Fine secolo - 7-8 dicembre 1985
• davanti a una gran finestra sul giardino. «I bambinetti camminano quando sono ancora incredibilmente piccoli. Nelle vie delle città non ci se ne accorge, col traffico, gli autobus: da questa vetrata invece ogni tanto li vedo passare, che sembrano appena nati, e già camminano». · Dopo aver escluso risolutamente che fosse più possibile, ricominciò a credere e desidera– re di scrivere un nuovo romanzo. Cominciò a parlarne a proposito dell'esperienza del suo corpo. «La cosa più importante è detta in quel verso, cuore fanciullo in corpo di vec– chiezza. Non so dove metterlo, questo corpo, come liberarmene. Questo corpo che non mi serve più a niente, che mi dà solo sofferenza -su questo potrei scrivere un ~omanzo». Poi - bruscamente i suoi accenni diventarono in- sieme più precisi e più reticenti: aveva deciso fra sè che cosa avrebbe scritto, e come. Ave– va ricominciato a leggere, le poesie di Capro– ni e di Betocchi, il Custode di Samonà, La rovina di Kasch di Calasso. Ora si mise a leg– gere soprattutto da libri di fisica e di biolo– gia, e la sentii dire che aveva pensato a una scrittura secondo una «quarta dimensione», e che era un'intuizione facilissima. A Natale del 1983, era in clinica ormai dall'aprile, ri– prese per la prima volta la penna in .mano, e le venìva fuori una scrittura minuta, di cui si sorprendeva e si lamentava scherzosamente. Si era anche scelta un nuovo nome, che tene– va segreto.· Elsa raccontava volentieri che avrebbe dovu– to chiamarsi Eva, se non fosse stato per l'op– posizione di suo padre. Se ne rammaricava. Un giorno, ma era in quello stato di eccita– ·zione trasognata, mi disse con solennità: «Ti rivelerò il segreto dei segreti: gli uomini in realtà sono donne, e le donne uomini». C'erano giorni in cui stava assai meglio, e, dunque si sentiva peggio. Diceva che forse anche questa malattia le era stata mandata per prova. Che, al contrario di quel che pen– sava Leopardi, si viene al mondo per propria scelta, perchè ci sono delle cose da fare. E se ne è responsabili. Diceva di temere soprattut– to la solitudine delle mattine. Dunque ti piac– ciono le sere? «Le sere sono terribili, perchè avvicinano le mattine». Nel primo periodo faceva sogni spaventosi, che la svegliavano in pitna notte. Monache feroci la perseguitava– no. Poi, forse per i farmaci, le sembrò di smettere di sognare. Va meglio, allora -le di– cevamo. «No, è ancora peggio, anche i catti– vi sogni mi hanno abbandonata, mi tenevano FINE SECOLO* SABATO 7 / DOMENICA 8 DICEMBRE :111iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiim:m:m:m:::::::::::::mmm::m:111mmmmm1mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm 3 7 almeno compagnia. Si sono offesi». Più tardi riprese· a sognare, sua madre soprattutto. «Alta alta, vestita di marrone, e non aveva simpatia per me. Non aveva niente contro di me, semplicemente non aveva simpatia. Sono stata malissimo». Ma altre volte era più com– passionevole. Elsa parlava spesso della sua famiglia, e dc,l suo doppio padre -un intervistatore francese ha pubblicato la storia. Il padre anagrafico si chiamava Augusto: «Ora penso a lui con compassione, a quando usciva di casa con le tasche piene di giornaletti, da far vedere ai bambini. Era un istitutore». Una volta Elsa disse: «Anelo a una cosa sola: alla fine», e gli amici protestarono. Bisogna fare, le dissèro, come.quell'archeologo che aveva scavato per cinquant'anni, e chiede «Ancora mezz'ora, - per favore». Elsa si mise a celiare: «Una mez– zoretta, comare, come dice Crispino nell'ope– ra Crispino e la comare, mia madre la canta– va sempre. Poi non so come andava a finire. Una mezzoretta comaretta per vedere la mia Annetta. La comare era la morte. La morte te li dà i cinque minuti di proroga, ma te li fa pagare cari». · Elsa prendeva assolutamente sul serio le pa– role, e la sua conversazione era sempre impe– gnativa. Mentre parlava, Lucia andava e veniva silen– ziosamente, mettendo ordine nella stanza, o a dar da mangiare sul davanzale ai passeri, presso cui era popolarissima. Elsa parlava di persone morte. Raccontava che aveva incon– trato un giorno, a piazza del Popolo, un vec– chiettino di favola, ma con qualcosa di cono– sciuto, e poi era Bobi Bazlen, invecchiato di colpo perchè aveva -perduto la sua casa-ca– panna, una stanza ammobiliata, e dopo un po' ne era persino morto. Che Saba era deli- . zioso, ma era anche un vecchio impossibile, e diceva qualche bugia: le lesse il suo 'Ernesto' dicendo che lo leggeva solo a lei, Elsa ,era lu– singata, ma non era vero. Quando Saba si autorecluse in manicomio, e sosteneva che solo lì c'era gente perbene (quanto a Elsa, credeva che nemmeno lì) le diceva: pensano che io non sappia che le iniezioni che mi fan– no non sono di morfina, ma di acqua fresca. Raccontava che Eduardo, in un certo tempo, non capiva che cosa stesse avvenendo nel teatro di avanguardia, e aveva paura di aver sbagliato tutto. Aveva·anche fatto un sogno, lui era in un palco in un teatro e non riusciva a capire niente di quello che succedeva sulla scena; poi si lasciò convincere che erano fes– serie. Elsa fu sconvolta dalla morte di Eric Linder, pocq prima del suo tentativo di suicidarsi. Quando.morì Terracini, era in clirtica. «Dove sarà ora Terracini», disse. E poi: «Forse è lui ora il giudice». ·Mentre era in clinica, ci fu il disastro n"ella casa editrice Einaudi, e Elsa, che l'aveva sem– pre avuta, ebbe ancora più paura di diventa– re povera. Non smise mai di pensare a Lucia,. sapeva di dover curai-e i propri interessi, ma sentiva anche una forte fedeltà. Voleva bene a Einaudi: "E' come un bambino, ha tante mogli, a me questo piace. Mi hanno raccon– tato una storia bella di quest'estate a Gino– stra, che passava sempre un rumore di zocco- . li e un raglio d'asino, e una mattina che non era passato, Giulio è andato lui a ragliare -al letto di sua figlia". Dei pettegolezzi, delle sciocchezze e ·delle polemiche sollevate a pro– posito di un aiuto pubblico per le sue cure, si occupò poco. Venne a trovarla Pertini, e te diede "tanti bacetti: asciutti, per fortuna, non umidi". Non ricevette un soldo, neanche dal Comune di Roma e dal sindaco Vetere che proclamò alla stampa di averglieli dati. In compenso, la visita di Pertini fece salire la considerazione di cui godeva nella clinica. "Hanno capito che ho scritto dei libri". Il prossimo sarebbe stato per lei il terzo Na– tale alla Villa Gherardesca. Elsa amava 11 Natale, aborriva il Capodanno. Amava bensì "il furore, lo splendore, il fragore, di quella guerra senza vittime che sono i Capodanni a Napoli. E come si potrebbe vivere senza i botti?'-' C'era festa intorno a lei, in quei gior- ni. A d:apodanno dell'anno scorso, mi disse: "Hai visto quel film francese, così· bello, su un vecchio; un pittore, forse era Miche! Si– mon, che era tanto malato, e invitava a pran– zo tutti i nipoti, e non lo faceva vedere, e c'era molta allegria; poi lui andava via, resta– va solo, e si metteva a piangere". · L'albero di Natale lo voleva solo con orna– menti d'oro. Alla decorazione pensava Giro– lamo, un giovane marittimo che· quando era a terra faceva il muratore a Campagnano, e quando era imbarcato incontrava albat_ros nei mari del sud. Elsa andava alla messa di mezzanotte, in clinica ("u'ria cappella decora– ta di mattonelle lucide, come un bagno"). Non, spiegava, per un qualche gusto del rito, ma perchè credeva in Gesù Cristo. Nelrulti– mo anno ì libri che aveva più a portata di mano erano il Vangelo e la Divina Comme– dia, anche perchè erano volumetti minuseoli, che non le pesavano. "Il Vangelo"me l'ha re– galato Tonino Ricchezza, e mi ha chiesto: ma qui è raccontata la vita di Cristo?". Di Dio parlava spesso e con grande familiarità, e una delle sue parole predilette era "grazia" - e "disgrazia". "Penso che Dio è la natura, e che alla natura appartiene l'uomo che ha espresso più mirabilmente questa divinità che è di tutto, Cristo. Penso che ora gli uomini · hanno perso lo Spirito Santo: chissà se si è estinto, o è solo nascosto. Il fatto che ne stia– mo parlando ora potrebbe far sperare che si sia nascosto". _ Del precetto di amare se stessi come il pro– prio prossimo, era la prima parte che lei tro– vava impossibile. "Io non mi sono mai pia– ciuta. E perfino ora, in questo inferno, qual– cuno crede di invidiarmi. Mi piacevano i ra– gazzi, mi facevp oella, ma per loro, non per me. Non mi volevo bene. Ai miei libri sì, vo– levo bene'. Diceva di aver sempre preferito gli omoses– suali perchè odiava essere tastata - "tastare è altra cosa che toccare". Prometteva che si sa– rebbe reincarnata in un gàtto, "o una gatta, il sesso non importa". Le fecero ascoltare la "Chanson pour Elsa", di Aragon-Ferrè: "Elsa, mon amour, ma jeu– nesse... C'est toujours la prémière fois, quand ta robe en passant me touche". Elsa era commossa, disse che avèva appena so– gnato la stessa cosa, che Moravia le diceva "tu sei stata )a mia giovinezza". Diceva che con Moravia aveva avuto un rapporto fatale: "Scfuo ancora in ansia· quando so che lui par– te per l'Africa, anche se non è l'Africa selvag– gia che sognavo da bambina". • Quando Moro fu rapito, e !)Oiucciso, diceva Elsa, la sua "Storia" fu sconfessata. Una · notte, angosciata, aveva scritto una lettera alle Brigate Rosse - è conservata da qualche parte. "Aracoeli" mi sembrò una sconsacrazione della "Storia", un sacrilegio deliberato. Le prime tre pagine e mezza di Aracoeli hanno un tono di rievocazione favolosa e intenerita, di lenti imperfetti ("mia madre era") e di vez– zeggiativi - e subito dopo lo spazio bianco di due righe le distanzia come una voragine dal tono inaridito e definitivo del nuovo _para– grafo: in cui il passato, prossimo o remoto, è compiuto, e _non c'è più spazio per la pro– messa di durata degli imperfetti ("Sono pas– sati trentasei anni ... non penso di tornare mai più ... l'ultima volta che ci andai ... Però lui stesso ormai ... dove non c'è più nessuno, e nemmeno io..."; e più avanti uno strappo ancora più violento e oltraggioso: "Io vado raccontando a me stesso favolette parroc– chiali''. Qui la decrepitezza è diventata la ve– rità della gioventù, la distruzione di tutto è di.ventata la verità della vita, la corruzione o la miserabilità mediocre o la bruttezza sono diventate la verità. dell'innocenza. E' come se, dopo aver dato la grazia al bambinello · Useppe, Elsa Morante gliela tolga, spietata– mente, nell'adulto · mancato Emanuele. E proclami che la condanna alla bruttezza non sta fuori, nella Storia, ma ha radici dentro ciascuno; che le vittime meritano pietà, ma non promettono né a sé né agli altri un possi– bile riscatto. Che il mondo non sarà salvato dai ragazzini, nè da altri - non sarà salvato. "Aracoeli" replica e sfregia "la Storia". La replica fin dall'annunciazione e concezione dei protagonisti, due donne ignare, due sol– datì in terra altrui. Ma la sessualità "natura– le" e materna della Storia diventa ossessione, lacerazione, condanna, sfacelo del corpo. Il rnmanzo di chi ha la ventura di morir giova– ne contro il romanzo di chi ha la malagrazia di sopravvivere. · · E' come se Elsa Morante, dopo il distacco· implacabile e pietoso insieme della "Storia", gridasse ora che non era vero, ·che troppo sforzo esigeva quel distacco, e che la scrittri– ce che testimoniava, pur amando e giudican- · do, della tragedia altrui, è dovuta diventare il personaggio che parla di sé, ha dovuto "prendere corpo", e lagnarsene e inorridirne. Smettere di denunciare lo scandalo dell'altrui grazia violata e oltraggiata, e urlare per la propria e universale caduta in disgrazia. Il linguaggio è restato lo stesso, ma contorto, come ciò che non viene più dall'alto, ma dal– le viscere, dalla fossa, che non si vergogna più d'esser visto miao, e sofferente. Al fondo dei romanzi e delle poesie di Elsa sta per me•iI sentimento che il gergo giudizia– rio chiama "oltraggio al pudore". (Nel lin– guaggio evangelico è il dare scandalo ai fan– ciulli. Elsa diceva anni fa di sperare almeno che gli orrori del nostro tempo non arrivasse– ro all'uso pornografico delle bambine). Que– sto pudore proprio a ciascuno - non la scioc– chezza del "comune senso del pudore" - è il criterio costante della poesia di Elsa: nel ri– serbo naturale e selvatico dei suoi animali o di Ida, nella paura di mostrarsi nuda e nei piedi tirati indietro sotto la sedia di Aracoeli, nella donna da tedeschi rapata e messa in co– pertina, nelle donnine da calendario di Ara– coeli e la loro "accusa di oltraggio insanabi– le": In Aracoeli oscenamente nuda. E anche nella battuta_ sul bambino maligno che vede il re nudo. Dopo aver letto Aracoeli - libro · "brutto", che respinge - ci si chiede se in fon– do alla sua parabola non si possa di nuovo guardare dentro le piaghe senza offendere, e senza esserne offesi. O se il suo senso ultimo, oltre quell'intollerabile, irreparabile peccato di indiscrezione, stia negli occhiali che si tol– gono -- "con un gesto automatico mi sono tolti gli occhiali, come uso abitualmente quando non c'è nulla che mi importi di vede– re"-. • Un giorno, in clinica, Elsa disse, gridò quasi: "Non me ne importa niente della testa, mi importa del cuore, della fica".
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