Fine secolo - 21-22 dicembre 1985

ta da un possibile cambiamento di governo. Numerose analisi sottolineano infatti, che nel quadro della III o della IV Repubblica, tali malcontenti o un simile tedio avrebbero dovu– to provocare semplicemente la caduta del go– verno, probabilmente sin dai primi incidenti sorti da Nanterre: in compenso, la stabilità go– vernativa garantita dalle istifuzioni del 1958 avrebbe avuto l'effetto perverso di provocare un'ascesa incontenibile .e di trasformare una possibile crisi ministeriale in crisi di regime. 8) li Maggio come concatenamento di circostan– ze: per quanto possa apparire superficiale, questo punto di vista, che evidentemente affa– scina Bènèton e Toucbard, non è da trascurare in blocco: non era infatti "fatale" che a Nan– terre esistesse un'università tagliata a tal punto fuori dal mondo esterno, non era inevitabile che i progetti di uniforma universitaria venis– sero differiti così a lungo dal ministero Peyre– fitte, nè che si facesse entrare la polizia nella Sorbona il 3 maggio, nè che il Primo Ministro fosse in quel momento assente dalla Francia, poi che il Presidente della Repubblica dovesse recarsi in visita ufficiale in Romania, ecc. Co– munque sia, si tratta di una molteplicità di cause occasionali, ognuna delle quali ba svolto un ruolo, senza le quali probabilmente nulla si sarebbe svolto nello stesso modo e che, in ogni caso, invitano a prendere ampiamente in con– siderazione l'importanz.a attribuita, in altri tipi di interpretazione, alle varie cause essenziali. L'interesse di questo inventario delle interpre– tazioni non lascia dubbi. Sta di fatto che la classificazione proposta è puramente empirica e che, mancando un qualsiasi principio di clas– sificazione, nulla vieta né di strutturare questa diversità in modo differente, né di concepire altre interpretazioni. Senza negare questa di– versità, ma considerandQla al contrario come la questione su cui interrogarsi, ci sembra ne– cessario ricercarne, per così dire, le condizioni di possibilità (o quanto meno alcune delle con– dizioni di possibilità). Di conseguenza, volen– do puntare non tanto sul carattere esauriente della localizzazione quanto sulla sistematicità della classificazione, è necessario indicare un di Gilles Lipovetsky che descrive ne "L'Ere du vide" (Gallimard., '83) la coscienza "postmo– derna", il narcisismo non 'più determinato "dalla produzione e dalla rivoluzione", ma "dall'informazione e dall'espressione". Questo individualismo trionfante, di cui il maggio '68 è stata la prima espressione, pur rivendicando scelte collettive che appartenevano alla cultura moderna (che conteneva i valori del· capitali– smo e del socialismo), non ba niente a che ve– dere, dicono gli autori, con il soggetto.' Anzi. Fanno dire a Lipovetsky (che.pure non giudiqi il postmodernismo una cosa negativa) che "as– sociazioni libere, spontaneità creatrice, non di– rettività, la nostra cultura dell'espressione ma anche la nostra ideologia del benessere stimo– lano la dispersione a danno della concentrazio– ne, l'occasionale invece del volontario, lavora– no allo sbriciolamento dell'io, all'annienta– mento dei sistemi psichici organizzati". C'è, in questo godimento allo stato puro, il pericolo di consegnarsi passivamente agli avvenimenti e di mettere in pericolo "la promessa _di.libertà contenuta nelle esigenze dell'umanesimo". Qui però i due autori si fermano quasi di brutto. Certo parlano, con Kant (e col kantiano Ra– ymond Aron), di chiedere alla ragione soltanto "idee regolatrici", e non più verità assolute, ma poi ci abbandonano lungo la strada. Un tale libro, che dissacra nomi tanto grandi (due dei quali già passati alla posterità), non ba suscitato· grida di indignazione. Anzi è stato accolto dai media e dai critici con una specie di sollievo, come se gli autori fossero temerari pionieri che finalmente li sbarazzavano dall'ir– ritante mito sessantottesco. Pionieri, non lo sono poi tanto; piuttosto sintomi rappresenta– tivi del dibattito culturale in corso. Gli intellet– tuali francesi sono da parecchi anni in lutto: dopo aver subito il fascino (anche con notevoli divergenze) della visione globale del mondo che proponeva ·il marxismo, lo additano ora con orrore, come pensiero totalitario. Ma poicbè di grandi sistemi si sono sempre nutriti, mal sopportano di doversi accontentare di se– gmenti di sapere ai quali il "relativismo" dei fi– losofi dei 'sixties' condannava. Il bisogno di panoramiche si è dunque spostato,dalla teoria all'affresco storico, e dal rigetto della moder– nità (cioè la cultura delle democrazie occiden– tali) all'analisi di quest'ultima. Così si spiega il successo crescente di opere come quelle di Fer– nand Braudel o di Marce) Gaucher ("II disin– canto del mondo", sulla storia dello spirito re– ligioso). Parallelalmente, cresce un'esigenza di chiare~ e di coerenza. Olivier Mongin diret– tore della rivista Esprit saluta questa rivendi– cazione dello strumento linguaggio, questa ri– cerca di concetti che permettono di "instaurare un senso comune'' rivalutando così il "discor– so filosofico in quanto ci fornisce dei concetti elaborati nel corso di una tradizione storica". Proprio questo fanno Ferry e Renaut quando rimproverano ai maestri dei 'sixties' "il culto– del paradosso e, se non il rifiuto della chiarez– za, almeno la rivendicazione insistente della ,.. FINE SECOLO* SABATO 21 / DOMENICA 22 DICEMBRE complessità", abbandonando il terreno della limpidità alle aborrite scienze sociali che di– chiaravano la morte della filosofia. Questo ritorno· al soggetto è anche da parte de– gli intellettuali una reazione (di "distinzione", direbbe Bourdieu) contro il livellamento della società postmoderna, contro il disprezzo o piuttosto l'indifferenza delle pratiche indivi– duali verso la sfera pubblica. Sentono quanto la piattaforma dei diritti dell'uomo sia mini– male (oltretutto concerne paesi stranieri e più o meno lontani!) e cercano, come Luis Du– mont coi suoi "Essais sur l'individualisme" (Seui!, '85), di ritrovare un giusto mezzo tra il contratto sociale e l'individuo. Tutto bene, dunque; se non che questo recupe– ro dell'umanesimo genera un movimento con– traddittorio: da una parte l'affermazione dei valori della tolleranza e del diritto alla dissi– denza, ma dall'altra l'affermazione della supe– riorità di questi valori, e con essi della cultura occidental~. Il che lascia la p<1rtaaperta a peri– colosi rigetti. Sarà soltanto un caso se gli anni . '70, anni delle filosofie "del dubbio", della dif– ferenza, erano anni di rimescolamento delle culture (orientali, esoteriche, mistiche o mate– rialiste che fossero), d'internazionalizzazione dei discorsi, di coscienza ecologica e di curio– sità insaziabile? Gli anni '80 in Francia, anni– del ritorno alla ragione, sono anche quelli, (a sinistra come a destra, e tanto più con la "cri– si") del trinceramento nazionalista (sì, certo, l'Europa; ma solo se la Francia ne è il nucleo!), Le riproduzionidi alcunedelle principali operedi artistidellafine deglianni'60 qui ristampatesono trattedal catalogo della · mostra"Artepovera"a cura di Germano Celant. Qui accanto:Pino Pascali, La trappola, 1968. .19 preciso filo conduttore che consenta di orien– tarsi nei dedali di questa sfera interpretativa e di scoprire una logica in questa tliversità. ·Il filo conduttore qui proposto procede da una semplice considerazione: quando •si tratta di analizzare un movimento storico che si presen– ta come uno sconvolgimentd o addirittura come una rivoluzione, il problema maggiore per l'interprete consiste in fondo nel sapere quale portata e quale statuto attribuire al pun– to di vista degli stessi attori, punto di vista che corrisponde sempre più o meno alla convinzio– ne di "fare la storia" e di inaugurare, attraver~ so la propria azione, un avvenire radicalmente nuovo. La difficoltà risiede allora nel valutare fino a che punto tale convinzione continui a corrispondere, retrospettivamente, alla realtà dei fatti. Di conseguenza, si avranno inevita– bilmente diversi tipi di interpretazione, secon– do çhe l'interprete condivida il punto di vista degli attori (il senso dell'episodio verrà allora ricercato in ciò a cui avranno mirato gli stessi attori), o che l'interprete consideri tale punto di vista degli attori illusorio o mistificato (si ri– terrà allora che questi ultimi hanno fatto la storia, resi in un certo senso astuti da una ra– zionalità che operava nella storia senza iscri– versi nel progetto cosciente di alcun soggetto). Si vedono già qui profilarsi due grandi tipi di interpretazione, in rapporto con la determina– zione ·che è conferita al soggetto della storia: l'interpretazione che sposa il punto di vista de– gli attori individua il soggetto della storia come libertà che agisce dei soggetti pratici; • l'interpretazione che invoca un processo che si sviluppi, per così dire, "alle spalle degli attori" non identifica il soggetto della storia in alcun soggetto finito (ed in questo senso la storia vie– ne allora concepita come "processo senza sog– getto"), ma rinvia il divenire all'autorealizza– ·zione di una logica immanente. Un terzo tipo di interpretazione, per superarle, smonta sia la razionalità dei progetti che quel– la di una logica immanente e insiste sulla inde– ducibilità assoluta di ciò la cui verità ultima è di essere propriamente un Evento, un puro ac– cadimento, che spezza ogni continuità: una ra– dicale irruzione della novità. Il modello filoso– fico di riferimento dello svisceramento heideg- del richiamo incessante alla "grandeur" (che nessuno pensa a criticare). Se questa grandeur tanto conclamata non si vede, non è facile poi per alçuni trovare il capro espiatorio che la calpesta, per esempio questi fanatici islamici che fanno pure troppi figli!-Forse la cultura de– mocratica deve essere tale, deve vivere di que– sto paradosso: dubitare sempre delle sue (buo– ne) ragioni. Ultima considerazione (ma non per questo meno importante): gli anni settanta sono stati anche quelli del femminismo. L'umanesimo che rivendica l'uguaglianza tra gli Ùomini ha escluso le donne. Certo, il neoumanesimo di oggi ha fatto tesoro della storia. Si può sup– porre che il soggetto abbia due sessi indistinta– mente. Ma le donne sono rimaste un poco in– dietro. Julia Kristeva, per esempio, non ama la modernità che, secondo lei, precipita la disu– manizzazione. E le donne che vogliono "ap– propriarsi" della filosofia, si volgono proprio verso quei filosofi deHa differenza, Derrida e il suo maestro Heidegger, come mostra il recente convegno di Napoli (confronta Reporter del 5 dicembre 1985).

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