Fine secolo - 14-15 dicembre 1985

ti soggettivi". Non ha un lieto fine, questa storia. Dopo l'u– scita dal carcere, arriverà una seria malattia. poi la condanna,-e una libertà incerta, "provvi– soria". Ma c'è un simbolo che percorre il libro, e puo valere come augurio per Magnaghi e per un'intera generazione: è un piccolo aliante di balsa, costruito a San Vittore e subito impi– gliatosi in una tettoia, un muro, una delle tante barriere; e costruito di nuovo a Rebibbia, con tutta la passione di un'attività riscoperta in una dimensione di ricca socialità, e lì volato in alto - fino a diventare, stilizzato in un origami, il simbolo di quell'idea di libertà che ha anima– to l'area omogenea e ha dato vita al primo vero movimento contro il carcere (e cioè per il suo reale superamento). Fiabe, quasi fiabe La vicenda giudiziaria di Giuliano Naria è no– tissima. consistendo in una delle più crudeli persecuzioni giudiziarie della storia repubbli– cana: detenuto dal 1976 per imputazioni con– nesse ad attività brigatistiche cui si è sempre dichiarato estraneo - cosa non usuale né poco significativa in quegli anni -, colleziona via via altri mandati di cattura, tra cui quello per la ri– volta di Trani. Verrà assolto da questa imputa– zione e da quella per l'omicidio del giudice Coco; rimane tuttavia in carcere per le nume– rose altre accuse e si ammala gravemente. Ri– coverato in ospedale per "anoressia e sindro- negli occhi per ur. foglio di carta e una ma– tita. Nella Parte da questa Parte del Fjume, chiunque arrossiva e diventava giallo per l'itterizia, veniva isolato affinché il colore scomparisse e se non scompariva veniva consegnato aLFiume che ci avrebbe pensa– to lui: ché nel fondo del Fiume si può arros– sire e ingiallire a volontà che tanto nessu– no ti vede. · Invece dall'altra Parte si potevano persino tenere dei piccoli bottoni colorati e c'era chi ne faceva anche collezione. C'erano poi quelli che si scrivevano iettere e cartoline, da una Parte all'altra, perché il Fiume non poteva arrivare fino al cielo e gli uccellini ci volavano e ci scagazzavano so– pra e allora se proprio gli eri simpatico ti portavano anche i messaggi che volevi tu. Dall'altra Parte tanti avrebbero voluto pas– sare da questa Parte e viceversa, Alcuni poi pensavano di abbandonare questo as– surdo Paese. Ma il Fiume faceva certe ser– pentine, certi giravolta, certi zig-zag che per quanto potessi tanto camminare te lo vedevi arrivare, sbucare come un'oasi e come un forsennato con le sue acquacce rancide e bitorzolute, e pif paf paf ti trovavi da una qualche Parte che non sapevi nem– meno da che Parte eri. Ecco che allora tan- FINE SECOLO* SABATO 14 / DOMENICA 15 DICEMBRE :=:~~=::=:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::··········n-i-11111111111mmmmmmmmm111.1..1... ................ ::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::i::::::::::::::::: me dep1,,,;iva", ottiene la libert,ì - anzi gli ar– resti domiciliari - solo nell'agosto 1985. Naria vive ora nel piccolo paese ligure di Gar– lenda, si sta rimettendo fisicamente e psicologi– camente, sta scrivendo (o ha già scritto) un ro– manzo. Questo suo libro raccoglie le fiabe che ha scrit– to in prigione. Questa sua attività era nota ed era diventata uno degli elementi più popolari della campagna per la sua liberazione: ma come, un assassino, un feroce terrorista che scrive favole? Tutto serve a una causa giusta, naturalmente. Ma ora che Naria è quasi libero sarà bene parlare delle sue fiabe non come una testimonianza di umanità e mitezza che, per fortuna, non gli è più richiesto di dimostrare. .Quelle di Naria sono favole strane, che conta– minano luoghi, figure e linguaggi classici del genere con altri eccentrici e sorprende~ti. Così alcune fiabe sono una sorta di remake, con in più qualche ironia, qualche scarto linguistico; altre sono invece lontanissime dagli schemi ca– nonici, e più vicine·al surrealismo e alla patafi– sica (la scienza immaginaria del prof. Faustroll cui Naria si dichiara debitore). Il distacco· av– viene progressivamente; e l'ultimo ciclo di sto– rie di questo libro somiglia di più ai racconti di fantascienza - una fantascienza onirica, acida, a metà tra desolazione e utopia. C'è forse una ragione, come racconta Naria; le prime fiabe ha cominciato a scriverle per i compagni di cella che avevano bambini picco– li, sotto il ricordo delle storie che aveva ascol– tato dalla madre e da una nonna contadina. Le ti che stavano lì s'erano un pò scocciati di tutte queste parti che dovevano recitare e poi volevano parlarsi e anche avere tanti colori ché dei bottoni non si accontentava– no. Allora... non si sapeva che fare . Ma ... c'era una bambina che voleva co– struire un Ponte, un Ppnte di colori che avrebbe potuto portare da una Parte all'al– tra. Un Ponte tra le parti che avvicinasse le parti, un Ponte per parte, da qualcosa per qualcosa, che fosse anche alto come il volo degli uccelli e che avesse i colori più belli. Un Ponte che fosse come un'autostrada a ottantotto volte otto corsie, dove tutti potes– sero camminare e correre e anche fermar– si e tornare indietro e cercare di volare e buttarsi giù di sotto. Di Ponti di colori però non ne aveva mai ·costruito ·nessuno. C'era stato una volta un Capitano che aveva costruito un Ponte di mattoni rossi - molto ben fatto; costruito con pazienza e éonoscenza - ma i mattoni sono materiali poco adatti, si sbriciolano e cadono in pezzettini e i pezzettini diventa– no poi tanta polverina. E poi non c'era stato più nessun ponte. ...La bambina pensò che un Ponte di colori dov~sse poggiare sull'insolido, e dovesse avere tanti nasi di farfalla e cuspidi di rana, Un'immaginedella manifestazionea Romadel 16 novembre1985.(La foto è di E.GiuseppeMoneta) storie finali, che hanno per protagonisti due personaggi, Oberon e Nic Niven, derivano in– vece dalle lettere che Naria scambiava con la moglie Rosella, anch'essa per un periodo dete– nuta. Era dunque, in modo eclatante, un tenta– tivo di comunicazione, il risultato di uno sfor– zo di comunicazione condotto in condizioni difficili, quasi estreme. Ma per Naria scrivere è sempre stato, ha detto in una lettera, "un ·modo di lottare e sconfiggere l'isolamento, lot– tare e sconfiggere l'istituzione, un modo per ri– congiungermi con i miei, con tutte quelle per- · sone - bambini, donne, vecchi, operai, barboni, birbanti, pazzi - che sono con me". (Di qui, certamente, la scelta di scrivere favole, cioè la forma Jetter:;tria più immediatamente com– prensibile e comunicabile). Sono favole stralunate: le popolano Draghi che preparano manicaretti, Vecchi che fumano passerotti, -un Corvo Reale incapace di sbadi– gliare ("eppure la noia tra· i corvi non faceva difetto"). Dove lo schema classico della favola viene più frequentemente tradito è nei finali, spesso imprevisti e disorientanti: "E vissero per sempre sobri e felici", oppure "E visse da · quel momento passeggiando e. gironzolando"; che, viste le situazioni, sono ancora degli happy end. Ma anche: "Senza nessuna perfidia cominciò a scorticare la pelle delle braccia per separare le vene dalle arterie ...". Spesso qual– cosa di tremendamente feroce compare nell'o– rizzonte incantato della storia; ma questo, in fondo, accade da sempre nellè fiabe. A volte questo orrore sembra vincere. A volte, come nelle storie di Oberon e Nic Niven, è vinto dal– la comunicazione. Credo che "comunicazione" sia la parola chia– ve per comprendere -questi testi provenienti dalle prigÌoni; del resto che quello sia il nodo centrale della condizione di detenzione lo ave– vano già intuito artisti e scrittori. Basta pensa– re al racconto di Kafka, Nella colonia penale che potesse anche poi dirigersi in ogni di– rezione. Ne parlò con gli uccellini, perché il. mate– riale insolido non si trova sulla terra; gli uc– cellini andarono nel Paese che "Non c'è", presero la roba e la portarono qui da noi; e il Ponte poi non lo costruì nessuno percné si fece da solo, come per incanto. E si cominciò a passare da Parte a Parte, trasportati sulle onde di colori, dallo scor– rere dell'insolido. Ma solo quelli che sono capaci di cammi– nare sui Colori possono camminare sopra il Ponte, chi non riesce a camminare sui colori non potrà mai conoscere l'altra Parte e vedrà solo dei riflessi, dei barbagli, delle ombre. Il Fiume, quando si accorse· del Ponte, scocciato e deluso rigettò dai suoi fondi tùt– ti gli arrossiti e gli ingialliti e chiunque fos– se stato trattenuto in posto; e anche questi cominciarono a viaggiare sopra il Ponte. ...Solo i malvagi, i·tristi e i bravi, non pos– ·sono attraversare il Ponte di colori. E sono ancora lì che discutono e litigano sulle parti e le partenze (da / giardini di Atrebil, Edizioni Il Manife– sto) · (che cos'è - se non segno della ·comunicazione, :della comunicazione come libertà - l'esplorato– re che vi compare come speranza delusa?) o al ·più recente romanzo di Carmelo Samonà, Il custode. - Un volume sugli anni Settanta Voci dal labirinto degli anni Settanta, voci molto particolari, ovviamente: "Mille di que– ste storie possono essere raccontate. Una è suf– ficiente", scrive Magnaghi. E voci particolari sono tutte quelle che parlano degli anni Set– tanta; anni che sfuggono a una verità univoca, a una rappresentazione unitaria. Questo è il senso che mi sembra si possa trarre dal dibatti– to svoltosi il 12 ottobre scorso a Milano per iniziativa di Democrazia Proletaria, in quel èonvegno sugli anni Settanta assurto a una certa celebrità e i cui atti escono oggi, con grande tempestività (1968-1976. Le vere ragio– ni, Mazzotta editore, lire 15.000), Del volume vanno subito segnalate le numerose fotografie di Uliamo Lucas, vera e propria "storia paral- lèla" del decennio. . ta storia infinita degli anni Settanta assomi– glia qui a un romanzo polifonico; prendono la , parola persone i cui itinerari si sono notevol– mente differenziati. E una pallida eco di quelle differenze si ritrova nelle qualifiche che accom– pagnano ogni intervenuto ("filosofo", "scrit– tore", "magistrato", "avvocato", "consigliere comunale del Pci", "deputato di D~', "presi– dente dei dc;putati del Psi"). Ne risentono non solo.i ragionamenti, ma più ancora il linguag– gio. In qualche caso rituale, in altri forzata– mente scettico; sempre, mi sembra, un po' im– barazzato, Ma a una rilettura sommaria degli interventi pa;re raccolto l'invito, generico ma utile, che apriva il discorso di Luigi Saraceni: "ricostrui– re: senza ipocrisie, senza infingimenti, le pro– prie identità, assumendosi ciascuno le proprie responsabilità ed evitando possibilmente di ac– centuare le responsabilità altrui per attenuare le proprie". Encomiabile intenzione, che non poteva, ovviamente compiersi in un pomeriggio di dibattito. Ma che in quel dibattito - e nei suoi dintorni: ricorderei almeno la lettera-do– cumento di 100 ex studenti dell'ltis Molinari (la 'scuola di Ramelli) pubblicata sul "manife– sto'.' del 4 dicembre - ha in quelche modo avu– to inizio. Non che ipocrisie e mezze verità sia– no :mancate. Ma le mezze verità sono a volte solò il pezzo di verità che uno sa o sente. E il convegno milanese non era da questo punto di visfa l'occasione migliore, nato com'era anche per difendere i compagni degli anni Settanta appena incarcerati. Il dibattito ha avuto mo– menti buoni, e anche divertenti. Inutile citare, e discriminare in un raduno cui tutti partecipa– vano per difendere qualcosa che Ii aveva uniti: ogni lettore separerà da sé gli interventi stimo– lanti da quelli più banali. E li troverà, gli uni e gli altri, utili. Ali~ fine di questo breve e un po' casuale--viag---– gio tra, pubblicazioni sul sofferto òecennio, ca– piremo cosa sono stati gli anni Settanta? Non cred'o; forse però capiremo cosa non sono stati. Per •smontare manipolazioni e falsificazioni dovrebbe b~stare. Per ricominciare a ricorda- re, può servire. Per capire davvero, è appena l'inizio,

RkJQdWJsaXNoZXIy