Fine secolo - 28-29 dicembre 1985

FINE SECOLO* SABATO 28 / DOMENICA29 DICEMBRE 2 24 luglio 1886 Nasce JUNICHIRO TANIZAKI. Morirà nel 1965. L'immagine qui accanto è di Utamaro (1654-1806). Nessun anniversario, dunque, ma Utamaro va sempre bene. 24 febbraio 1686 Muore a Firenze lo scultore FerdinandoTacca. Era mitonel 1619, figlio del più famoso Pietro. Quest'ultimoavevascolpito I "quattromori"del monumentoa Ferdinando I dei Medici a Livorno, e collaboratoall'altrastatua equestredi Ferdinando I, ultimaoperadel Giambologna, nella piazzadella SS. Annunziata a Firenze. Sul piedistallodi quest'ultimo monumento fu aggiunta nel 1640da FerdinandoTacca la decorazione qui riprodotta. Si tratta dell'impresa compostaper il Granduca Ferdinando I dal grande emblematista senese Scipione Bargagli, "la famosa impresa, che rappresenta il Re delle Api in mezzoad uno sciame col motto «Majestate tantum». Il Granducatanto se ne compiacque, che la fece coniare nel rovescio delle sue ricche medaglie d'oro".· Come si vede, quando si tratta di maestà, anche.la regina delle api diventa Re. IL GABINETTO E LA PENOMBRA Sempre, quando, in visita ai monasteri di Kyoto o di Nara, chiedo a qualcuno di indicarmi i gabinet– ti - e sono gabinetti all'antica, affogati nella pe– nombra, meticolosamente netti tuttavia - un senso di riconoscenza profonda mi prende per quel che . . di unico v'è nell'architettura giapponese. Amabile cosa è il "soggiorno" delle nostre case - lo cha no. ma-, ma solo il gabinetto giappone~e è interamen– te concepito per il' riposo dello spirito. Discosti dall'edificio principale, i gabinetti stanno accuc– ciati sotto minuscoli cespi selvosi, e di borraccina. E' bello,Jà, accovacciarsi nel lucore che filtra dal– lo ·shoji, e fantasticare, e guardare il giardino. Tra i sommi piaceri dell'esistenza Natsume Soseki an– noverava le evacuazioni mattutine: piacere fisiolo– gico, che solo nel gabinetto alla giapponese, fra li– sce pareti di legno dalle sottili venature, mirando l'azzurro del cielo e il verde della vegetazione, si può assaporare sino in fondo. Insisto: sono neces– sari una lieve penombra, nessuna fulgidCZ7.a, la pulizia più accurata, e un silenzio così profondo che sia possibile udire lontano un volo di zanzare. Senza tali requisiti non si dà gabinetto ideale. Quando mi trovo in un simile luogo molto mi pia– ce udire· la pioggia che cade èon dolcezza unifor– me. Questo piacere è specialmente raffinato nei gabinetti della regione di Tokyo, dove; per facili– tare le pulizie, è consuetudine praticare rasoterra lunghe aperture orizzontali. Consentono, questi spiragli, di percepire vicinissimo il rumore, così acquietante, delle gocciole che lente si staccano dall'orlo della grondaia o dalle foglie, rimbalzano sul basamento in pietra di un lampione, spruzza– no il muschio che cresce fra i ciottoli del sentiero, sono bevute dalla terra. Qui conviene, più che al– trove, tendere l'orecchio a stridii di insetti o a can– ti di uccelli, e godere del chiaro di luna; qui è deli– zioso gustare melanconicamente i segni fuggitivi delle quattro stagioni. Quanti autori di haiku de– vono avèr trovato, alla latrina, il tema dei loro versi! Non sembri azzardato affermare che, nella èostruzione dei gabinetti, l'architettura giappone– se ha toccato il sommo della raffinatezza. I nostri avi, per cui ogni realtà era degna di elaborazione estetica, riuscirono a trasformare il luogo della casa che, per sua destinazione, avrebbe dovuto es– sere più sordido, in una cella consacl'{ltaall'elezio– ne e alla squisitezza del gusto, immersà nella natu– ra, avvolta da ùna bruma di immagini e remini– scenze delicate. Al contrario, gli Occidentali han– no deliberato una volta per tutte che il gabinetto è sconveniente, e in società si astengono persino dal nominarlo. Quanto più savio è il nostro atteggia– mento, o almeno più vicino all'intima verità dèlle cose! Tuttavia, se proprio qualcuno insistesse, fi– nirei per confessare che almeno un inconveniente, nel gabinetto giapponese, io ce lo trovo: la lonta– nanza dalla casa. Non è comodo andarci di notte, e nei mesi freddi si rischia di buscare un raffreddo– re. E' anche vero che, secondo una sentenza del poeta Saito Ryoku.u, "l'eleganza è fredda;', e dunque la temperatura dei gabinetti, pressappoco uguale a quella esterna, potrebbe essere inte~ come un tocco di raffinatezza in più. Una cosa è certa: negli alberghi, il riscaldamento centrale im– merge le latrine ali' occidentale in un clima caldou– mido, opprimente e sgradevole. Fra coloro che amano l'architettura tradizionale, chi non opte– rebbe per un gabinetto alla giapponese? Nei mo– nasteri, dove vasti edifici accolgono una popola– zione rarefatta, e non mancano gli addetti alle pu– lizie, esso non pone problema alcuno, ma in una civile abitazione può risultare arduo mantenervi la lindura auspicabile. Certi schizzi indelicati facil– mente risaltano su un pavimento di legno o stuoie, anche_segli utenti sono persone controllate, e ogni giorno viene passato lo strofinaccio. Così, prima o poi, ecco fare il loro ingresso nelle nostre dimore le piastrelle bianche, e la tazza con lo scarico del- . l'acqua. Ora c'è più igiene, e si risparmia fatica, però eleganza e contatto con la natura sono svani– ti. Sotto una luce crudele, fra quattro mura di ab– bagliante candore, è difficile abbandonarsi a quel "piacere fisiologico" di cui parlava Natsume Sòse– ·ki. Chi oserebbe dubitare che tanta bianchezza sia indizio di pulizia ineccepibile? E tuttavia, ci si può chiedere se si~ opportuno illuminare a giorno la cosa bruna che il nostro corpo espelle. Sarebbe di– sdicevole, anche per una fanciulla bellissima e ma– dreperlacea, sbandierare natiche e cosce. Non di– versamente, mi pare disdicevole che un chiarore meridiano e corrusco colmi i luoghi di cui vado parlando. Più impeccabile e lindo è quanto si vede, più siamo inclini .a immaginare ripugnante e sozzo quanto resta celato. Non val meglio che la penombra regni, e sia labile il confine tra il pulito e lo sporco? Dopo lunga ponderazione ho scelto per la mia casa "sanitari" moderni, ma al pavimento di pia– strelle mi sono strenuamente opposto. Di legno di canfora l'ho voluto: almeno. mi ricorda, un po', l'ambiente tradizionale. Altri problemi li ho avuti con la tazza. Quelle all'occidentale sono di porcel– lana biànsa, c-0n guarnizioni di metallo cromato. Io le preferisco di legno, sia nella versione per uo– mini, sia in quella per donne. Ideale sarebbe il le– gno tirato a cera, ma anche quello al naturale ac– quista col tempo opache tonalità, e quel fascino della stagionatura che placa inesplicabilmente i nervi agitati. JS.l'altronde,per quietare i nervi, la cosa più acconcia sarebbe la tazza a forma di fiore che chiamano "Campanula": è di legno, e deve es– sere riempita con freschi rametti di cedro, profu– mati, belli a vedersi, utili ad attutire gli scrosci. l_lqJusso simile neanche potevo sognarlo. Mi sa– rebbe bastata una tazza disegnata a mio gusto, cui fosse possibile adattare lo sciacquone: Tuttavia, per la fabbricazione di un simile oggetto, che ap– pariva stravagantissimo, mi furono richieste cifre esorbitanti. Fui costretto a rinunciare. Niente ho contro gli agi della civiltà moderna (elettricità, im– pianti igienici o di riscaldamentò ...), ma una cosa non so capire: perchè ci rassegnamo ad abbando– nare tutti i nostri usi? perchè rinunciamo ai nostri gusti? perchè non tentiamo di conciliare il nuovo con la nostra sensibilità? · (Dal "Libro d'ombra", edito dal Nuovo Portico Bompiani). -

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