Fine secolo - 21-22 dicembre 1985

FINE SECOLO* SABATO 21 / DOMENICA 22 DICEMBRE 22· . P.P. Calzolari, Senza titolo, 1969. produttivista sulle insensatezze romantiche, la più cupa dimostrazione della tesi marxista sul carattere in ultima istanza determinante dell'e-. ,unumia". Posta.così la tesi, occorreranno forse delle-pro– ve sul fatto che il ruolo storico del Movimento sia proprio consistito nell' "abituare all'indu– strializzazione"? Debray sembr:a fornire una. quantità impressionante di esempi: "la femmi– nizzazione accelerata della manodopera richie– deva che venisse riconsiderato lo statuto della donna; le controprestazioni dello Stato centra– le richiedevano una nuova articolazione tra la metropoli e le regioni; l'intasamento dei mec– canismi giudiziari richiedeva un nuovo rappor– to. tra imputati e macchina della giustizia", ec– cetera. In tal modo si dovrebbe vedere che tut– to ciò che viene presentato come rivendicazio– ne di un'identità o affermazione di un diritto alla diversità è di fatto semplicemente "venuto incontro alle esigenz.e di funzionalità del siste– ma di-gestione": gli attori del Maggio '68 han-· no creduto di lottare contro "delle costrizioni imposte all'esistenza individuale" ma, creden– do di emancipare l'individualità, hanno.contri– buito alla scomparsa delle ultime "costrizioni" che ancora ritardavano "l'estensione della merce a tutta la sfera sociale". Quindi, se in apparenza il maggio '68 ha affermato i diritti della soggettività di fronte al Sistema, in realtà, "soltanto una messa a fuoco della sog– gettività poteva imporre a coloro che la rifiuta– vano la legge dell'oggetto commerciale", ed at– traverso questa improvvisa liberazione e circo– lazione delle idee, è di fatto "il capitale (che) aspirava a circolare" e che vi è infine riuscito. Non insisteremo oltre: in questo caso, la strut– tura dell'interpretazione ha quanto meno il merito di essere chiara e l'autore la esplicita egli stesso come rivelazione di un' "astuzia del Capitale" che, "vecchia megera", si è servito delle aspirazioni dei giovani per prodprre, "contro la volontà dei suoi agenti", una "risul– tante", vale a dire l'apertura della "via france– se all'America". In una simile lettura della crisi di Maggio è semplicemente importante essere attenti a quanto viene considerato, lo abbiamo appena visto, come contenuto stesso dell'astu– zia e che infatti solleva la questione della sog– gettività. Così interpretato, il Maggio '68 assi-, curerebbe, sì, la promozione della soggettività • _come individualità, ma questo solo perchè nella sua marcia'verso il neo-capitalismo, la società francese sarebbe stata ancorn una volta frena– ta da due "valori collettivi molto imbarazzan– ti": quello.della na,zione (e quindi di indipen– denza nazionale), ostacolo all'internazionaliz– zazione del capitale; que llo.di classe operaia (e quindi di rivoluzione), ostacolo evidente, an– ch'essa, allo sviluppo della società borghese. Era quindi necessario che questi due valori col– lettivi fossero distrutti affinchè nulla più si frapponesse tra l'individuo-consumatore-lavo– ratore ed il Capitale. Conclusione: il Maggio '68 fu una rivoluzione individualista, necessa– ria per liquidare "le due religioni solidali e concorrenti della nazione e del proletariato~• e per consentire in tal modo "la libera realizza– zionx dell'ideologia capitalista". Alla domanda se il Maggio '68, e forse più in generale gli anni intorno al '68 abbiano assicurato la vittoria del soggetto o abbiano contribuito alla sua morte, l'interpretazione analizzata darebbe pertanto una risposta inequivocabile: il Maggio '68 ha rappresentato la vittoria del (cattivo) soggetto individuale, quello di cui l'umanesimo teorico ci aveva offerto, secondo la formula di Althus– ser, solo le "variazioni insipide" sui soggetti collettivi (nazioni, classi) che costituivano degli ostacoli ideologici allo sviluppo del Capitale. Ed è allora assai logico che il saggio si chiuda evocando il modo iri cui, dal 1968, il "privato divora il pubblico": prolungando l'individuali– smo di Maggio, il culto contemporaneo dei piaceri privati deriva infatti dalla convinzione che sia possibile "cambiare la vita senza cam– biare lo Stato" - grazie a questo "il piccolo borghese che nel 1968 si vergognava di esserlo si è effettivamente 'rivoluzionarizzato', dieci anni dopo, in piccolo borghese fiero di esserlo, orgoglioso e moralista". Una chiara conferma, secondo l'interprete, proprio dell'esistenza di una "armonia naturale", ma non prestabilita, tra le rivolte individualistiche del Maggio '68 e le esigenze politiche ed economiche del grande capitalismo liberale": "La comunione degli ego sulle barricate (è diventata) egocentrismo generalizzato, il dono di sè culto dell'io ...J'esal– tazione delle libertà compensazione delle disu– guaglianze". Questa interpretazione ha dei meriti difficil– mente contestabili o, quanto meno; un non trascurabile potere di seduzione. Come tutte le analisi che adottano la stessa struttura (quella di una interpretazione in termini di "astuzia della ragione"), ha dalla sua la quantità di in– telligibilità che produce o, se si preferisce, l'ef– fetto di significato procurato rispetto all'ogget– to: improvvisamente liberato di ciò che si ridu– ce a semplici apparenze (per giunta mistifica– trici), l'evento sembra finalmente lasciarsi do– minare. Volendo resistere ad una simile seduzione, si osserverà nondimeno che l'interpretazione del Maggio '68 si elabora in questo caso, molto esplicitamente, a partire da una'delle principali componenti dello stesso pensiero del '68, vale a dire lo svisceramento marxista (nella sua ver– sione althusseriana) dell'idea di soggettività come strumento ideologico del dominio bor- ghese (o piccolo borghese). Tanto- è vero che, in un certo senso, è ancora una delle compo– nenti del pensiero del '68 ad interpretare Mag– gio: pertanto, non è certo che ilna simile inter– pretazione superi pienamente il punto di vista degli attori ed i limiti che, quand'anche questi ultimi fossero dei giudici spassionati, gli sono inerenti: Lo dimostra il fatto che Regis De– bray, convinto che quanto, a Maggio e da Maggio, si è presentato come elemento eman– cipatore non sia stato di fatto altro che un'a– stuzia delJa dominazione del Capitale, sottoli– nea nelJa sua conclusione il modo in cui, a suo parere, il Capitale (vero Soggetto delJa nostra storia) estenda oggi le sue astuzie ad un altro - terreno, quello delle relazioni internazionali, risuscitando l'ideologia individualista dei dirit– ti dell'uomo: ~I ritorno dell'umanesimo giuridi– co non sarebbe in tal modo altro che l'ultima disavventura dell'ideologia del '68 ed uno dei migliori rivelatori delJa portata reale di una pseudo-rivoluzione. Per chi non è convinto che la denuncia rituale del discorso dei diritti del– l'uomo _comeportatore intrinseco degli interes– si della borghesia non sia al tempo stesso un errore e, rispetto alle sue conseguenze pratiche, una colpa, vi è qui materia per dubitare grave– mente della lucidità complessiva dell'interpre– tazione: prigioniera del suo oggetto a causa dei suoi presupposti teorici, l'analisi sembra desti– ·nata a ripeterne aJcuni tra i temi intellettual- mente più caratteri~tici e, contemporaneamen– te, più problematici. L'interpretazione di. G.Lipovetsky. _ Strutturalmente analoga (si tratta anche qui, contro il punto di vista degli attori, di reinserì– vere il Maggio '68 in un processo continuo), questa risposta offre tuttavia la garanzia di una presa di distama sufficiente dalle compo– nenti intellettuali dei "sixties". I principi gene– rali che guidano il lavoro dell'interprete sono di fatto completamente diversi. Una deJ1eragioni maggiori di interesse dell'o– pera sta nel modo in cui prende di petto il pro– blema essenziale, connesso, l'abbiamo già no– tato, col carattere paradossale del "dopo-Mag– gio": succedendo a un investimento straordi– nario, nel Maggio, dei valori pubblici/politici e dei progetti sociali/associativi, gli anni Ottanta appaiono all'opposto segnati dal ripiegamento sulla sfera privata, di cui si è visto come R.De– bray vi trovasse la conferma della propria in– terpretazione della crisi come "culla della nuo– va società borghese". Anche se sembra ormai finito il tempo in cui l'allevamento di pecore nelle Cévennes aveva potuto esser preso per . !'<<attorivoluzionario più semplice», nondime– no "la res pub/ica é devitalizzata, le grandi questioni 'filosofiche', economiche, politiche o militari sollevano più o meno la stessa curio– sità disinvolta di qualsiasi altro fatto, tutte le 'altezze' sprofondano poco a poco, trascinate come sono nella vasta operazione di neutraliz– zazione e banalizzazione sociale». Di fronte a un neonarcisismo per il quale ciò che conta prima di tutto è di curare il proprio corpo e di sfuggire a11a "depressione" grazie alle virtù combinate del jogging. del body building e del tennis, è inevitabile chiedersi che cosa sono di– ventate le agitazioni politiche degli anni 60: c'è davvero rottura, come-tutto sembra indicare, o si deve rinvenire anche qui una continuità più segreta? La rispòsta suggerita da G.Lipovetsky si fonda su due principi generali di interpreta– zione, peraltro strettamente èonnessi: - Da una parte, l'interpretazione, che si colloca esplicitamente fuori dal marxismo, adotta una prospettiva toquevilliana. Anche se l'opera si riferisce a lavori più recenti (C. Lasch, R.Ben– nett e soprattutto D.Bell) il fondo dell'analisi consiste di fatto nella dimostrazione che i di– versi movimenti culturali tipici della modernità e deJ1a postmodernità vanno compresi come inscritti in una dinamica che è quella dell'indi– vidualismo nel senso tocquevilliano del termi– ne. Si sa come Tocqueville faccia dell'indivi– dualismo «un sentimento riflesso e tranquillo che dispone ogni cittadino a isolarsi dalla mas– sa dei suoi simili e a mettersi da parte con la sua famiglia e i suoi amici, in tal modo che, dopo essersi così creata una piccola società a proprio uso, egli volentieri abbandona a se stessa la grande società». In questa accezione, l'individualismo è evidentemente legato al pro– cesso democratico dell'uguagliamento deJ1e condizioni o, se si preferisce il linguaggio di B.Constant, alla «libertà dei Moderni», defini– ta come quella libertà privata che rischia sen7.a sosta di sprofondare nell'apatia politica e di generare l'atomizzazione del sociale. O, para– dossalmente, quella che Lipovetsky vede in azione è la pressione di questo individualismo, non solo nel neonarcisismo degli anni 80, ma già fin nei movimenti di rivolta degli anni 60. Per conseguenza egli deve mostrare d'altra parte che gli attori del Maggio sono di fatto gli agenti inconsci di un processo che li ingloba e li supera. Di più: occorre, qui come in Debray, dimostrare che essi hanno prodotto esattamen– te il contrario di ciò che si proponevano. Si ri– troverà dunque una analisi adempiuta nei ter– mini dell'«astuzia della ragione»: gli attori mi– ravano al pubblico, e hanno «privatizzato» l'e– sistenza; criticavano il desiderio di consumo, e hanno sviluppato e consolidato il processo di

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