial de la revista Bicicleta. Otros articulos se publicaran en francés en Les Raisons de la Colère. Tenemos ya contactos para la edici6n en espafiol y en francés de p'arte de nuestro pr6ximo numero, dedicado al tema « disenso-consenso-represi6n ». 7
E NE ONE IONE A TIONE AU STIONE AUT ESTIONE T AUTOGESTIONENT UTOGESTIONENT T8GESTIOMENT GESTIEMENT GESTGEMENT S GESAGEMENT SE GENAGEMENT SEL GANAGEMENT SELFMANAGEMENT ELFMANAGEMEN LFMANAGEME FMANAGEM MANAGEN MANAGON MANAION A MANTION AU MASTION AUT MESTION AUTOGESTION UTOGESTIO TOGESTI OGEST GES GE G convegno internazionale di studi sull'autogestione conférence internatlonale d'études sur l'autogestlon lnternational conference of studies on selfmanagement encuentro internaclonal de estudlos sobre la autogestion Venezia 28-30 settembre 1979 Aula Magna della Facoltà di Architettura segreteria: centro studi libertari, v.le monza 255, milano 20126, tel. 25.74.073 8
Lagramignasovversiva Note di anarchismo in salsa autogestionaria e di autogestione in salsa anarchica. AMEDEO BERTOLO (*) La tentazione è forte per l'anarchico: l'autogestione è una parola nuova per una cosa vecchia, anzi per diverse cose vecchie, poiché anche questa parola, come quasi tutte le parole del vocabolario economico politico sociale, può significare più di una cosa. Nel suo significato più ampio,« estremistico», autogestione è sinonimo, se non d'anarchia, almeno di autogoverno (un termine del vecchio lessico anarchico). E' quanto sostiene, ad esempio, Ohyamburu ( 1) che, confrontando le enunciazioni degli « autogestionisti » con il pensiero anarchico e con le realizzazioni anarchiche, rileva come il movimento autogestionario non solo riprenda la maggior parte dei temi libertari ma addirittura a volte li enunci parola per parola. Del resto il termine jugoslavo samo-upravlje, dalla cui traduzione all'inizio degli anni '60 è «nata» la parola autogestione, ci sembra una variante serbo-croata del russo samo-upravlenija già usato da Bakunin, che può tradursi sia come auto-amministrazione sia come autogoverno, appunto. (*) Redattore di « Interrogations » e responsabile del Centro Studi Libertari « G. Pinelli ». (1) Data la natura di questo scritto, che espone un filo di pensiero non ancora del tutto sgrovigliato, trascrivendo alcune riflessioni sorte come « reazione chimica » dall'incontro tra il mio anarchismo e la variegata / monotona / ricca / contraddittoria / stimolante / irritante / originale / ingannevole / libertaria / cripto-autoritaria cultura dell'autogestione, ho di proposito evitato note di riferimento bibliografico. Indico qui di seguito i libri che in una lettura un po' disordinata hanno accompagnatò le mie riflessioni: P. Bellasi, M. La Rosa, G. Pellicciari (a cura di), Fabbrica e società, Autogestfone e partecipazione operaia in Europa, Angeli, Milano 1974; A. Bonanno, Autogestione e anarchismo, La Fiaccola, Ragusa 1975; M. Bookchin, Post-Scarcity Anarchism, Ramparts, Berkeley, 1971; Y. Bour9
A. BERTOLO Nel suo significato più ridotto, autogestione è sinonimo di cogestione, cioè di partecipazione subalterna dei lavoratori, cioè di collaborazione interclassista, cioè di truffa. E tra l'uno e l'altro polo c'è tutta la possibile sfumatura intermedia di significati e di scelte teorico-pratiche del socialismo, da quello libertario a quello autoritario e da quello rivoluzionario a quello riformista. E' forte dunque la tentazione di liquidare l'argomento, soprattutto di fronte all'uso inflazionato e/o mistificante del termine, che non può non irritare (c'è la vacanza «autogestita» offerta da un'agenzia turistica, c'è la propaganda elettorale televisiva « autogestita » dai partiti...). Eppure noi crediamo che dietro il successo della parola vi sia qualcosa di più e di più importante di una ennesima mistificazione e di un furbesco recupero, sotto nuova terminologia, della tradizione anarchica. Lo stesso sforzo di mistificazione e lo stesso tentativo di recupero sono in sé già significativi di una « domanda » sociale cui si rivolgono la mistificazione ed il recupero. una domanda di anarchia Il fatto è che l'autogestione è stata innanzitutto una rivendicazione ed una pratica sociale largamente diffuse nel corso dell'ultimo decennio. Il boom dell'autogestione è forse il fenodet, Teoria politica dell'autogestione, Nuove Edizioni Operaie, Roma, 1977; Y. Bourdet, Per l'autogestione. Analisi e prospettive, Moizzi, Milano 1976; Y. Bourdet, L'espace de l'autogestion, Galilée, Parigi 1978; P. Clastres, La società contro lo stato, Feltrinelli, Milano 1977; F. Crespi, Teoria sociologica e socializzazione del potere, Angeli, Milano 1974; M. Drulovic, La democrazia autogestita, Editori Riuniti, Roma 1977; P. Flecchia, La cultura della viltà, Emme, Milano 1978; R. Guiducci, La diseguaglianza tra gli uomini, Rizzoli, Milano 1977; R. Guiducci, Un mondo capovolto, Rizzoli, Milano 1979; M. La Rosa, M. Gori (a cura di), L'autogestione. Democrazia politica e democrazia industriale, Città Nuova, Roma 1978; G. Lapassade: L'autogestione pedagogica, Angeli, Milano 1973; R. Lourau, L' Etat inconscient, Minuit, Parigi 1978; R. Massari, Le teorie dell'autogestione, Jaca Book, Milano 1974; Noir et Rouge, Lo stato, la rivoluzione, [autogestione, La Fiaccola, Ragusa 1974; P. Oyhamburu; La revanche de Bakounine ou de l'anarchisme a l'autogestion, Entente, Parigi 1975; G. P. Prandstraller, Felicità e società, Comunità, Milano 1978; O. Rosanvallon, L'età dell'autogestione, Marsilio, Venezia 1978; E.F. Schumacher, Il piccolo è bello, Moizzi, Milano 1977; L. Tomasetta, Partecipazione e autogestione, Il Saggiatore, Milano 1972; J.F. Turner, L'abitare autogestito, Jaca Book, Milano 1978; R. Villetti (a cura di), Socialismo e divisione del lavoro, Mondoperaio, Roma 1978.
GRAMIGNA SOVVERSIVA meno culturale più importante di questo dopoguerra dal punto di vista anarchico. E per fenomeno culturale non intendo tanto il fiorire di scritti sull'autogestione, che credo più effetto che causa del boom, quanto il moltiplicarsi di comportamenti autogestionari nel conflitto sociale, a partire soprattutto dal '68, ma già preannunciati negli anni precedenti. Una crescente volontà di autodeterminazione individuale e collettiva s'è andata manifestando (talora in modo netto, più spesso in forma confusa e contraddittoria, ma sempre « leggibile ») in mille modi: dalle comuni hippies all'occupazione di fabbriche, dalle lotte studentesche al movimento femminista, dal rifiuto della delega alla ricerca di diversi rapporti interpersonali ... Tra l'« on fabrique, on vendes, on se paye » della LIP e « il corpo è mio e lo gestisco io» c'è continuità, c'è appunto la multiformità di questa domanda sociale di autogestione a tutti i livelli che si traduce in una destrutturazione del potere in tutti i macro e microsistemi in cui il potere si manifesta: dalla famiglia allo stato, passando per la fabbrica, il quartiere, la scuola, l'ospedale, il sindacato, il partito ... Rifiuto del potere o richiesta di potere? I riformisti e i rivoluzionari autoritari preferiscono qualificare questa domanda sociale come domanda di potere: ma è ancora potere quello che non vuole essere facoltà di « comandare ed essere obbedito», bensì facoltà di decidere autonomamente? L'aspirazione autogestionaria ci pare piuttosto il corrispettivo libertario in termini di potere di quello che è l'aspirazione socialista egualitaria in termini di proprietà. Essa cioè richiede una socializzazione del potere. Ora, un potere socializzato, vale a dire non concentrato in ruoli sociali determinati (e perciò in individui e classi dominanti), ma diffuso in tutto ii corpo sociale e nelle sue articolazioni come funzione universale ed eguale, può corrispondere ad una buona approssimazione di anarchia. Se non all'anarchia-assenza-di-potere (concetto limite come le forme geometriche), per lo meno a quel compromesso dinamico tra il modello ideale ed i vincoli dei contesti materiali e culturali dati che potremmo chiamare anarchia possibile. Ma un potere socializzato può essere anche inteso, all'opposto, come abominevole strumento di controllo autoritario onnipresente, in cui il potere diviene una funzione universale seppur diseguale (graduata dal vertice alla base), in una sfumatura continua che coinvolge tutti in ruoli di oppressione reciproca. Brrrr ...
A. BERTOLO mezzo, fine o metodo? Un serio ed approfondito approccio alla tematica autogestionaria configura due possibili - e, a mio avviso, fondamentali - utilità per gli anarchici: 1) riflettere sui contenuti e sulle forme più avanzate (in termini egualitari e libertari) assunte dal conflitto sociale contemporaneo e nello stesso tempo sulle risposte date dalle classi dominanti; 2) riflettere sui problemi dell'anarchia possibile, vale a dire sui problemi della ricostruzione sociale, della ristrutturazione globale del tessuto comunitario secondo modi non gerarchici. Credo cioè che il dibattito sull'autogestione sia un'occasione importante per gli anarchici. Se la domanda di autogestione è in certa misura una « domanda d'anarchia », bisogna non aggiungere un paio di slogan al nostro repertorio di parole d'ordine, ma trarne indicazioni per il nostro agire. Se sociologi, economisti, filosofi, psicologi, pedagogisti, urbanisti vanno utilizzando in chiave autogestionaria un approccio quasi-anarchico alle scienze umane e proponendo soluzioni quasi-anarchiche ai problemi sociali, non basta felicitarsi del fenomeno e tantomeno rivendicare la priorità di quel metodo, bisogna lavorare seriamente per riproporci come credibile punto di riferimento culturale libertario qui e oggi.. Se politicanti e burocrati e tecnocrati blaterano d'autogestione o peggio ne vanno realizzando ed elaborando versioni parziali e distorte, è inutile gridare « al ladro! », dobbiamo demistificare il loro gioco con argomentazioni convincenti e con lotte esemplari. L'autogestione non deve essere, beninteso, un semplice pretesto per dare una « rinfrescata » al nostro « bell'ideale ». Si tratta, ben altrimenti, di operare per un vero e proprio aggiornamento del nostro bagaglio culturale e di operare nel modo più utile, cioè 1) a partire da istanze reali e non solo da una nostra esigenza individuale e/o di movimento, 2) organizzando la nostra riflessione attorno ad un concetto che ci richiama cos,tantemente alla concretezza delle forme organizzative. Con questo non voglio dire che tutto il lavoro teorico-pratico di ridefinizione del progetto anarchico sia riconducibile semplicisticamente alla categoria autogestione. Il concetto di autogestione in sé non può assolutamente sostituirsi alla ricchissima problematica dei fini e dei mezzi dell'anarchismo, che si alimenta di una vasta gamma concettuale d'ordine etico, estetico, scientifico ... 12
GRAMIGNA SOVVERSIVA In realtà l'ambito proprio dell'autogestione non è né quello dei fini, né quello dei mezzi, diversamente da quanto potrebbe apparire, di volta in volta, da singole manifestazioni di essa nel conflitto sociale, ma l'ambito intermedio del metodo, l'ambito dei rapporti tra i fini ed i mezzi. Anche se partecipa degli uni e degli altri, cioè, l'autogestione non è né un fine (o una somma di fini), né un mezzo (o una somma di mezzi), ma un modo di ricercare e di esprimere la coerenza tra questi e quelli, in termini organizzativi e con riferimento sia alla critica teorico-pratica dell'esistente sia alla proposta di strutture sociali alternative. Definire l'autogestione come metodo organizzativo può apparire riduttivo. In realtà vuol dire attribuirle un'importanza centrale. Significativamente, le grandi fratture in seno al movimento socialista si sono verificate non sui fini, che apparivano gli stessi, ma sul metodo: sulla scelta dei mezzi e sulla loro coerenza con i fini. Definire l'autogestione come metodo significa anche negarle la neutralità di una semplice tecnica, buona a tutti gli usi, per attribuirle una funzionalità specifica rispetto ai valori, ad essa congrui, di libertà e di uguaglianza. fra teoria e pratica sociale L'autogestione intesa come fine mi sembra derivare da (e/o portare a) una concezione terribilmente limitata e limitativa della società e dell'uomo. L'autogestione intesa come mezzo si presta a usi mistificanti, si lascia inserire, in forma di decentramento di quote più o meno insignificanti di potere, in nuovi sistemi tecnoburocratici « partecipati ». L'una e l'altra possono dar luogo a nuove oscene forme di «interiorizzazione» del potere, cioè ad un autocontrollo « indotto », ad una autodisciplina « pilotata» in una società gerarchica, cioè ad un autosfruttamento, ad un dominio «consensuale». Viceversa, concepita come metodo, con una collocazione di « cerniera » non solo tra mezzi e fini ma anche tra teoria e pratica sociale, l'autogestione può esprimere tutta la ricchezza e tutta la problematicità del conflitto e del pensiero antigerarchico ed antiburocratico. A questa condizione essa può diventare un formidabile strumento logico ed operativo. Uno strumento sovversivo, cioè non integrabile in sistemi sociali e concettuali classisti, perché irriducibilmente libertario ed egualitario. Tale ricchezza, del resto, è già in parte riscontrabile nei fatti, cioè nella multiformità delle rivendicazioni autogestionarie 13
A. BERTOLO espresse dalle lotte sociali e, inoltre, nel pensiero dei teorici dell'« autogestione generalizzata» i quali, pur essendo per lo più di formazione marxista, non a caso sono giunti a posizioni sostanzialmente anarchiche di rifiuto dello stato e d'ogni gerarchia, del partito e d'ogni avanguardia ... Il fatto è che l'autogestione, come dicevamo, è una metodologia organizzativa di segno libertario ed egualitario, se ne vengono pienamente accettati tutti i presupposti e tutte le implicazioni, in profondità ed in estensione. Quando cioè si studiano le condizioni necessarie perché ogni individuo possa essere veramente soggetto e non oggetto delle scelte che lo concernono e quando, per necessaria coerenza, si allarga il campo d'applicazione dell'autogestione dall'angusto microcosmo azien_ dale a tutte le sfere e a tutti i livelli della vita sociale. L'autogestione generalizzata diventa così una dimensione culturale in cui si incontrano: rivolte individuali e collettive contro qualunque forma (economica, politica, sessuale, etnica, ideologica ...) del rapporto di dominazione; tentativi (grandi e piccoli, rivoluzionari e marginali) e sperimentazioni (extra od anti-istituzionali) di rifondare su nuove basi la vita collettiva; tensioni ideali e pulsioni emotive irriducibili ai bisogni riconosciuti e più-o-meno-soddisfatti dai grandi sistemi gerarchici; sforzi di ripensare la società e dunque l'uomo, di trovare nuovi approcci e/o nuove chiavi di lettura alla storia. Ma questa autogestione generalizzata non si configura o non tende a configurarsi, più che come metodo, come vero e proprio sistema? Ad esempio, come modello alternativo di società globale a potere socializzato, non finisce per essere quell'anarchia possibile di cui dicevo più sopra? Sì, ma perché in questo sistema, in questo modello, in questa dimensione culturale vengono introdotti criteri di giudizio (valori) e criteri conoscitivi (modi di selezionare e organizzare i dati per trasformarli in informazioni) che, pur derivati o estrapolati dal metodo organizzativo, non sono più metodo, non sono più autogestione. E poiché l'autogestione non è metodo neutrale, ciò che da essa si deriva per induzione o deduzione risulta di segno anarchico, o meglio tanto più anarchico quanto maggiori sono il suo approfondimento e la sua estensione. innestare e potare il vecchio tronco L'autogestione generalizzata può ben essere, allora, un altro modo per dire socialismo libertario. Niente di nuovo? Al contrario: si tratta di un « socialismo libertario » ritrovato anzi 14
GRAMIGNA SOVVERSIVA ricostruito nelle lotte, nelle esperienze, nelle innovazioni scientifiche e tecniche, in una parola nella cultura di quest'ultimo ventennio. L'autogestione generalizzata è una teoria ancora in divenire, come dev'essere di ogni teoria viva, ma ha già stabilito dei capisaldi che corrispondono ai nostri stessi capisaldi. Il che non stupisce, dal momento che essa ha ripercorso grosso modo i nostri stessi itinerari logici, ma li ha ripercorsi oggi, mentre noi li abbiamo percorsi ieri. Enunciati generali, come ad esempio il primo « principio dell'autogestione » definito da Bourdet (rifiuto della delega di potere, revocabilità di tutti i mandati in ogni momento) danno agli anarchici, che da sempre li teorizzano e li praticano, l'impressione di una scoperta ... dell'acqua calda. Ma non possiamo e non dobbiamo limitarci a rilevare il fenomeno con diffidenza e/o con soddisfazione, bensì, prima che il saccheggio - più o meno volontario - ed il « riciclaggio » delle nostre idee sia irreversibile, dobbiamo affrettare la « ristrutturazione » del nostro capitale teorico. Un capitale obsoleto, non negli enunciati generali - che per l'appunto si sono verificati validi anche nel dibattito sull'autogestione - ma in tutta la sua articolazione intermedia e nella sua strumentazione operativa. L'ecologia, la tecnologia alternativa, la pedagogia anti-autoritaria, l'analisi istituzionale, non possono essere semplicemente aggiunte al pensiero anarchico e neppure vi si possono meccanicamente addizionare casuali frammenti, di segno anarchico, delle scienze umane, dall'antropologia all'economia, dalla psicologia alla sociologia. L'operazione che auspico è ben più complessa. Il vecchio solido tronco dell'anarchismo è ancora vigoroso, ma deve essere energicamente potato, perché possano germogliare e svilupparsi rami giovani e perché possa accogliere nuovi innesti senza rigettarli o soffocarli. Il fiorire della pratica e della teoria autogestionaria mi sembra appunto una buona occasione per potare ed innestare. Dal dibattito sull'autogestione possiamo trarre elementi di giudizi su cosa potare e cosa innestare. Senza complessi d'inferiorità immeritati, ma anche senza illusori complessi di superiorità, gli anarchici possono aspettarsi dal dibattito sull'autogestione un prezioso contributo di « apertura » verso il nuovo ed il diverso, di stimoli creativi, di ammonimento a non nascondere i loro nodi irrisolti dietro il dito di qualche formuletta passepartout. A loro volta essi pos15
A. BERTOLO sono portare al dibattito il prezioso contributo della memoria collettiva di un movimento che ha vissuto consapevolmente (consapevole anche delle proprie contraddizioni) tutta la problematica dell'autogestione attraverso le conquiste e le sconfitte, le gioie e le sofferenze, le lotte e la vita quotidiana, il cuore ed il cervello di centinaia di migliaia di militanti. la divisione gerarchica del lavoro... Il dibattito sull'autogestione si muove innanzitutto dall'ambito che gli è più proprio per definizione: dall'analisi dei meccanismi decisionali collettivi, cioè ,dalla riflessione su come, nelle strutture organizzative gerarchiche, si determina il potere e su come per converso sia concretamente possibile organizzare la partecipazione egualitaria di tutti ai processi decisionali. E' una riflessione sui temi dell'autorità e della libertà ed è una riflessione che porta dritto ai nodi della democrazia diretta e della divisione del lavoro. Infatti è agevole in quest'ottica (ri)scoprire che la distinzione fondamentale, comune a tutte le società di classe, è quella tra chi detiene il potere e chi lo subisce, tra chi dirige e chi è diretto e che la causa di questa dicotomia non è la proprietà privata dei mezzi di produzione, la quale semmai ne è una forma giuridico-economica storicamente determinata. E' agevole perciò (ri)scoprire che la radice del dominio è la divisione gerarchica del lavoro sociale e che pertanto l'autogestione è un involucro vuoto se non presuppone l'integrazione (di bakuniniana e kropotkiniana memoria) del lavoro manuale ed intellettuale, esecutivo ed organizzativo. Senza questa ricomposizione l'autogestione è già impossibile a livello aziendale perché viene a mancare l'effettiva possibilità e capacità di tutti i lavoratori di operare e decidere con conoscenza di causa (che è il secondo dei due principi fondamentali dell'autogestione, secondo Bourdet). Senza questa ricomposizione non vi può essere partecipazione egualitaria in termini di consapevolezza e di responsabilità, non vi è dunque autogestione, ma cogestione asimmetrica tra dirigenti e subordinati, siano pur tutti formalmente soci o siano addirittura i primi formalmente « dipendenti » dei secondi, secondo la formula yugoslava. E' un insospettabile testimone di regime (Drulovic) a dirci che, secondo le risultanze di studi sociologici, i frequenti conflitti tra direzione e organi rappresentativi dei lavoratori espri16
GRAMIGNA SOVVERSIVA mono un« acuto antagonismo, una vera lotta per la spartizione del potere e dell'autorità» ed una delle cause sarebbe, guarda un po', la stravagante pretesa dei lavoratori di « ingerenza nel campo della direzione » per una « concezione primitiva secondo cui l'autogestione sopprimerebbe la divisione del lavoro». A maggior ragione, l'integrazione deve essere estesa a tutta la società, perché la divisione gerarchica del lavoro sociale non è un fenomeno riconducibile al solo ambito aziendale, né al colo ambito economico, ma riguarda per l'appunto tutte le funzioni sociali. Ed anche restando nell'ambito economico, bisogna riconoscere nello sfruttamento non solo l'aspetto quantitativo, ma anche quello qualitativo, che consiste nel riservare ad una minoranza i lavori più gratificanti mentre alla maggioranza spettano i lavori più ingrati, faticosi, frustranti. Il pulitore di fogne resta pulitore di fogne anche se si autogestisce. L'urbanista resta urbanista anche si si autogestisce. Possiamo ben immaginare un collettivo autogestito di facchini ed un collettivo autogestito di medici, possiamo persino immaginare ( è una astrazione difficile, lo ammetto) che essi si scambino il loro lavoro alla pari: un'ora di lavoro degli uni pagata come un'ora di lavoro degli altri, ma lo scambio resterà ineguale, lo sfruttamento qualitativo resta. Esso viene mascherato dal fatto che normalmente - e non a caso - ad esso si sovrappone quello quantitativo. Ma quando la norma paradossale per cui ai lavori più sgradevoli corrispondono i redditi più bassi viene contraddetta, la dimensione qualitativa dello sfruttamento diviene palese. Ad esempio, oggi uno spazzino guadagna più di un professore di liceo, ma non risulta esservi neppure un accenno di tendenza da parte dei professori a farsi assumere dalla Nettezza Urbana ... ... e la sua ricomposizione egualitaria La divisione gerarchica del lavoro sociale è dunque carica di significati disegualitari: sfruttamento, privilegio e soprattutto potere. Le ideologie del potere (capitalistiche o tecnoburocratiche che siano) giustificano la gerarchia con le necessità organizzative delle società complesse. Imbrogliano le carte, perché mescolano truffaldinamente due cose che non vanno necessariamente insieme. E' innegabile che, in strutture socio-economiche più articolate di una tribù di cacciatori-raccoglitori, la divisione sociale e tecnica del lavoro è in certa misura ineliminabile. E' innegabile che queste strutture, dall'azienda alla comunità locale e via via fino ai sistemi sociali più ampi, si 17
A. BEATOLO debbano articolare per funzioni. Ma non è affatto necessario che le funzioni diventino ruoli fissi: la rotazione, ad esempio, consente di conciliare la divisione con l'eguaglianza. Inoltre certe funzioni possono benissimo diventare collettive, altre ancora possono essere affidate come« mandato revocabile», altre infine scompariranno del tutto perché utili e necessarie solo al sistema gerarchico, che ne genera in gran numero e continuamente per conservarsi e giustificarsi. Che cosa si oppone, ad esempio, a che in un ospedale tutti i lavoratori svolgano a rotazione mansioni manuali ed intellettuali (che tutti siano, cioè, in diversi periodi della giornata o della settimana o dell'anno, medici-infermieri-ausiliari), la direzione sia una funzione collettiva, i compiti di amministrazione e di coordinamento interno ed esterno attribuiti come incarico a termine? Nessun vero motivo, ma solo falsi motivi di razionalità interna alla logica del potere e cioè una scarsità relativa di competenze intellettuali, voluta, creata e mantenuta artificialmente per giustificare il monopolio di classe della conoscenza e dunque la gerarchia. L'obiezione, poi, che sarebbe uno spreco sottoutilizzare i cervelli degli intellettuali costringendoli a dedicar.e una parte del loro tempo ai lavori manuali è di una imbecillità ributtante: che dire dello spreco enorme di creatività, intelligenza, inventiva di quelle nove persone su dieci mutilate nella loro manualità e condannate alla stupida e avvilente routine nelle fabbriche, negli uffici, nei lavori domestici, affinché una sola possa creare, pensare, inventare? E perché non ci si domanda anche quanto la stessa intelligenza di quell'uno sia impoverita dalla privazione degli stimoli delle attività manuali, cioè del contatto diretto con la realtà materiale? In questa prospettiva acquista un significato particolare il recente fenomeno di scolarizzazione di massa, con le sue rivendicazioni di diritto allo studio, con le sue spallate un po' velleitarie e un po' deqiagogiche alle barriere economiche e meritocratiche poste a difesa del sapere privilegiato. Al di là delle aspirazioni individuali ad una promozione sociale tramite il diploma e la laurea, come fenomeno complessivo, come somma oggettiva delle singole motivazioni, si tratta di una domanda generalizzata di lavoro intellettuale, una domanda che, appunto perché generalizzata, non può essere soddisfatta se non in una logica di negazione della piramide sociale e di distribuzione egualitaria fra tutti sia del lavoro manuale sia del lavoro intellettuale. E non è forse una coincidenza fortuita se l'autogestio18
GRAMIGNA SOVVERSIVA ne ha fatto clamorosa irruzione, come rivendicazione e come pratica, proprio nel maggio '68, in un'esplosione popolare innescata dagli studenti parigini ... delega di potere ... L'integrazione tra lavoro mànuale e lavoro intellettuale determina una condizione di eguaglianza nelle effettive possibilità e capacità decisionali. Tuttavia non esaurisce ma solo introduce il discorso sulla democrazia diretta, così come la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale non esaurisce il discorso sul potere: infatti non tutti i lavoratori intellettuali ed anzi solo una minoranza tra essi sono ascrivibili alla classe dominante. Non lo scienziato, ad esempio, né il medico, né l'insegnante, né l'ingegnere in quanto tali ricoprono ruoli di potere, ma solo se e in quanto occupano posizione di controllo e direzione sociale, se e in quanto svolgono funzioni di « eterogestione » cioè di « gestione » su altri uomini. Qualunque sia la sua fonte apparente e la sua giustificazione (la proprietà o la capacità organizzativa, il merito o la competenza), qualunque sia il modo con cui sia conferito o legittimato (i meccanismi mercantili o la selezione meritocratica, l'investitura dall'alto o la delega «democratica» dal basso) il potere dei dirigenti è sempre e comunque ottenuto confiscandolo alla società, cioè negando di fatto e di diritto a tutti gli altri la facoltà di autodeterminarsi individualmente e collettivamente. La delega di potere che si esprime nella democrazia rappresentativa o democrazia indiretta, è il marchingegno forse più sottilmente mistificatorio di legittimazione della gerarchia. Minaccia perciò di essere un cavallo di Troia del potere nella pratica e nel pensiero autogestionario, come dimostrano le esperienze storiche e contemporanee, dalla Spagna alla Jugoslavia, dal movimento cooperativo alle burocrazie sindacali. Spacciata per una tecnica organizzativa essa è invece un modo organizzativo funzionale al potere gerarchico, contraddittorio con l'autogestione. Si badi che qui andiamo oltre ogni considerazione sul fatto che, in una democrazia parlamentare, le elezioni sono un modo per nominare non la dirigenza politica ma solo un'esigua parte di rappresentanza formale del potere politico, e tralastjamo la facile ironia sulla natura mistificata della « scelta» elettorale. Lo stesso socialista Ruffolo, candidato ora alle elezioni europee, ha definito tre anni fa il meccanismo votaiolo come un « ap19
A. BEATOLO plausometro » (un applausometro truccato, aggiungiamo noi, dalle ormai sofisticate tecniche di manipolazione dell'opinione pubblica). Quello che qui ci interessa osservare è che, anche nel caso astratto che tutte le funzioni di dirigenza sociale fossero elettive, egualmente i dirigenti eletti si costituirebbero in classe dominante, per la logica oggettiva della delega di potere. L'astuzia di estendere all'ambito dell'azienda qualche misura di democrazia rappresentativa (in forma di cogestione o di« autogestione » tecnocratica) è un tentativo fin troppo trasparente di rifondare il consenso all'alienazione produttivistica, di fronte alla bancarotta dell'ideologia capitalistica. Anche se la democrazia rappresentativa ha già mostrato la corda in campo politico e sempre più difficilmente riesce a mascherare la sua reale natura oligarchica, una sua riproposizione all'ambito dell'economia può forse avere ancora una certa attrattiva, perché si basa su valori culturali depositati nell'inconscio collettivo, pur se in crisi, mentre il rifiuto della delega è ancora un fenomeno di « effervescenza » sociale relativamente nuovo . ... e democrazia diretta Se la delega di potere apre una frattura nel corpo sociale, tra « gestori » e « gestiti », l'autogestione può riconoscersi e realizzarsi solo nella democrazia diretta, cioè solo a condizione che il potere rimanga funzione collettiva, non si separi mai dalla collettività come istanza superiore, neppure in ruoli eleggibili. Democrazia diretta non significa, riduttivamente, democrazia assembleare. Anche se l'assemblea ne è l'organo fondamentale, nelle articolazioni ulteriori la democrazia diretta si avvale necessariamente di altre formule quali il mandato revocabile, che non è delega di potere. Vi è delega di potere quando si abilita qualcuno a prendere decisioni imperative sulla collettività, in nome e per conto di essa, per una vasta gamma di questioni e con ampia discrezionalità. Se viceversa il mandato è specifico e temporaneo, con ristretti e definiti margini di discrezionalità e soprattutto, se è revocabile in ogni momento dai mandanti, cioè dalla collettività che l'ha espresso, esso non si sostituisce alla volontà collettiva né la può liberamente «interpretare» (vecchio trucco della democrazia rappresentativa),perché il suo operato è sottoposto a costante verifica. Assemblea sovrana, mandati revocabili e, infine, rotazione continua (ad intervalli più o meno lunghi a seconda della loro natura) di tutte le funzioni permanenti di coordinamento, di 20
GRAMIGNA SOVVERSIVA tutte le funzioni « dirigenti » non esercitabili collettivamente: così si può a grandi linee definire la democrazia diretta. E così si è espressa la democrazia popolare quando episodicamente e temporaneamente ha potuto esprimersi senza eccessivi condizionamenti oggettivi e soggettivi. Così erano organizzate le collettività libertarie spagnole. Così sono tuttora organizzati numerosi kibbutzim israeliani in cui, secondo Rosner, ogni anno circa il 50% dei membri partecipano a rotazione a comitati o funzioni direttive. E la revocabilità del mandato non risale alla Comune di Parigi? E non ritroviamo il mandato revocabile e l'assemblea sovrana come rivendicazione e come prassi nelle lotte operaie degli ultimi dieci anni? La democrazia diretta è già pratica sociale, seppure episodica e frammentaria. il nodo della dimensione Si dice, da parte di chi con questo vuole ridurre l'autogestione ad ambiti marginali o negarne del tutto la possibilità, che la democrazia diretta può applicarsi solo a forme organizzative di piccole dimensioni. Consideriamo dunque la questione della dimensione. Anch'io, paradossalmente, sono convinto che la « grande dimensione » sia la dimensione del potere e la piccola dimensione quella della democrazia diretta. Ma ne derivo conclusioni diverse: le unità associative elementari (produttive, territoriali, ecc.) possono e devono essere piccole e tra di esse deve essere tessuta una trama di relazioni orizzontali. Vanno cioè rifiutate le grandi unità e lo stesso nefasto concetto-mito dell'Unità con la maiuscola. Le piccole unità, a loro volta, non devono essere i mattoni di un edificio piramidale, ma i nodi di una rete di connessioni egualitarie di tipo federativo, che procede dal semplice al complesso, e non dalla base al vertice. La grande impresa, la megalopoli, lo stato vanno rifiutati e disgregati, perché il «grande» secerne potere al suo interno ed al suo esterno. I grandi aggregati economici e politici, le grandi istituzioni sociali sono per l'appunto l'ambito in cui si afferma e si esercita il potere dei « nuovi padroni »: è lì che la tecnoburocrazia trova il suo spazio vitale e le sue giustificazioni funzionali, sia nei sistemi tardo-capitalistici, sia in quelli post-capitalistici. Esistono in effetti abbastanza elementi sperimentali e riflessioni scientifiche per ritenere che non si possano superare certe soglie dimensionali, se si vuole salvaguardare quella che è l'essenza prima della democrazia diretta, la comunicazione 21
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