Fine secolo - 14-15 dicembre 1985
democratico, ma non quelle che lo rifiutano;• dall~altra parte, la critica democratica della ti- · rannia è moralmente lecita perchè si basa su una legittimazione razionale. Si tratta qui evi– dentemente di una restrizione della libertà in– dividuale, praticata dalla maggioranza delle democrazie moderne. La sua giustificazione è, in un certo senso, economica: la democrazia corre un rischio maggiore di deperire rifiutan– do questa restrizione che non praticandola. Tollerando la libertà di espressione e di riunio– ne del partito nazista. la repubblica di Weimar ha facilitato l'avvento del fascismo, che non si è poi accontentato di limitare la democrazia, ma l'ha semplicemente eliminata. In secondo luogo, uno stato ha il diritto di non tollerare I.e azioni di coloro che, al suo interno, si richia– mano agli interessi di un altro stato. In questo caso, il dov.ere nazionale prende il posto di quello umanitario. Se un individuo che abita nello stato A "riconosce allo stesso tempo di dovere un'obbedienza cieca" al sovrano dello stato B, il suo atteggiamento dovrà essere con– siderato nocivo agli affari della città. E' il pro– blema del "partito dello straniero" e della "quinta colonna". -Questo principio va però sfumato. Non si giudicherà allo stesso modo un determinato comportamento in tempo di guerra o di pace; o in un momento in cui l'esi– stenza stessa dello stato· A è minacciata dallo stato B e qua_p.donon lo è; o quando per espri– mere un opinione dissidente è necessario il so– stegno materiale di paesi stranieri e situazioni in cui invece non lo è (da un punto di vista eti– co, paradossalmente, il "tradimento" è meno tollerabile in una società democratica che am– mette posizioni politiche diversificate che in uno stato totalitario dove esso è spesso l'unica forma di opposizione possibile). E' necessario evitare qui i due estremi: non si ha l'obbligo di pensare che il proprio paese abbia sempre ra– gione, nè di abbandonarlo se non lo si ama; ma non si può nemmeno rivendicare l'impu– nità se si lotta apertamente per la sottomissio– ne del proprio paese a un altro. lnfme, non si devono tollerare all'interno dello stato coloro che praticano la discriminazione nei confronti di certi suoi membri e rivendica– no privilegi per sè (cioè rifiutano il principio dell'uguaglianza) in quanto questi fondano su quella posizione la propria intolleranza; l'in– tolleranza è dunque intollerabile. Locke pensa qui senz'altro alle diverse religioni che convi– vono in Europa e alle varie versioni del cristia– nesimo; ma per noi questa terza categoria di FINE SECOLO* SABATO 14 / DOMENICA 15 DICEMBRE 1 l)Ott WANT NO. intolleranze ·necessarie, forse la più attuale di tutte in quanto coinvolge la maggioranza della popolazione, riguarda le due pratiche ineguali– tarie che vengono chiamate razzismo e sessi– smo. Il tipo di razzismo più attivo oggi, nelle democraziè occidentali, è quello che colpisce i lavoratori immigrati (in Francia, in particola– re, i maghrebini). Esso prende forme moltepli– ci: dall'intolleranza religiosa (si impedisce la costruzione di una moschea o si afferma che tutti i musulmani sono incorreggibili fanatici), passando per la diffusione di stereotipi psico– logici (gli arabi sono sporchi, ladri e parassiti), sino all'assassinio di vittime scelte a caso. La natura dei problemi è cambiata singolarmente rispetto al XVI secolo: allora ci si chiedeva se si dovevano tollerare le razze (nella loro diver– sità) e la risposta era sì. Oggi ci si può doman– dare se si deve tollerare il razzismo, e la rispo– sta è no. La discriminàzione razziale è diretta contro una piccola parte della popolazione, ma si ap– plica a tutti gli aspetti della sua vitiJ. La discri– minazione sessista invece tocca quasi la metà della popolazione, ma non tocca che alcuni de– gli aspetti della sua esistenza. E' proprio per il fatto che è onnipresente che colpisce meno del– le pratiche razziste; però non ha forme ìneno violente, al contrario. Ad esempio, una donna giovane non accoµipagnata ~on può passeg– giare per una grande città senza essere aggredi– ta, soprattutto dopo-che è scesa la notte; tra– sportata sul piano razziale, una siµiile situazi_o– ne corrisponde- a una situazione di apartheid, dove l'accesso a una zona dellà città è proibito Si potrebbe infatti sostenere il contrario; il di– ritto alla tolleranza illimitata favorisce i forti a scapito dei deboli. La tolleranza nei confronti dei violentatori significa l'intolleranza per le donne. Se si consente alle tigri di stare nello stesso recinto con gli altri animali vuol dire che si è pronti a sacrificare questi e quelle, cosa an– cora più barbara e assurda. I deboli, fisicamen– te o materialmente, sono le vittime della tolle– ranza illimitata. L'intolleranza nei confronti di flUelliche li aggrediscono è un diritto loro, nori dei forti. · I tre tipi di azioni intoUerabili riguardano dun– que:' la soèietà universale degli uomini; quella particolare società che è uno stato; e i membri individuali di quella società. Si può discutere dell'esaustività di questo elenco o del fonda– mento di questa rip~rtjzione di azioni intolle– rabili; però si deve ricqnoscere al suo autore il merito di aver collocatp,il problema nella sua comple$sità e di aver capito che qualllllque so– luzione, del problema della tolleranza che non prendi,. in considerazione· l'esistenza dell'intol– lerabile è difettosa .e, al limite, ingannevole. Questa constatazione non giudica.a priori delle forme che deve prendere la lotta contro l'intol– lerabile, nè si riduce; come fingono di credere i difensori della toller!lrza illimitata, a un appel- . lo alla censura. Quella lotta ha un versante po– sitjvo, cioè l'educazione (ma l'insegnamento a scuol_a è lontano dal combattere efficacemente i pregiudizi razzisti e sessisti, per non parlare che di questi), e un versante negatiyo, la re– pressione. Ql;Jest'ultima la si può esercitare, a sec<;>nda dei casi, o attra_versola legge, o per in– tervento .della disapprov~one dell'opinione pubblica (cosa che implica che questa sia a sua .volta educata). L'assenza di incoraggiamento è a volte un ,sistema di lotta pjÙ efficace della censura: le attività intellettuali ç artistiche han– no bisogno dell'incoraggiamento materiale dei mecenati; quando il mc;cenate è lo stato, que– sto può scegliere i beneficiari. della propria ge- ,a una parte della popolazione. Si. immagini, d'altra parte, le grida di protesta che solleve– rebbe l'insediamento di quartieri "neri " o "gialli" dove tutti i visitatori. bianchi possano disporre a volontà dei cittadini. di quelle due . razze-che, dietro compenso, si presteranno ai loro. minimi capricci. L'esistenza di quartieri "a luce rossa" inveçe non scandalizza nessuno. La legge anti-razzista in Francia è in:vigore dal 1946; la legge anti-sessista non è nemmeno sta– ta votata. Si deve poi aggiungere che le vittime del razzismo sono spesso tra coloro-che si ren– dono colpevoli di sessismo, situazione che la propaganda razzista non ha mancato di sfrut– tare. Voltaire diceva:"11 diritto all'intolleranza è as– surdo e barbaro; ç il diritto delle tigri". Aveva senz'altro ragione per quanto riguarpava i casi" particolari cui è<Jlipensava; nel suo;-significato generale, però, questa formula è inaccettabile. - nerosità seguendo un giudizio su ciò che è tol– lerabile e ciò che non lo è. Certo, non_si deve bruciare Sade; ma è necessario allora per que– sto incensarlo? Il gesto cii' Ro.usseau, che, nella Lettera a D'Alembert, chiese, in nome del bene pubblico, che non si aQestissero teatri a Gine– vra, a noi sembra anacr_onistic.o.Rousseau po– teva aver anche torto in quella circostanza, ma il nostro rifiuto di rico.noscere_qualunque rap- 1 porto tra la politica e H11rtenon si ridµce alla fine al disprezzo dell'una o dell'altra o di tutt'e due? La censura è indesider~bile, ma l'impu- 11- nità totale di espressione non lo è meno. La legge punisce i ctjmini sessisti (lo stupro) e raz– zisti (la discriminazione); deve dunque rimane– re impotente di fronte all'incitamento di queste azioni criminali? Nel caso dell'immagine umi– liante ;de1ladonna nei media spesso si contro– batte che niente dimostra che ci sia un rappor– to di causa ed effetto tra il sessismo delle paro– le e il sessismo delle azioni; può anche darsi che la possibilità di praticare il primo dispensi dalla necessità di cadere riel secondo; le misure di prevenzione rischiano dunque di rivoltarsi contro quelli che le chiedono. Però da una par– te l'esistenza di quel rapporto è incontestabile, anche.se è difficile da misurare e se non si ridu– ce a uh determinismo meccanico. Veramente si dubita che esista un rapporto tra la propagan– da antisemita dei nazisti e lo sterminio degli' ebrei? Tra il discorso anti-arabo e la moltipli– cazione delle "disinfestazioni", cioè le esecu– zioni dei maghrebini? Tra il discorso libertario sessista, proprio esclusivamente delle democra– zie ocè:idenµili,e l'insicurezza patita dalle don– ne per la strada, peculiare solo di quegli stessi paesi? D'altra parte, parlare è agire: l'argo– mentazione razzista non è solo un incitamento all'azione, ma è un'azione in se stessa; lo stesso vale per il sessismo. Si può godere di una li– bertà di espressione illimitata; ma bisogna es– sere disposti ad assumersi la responsabilità di ciò che si dice, soprattutto quando il discorso mira (l.dagire sugli altri piuttosto che a concen– trarsi sulla ricerca della verità. Il richiamo a queste pagine di storia europea delle idee mi induce a constatare che si può di– fendere la tolleranza in nome sia dell'ugua– glianza che della libertà. Nel primo caso, l'in– vocapone della tolleranza non deve conoscere limiti: la dignità umana deve essere riconosciu– ta a tutti. Nel secondo, l'invocazione della tol– leranza è limitata dalla preoccupazione per il bene comune. Il nostro giudizio sui casi parti– colari - la, nosti.:_a prudenza - deve tener conto della parte che vi gioca ciascuno di questi prin– cipi. E' per questo che, nonostante la tolleranza sia un concetto a vocazione universale, .la forma e la direzione che la lotta per la tolleranza assu– merà dipenderanno dal contesto storico, cultu– rale e politico in cui si vive. Nei paesi che prati– cario le segregazioni razziali _oqualun_quealtra forma di discriminazione, l'àècè~fo sarà posto necess·ariamente sulla tolleranza che nàsce dal 'principio di uguaglia~. Nei pàesi retti da dit– tàture militari o· totalitarie, sarà la battaglia per la tolleranza-libertà individuale che pren– derà il primo posto. Nelle democrazie liberali, infine, dove, màlgrado casi isolati; ·1atolleràn– za religiosa e razziale, così come la libertà di espressione, sono fatti acquisiti, ma dove la preoccupazi~ne per il benessere individuale fa dimenticare quella per il bene comune, gli sfor– zi dovranno dirigersi soprattutto contro l'in- · tollerabile, in tutte le sue forme. ' · E' a quest'ultima categoria che appartengono, secondo me, gli°stati contemporanei dell'Euro– pa occidentale·. So che altri hanno sostenuto ·il contrari.o_;_ il Sartre della prefazione ai Dannati della terra, o il Marcuse autore della Tol/eran– z~ repressiva hanno sostenuto che viviamo in paesi in cui i governi ·e gli altri gruppi che de– "tengono il ~tere esercitano sui loro abitanti una violenza quotidiana e legalizzata. Violenza che fa del discorso comune deila tolleranza un · purò accessorio teatrale, un abile maschera– mento che le accorda uri'impunità completa; violenza che impone, per reazione, una violen– za contraria, quella· praticata dai vari gruppi d'azione diretta, le brigate rosse e le altre fra– zioni di annate rosse o nere. Non condividen– do questa diàgnosi, ho scelto fonataniente un rimedio differente. Si deve ancora precisare che non si tratta di u·na panacea: i inembri del– la nostta società soffròno di.ben altre forme di mi!i(!ria di' quélle che una tolleranza ben tempe– rata non possa rimediare. , . ' ,. .. _ ·. . (Traduzione. dj_Valeria Ca,mporesi)
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