Fine secolo - 30 novembre-1 dicembre 1985

Cliente l: «Ho preso due mas chi». Cliente 2: «Giura! E chi altro ne.ha presi? Ce ne sono tanti?» . Cliente 3:·«Quest'inverno sono pochi». Cliente 1: «Stagionaccia. Sono tutti congelati». Qui, la gente non vede l'ora che venga il gior– no della festa, con il ballo. Con Fannie e Bill. Cliente 4: «Vai al ballo di fine d'anno, o no?» King: «Non lo so. Gliel'ho chiesto ieri sera, gli ho detto ...». Avremmo tanto voluto restare. Bere anche noi i famosi cinque galloni e conquistarci una taz– za, da appendere lassù, con sopra il nome. Come Virg Roberts, il banchiere, e Bob Vo– gel, il tagli,degna; o Big Ben Shields, uno dei primi ad andare volontario in Corea (per que– sto la sua tazza è decorata con una stella). Possedere tina tazza col nome, sembra una tale piccolezza. Ma quando muori, o cambi città,' alla «farmacia» di Arrol, la tolgono dal suo posto. Ecco: se la tazza è lì, vuol dire che sei vivo. Dunque non sono proprio delle piccolez– ze. So_noquasi un registro cittadino, quelle taz– ze. Fanno un po' la storia. Segnano l'esistenza, con tutti gli accadimenti, di una piccola città americana. La compagnia dei telefoni di Georgetown (Georgetown, M_ississippi) Oggi fare una telefonata negli Stati Uniti può non essere sempre un'impresa semplicissima. Devi dire: «Centralino, voglio chiamare il tale numero, nell'area tal dei tali. Il numero è 555- 4114. Il mio nome è K-U-R-A-L-T. Vorrei chiamare il codice 212, 555-4321, interno 3613». Ma a Georgetown, Mississippi, le cose sono più semplici. Alzi su il ricevitore e fai: <<?atricia,chiamami il drugstore». Signora Patricia Beasley: «Il drugstore di Georgetown? Il numero è 8; chiamo? Grazie». Patricia è la signora Mallard Beasley. È la cen– tralinista cui fanno capo gli 85 tefefoni della Compagnia di Georgetown. Signora Beasley: «Tommy, vieni qui. Che hai fatto? Senti, vai subito a lavarti le mani. Si mangia. Sbrigati». Tommy: «No». Signora Beasley: «Non fare storie». Tommy: «Sono mica sporche». Signora Beasley: «Altro che...». Il centralino sta in salotto. È stato nel salotto di qualcuno dal 1890. Dal giorno in cui nacque la Compagnia. In tutta l'America, di questi ac– crocchi telefonici fine secolo, non ne restano molti: forse un paio di cento. Ma vanno anco– ra forte. Quello di Georgetown sta per essere messo a riposo: la città passa alla chiamata au– tomatica. La signora Beasley non dovrà più dire: «Numero, prego. Credo sia fuori, Juani– ta. O.K. Ciao, ciao». Kuralt: «Conosci tutti gli abbonati?». Signora Beasley: «Sì, proprio tutti, sì». «Che tipo di richieste ti fa la gente?». «Tanti mi chiedono di fargli da segreteria tele– fonica: prender,!! e dare messagggi. Vanno da qualche parte e vogliono che gli amici sappia– mo che staranno via per qualche ora, ma che sono-rintracciabili al tale numero, di chiamarli lì. C'è una bambina, Karen, che mi chiama e dice soltanto: 'voglio la nonna'. E io gliela chiamo. La conosco benissimo». «Col sistema diretto K.aren sarà spacciata». «Temo proprib di sì...». La gente di Georgetown ha una gran voglia di telefonare come tutti noi; è il segno del pro– gresso, della modernità. E tutte le città voglio– no sentirsi moderne. Viene fatto di chiedersi se Georgetowfi sa a che cosa sta per rinunciare.· Un esempio. Prendiamo il signor L.D. Speli, il padrone dello spaccio Speli. E una vita che rie– sce a scantonare dalla maledizione di_imparare numeri a memoria. Il suo cervello ne è rimasto sanamente sgombro. Se ha voglia di parlare col fratello, lo fa in un batter d'occhio: «Salve, Patricia, sei tu? Vorrei parlare con Fratello Rupert». Non solo. Con le chiamate dirette, anche la si- FINE SECOLO* SABATO 30 NOVEMBRE/ DOMENICA 1 DICEMBRE . f7 gnora Bidwell Berry sarà costretta a rinunciare a un bel vantaggio: «Patricia, ciao .. Hai mica visto Cathy?». Tra un mese, se avete in mente di chiamare El– mer Knight, l'autotrasportatore di George– towi:i, Mississippi, dovete cercarvi il numero sull'elenco. Nel frattempo, però, il suo numero è ancora il 2. Se, poi, non riuscite a ricordare neppure questo, farà tutto Pat Beasley. La gente, a Georgetown, è molto eccitata. Aspetta con an·sia l'arrivo del «nuovo» telefo– no. Ancora non sa, però, che se lo alzi e chiedi «dammi il tale», lui, il telefono, non sa che pe– sci prendere. Le volpi di Friendsville (Friendsville, Tennessee) Su una parete della palestra dell'Accademia di Friendsville, c'è una targa che dice così: «È il carattere, non la vittoria, che conta». Bene, in base a questo principio, Le Volpi dell'Accade– mia di Friendsville hanno certamente più ca– rattere di qualunque altra squadra stU<;lentesca di basket. Non si può dire, infatti, che abbiano racc0lto troppe vittorie. Si allenano tutti i giorni. Lavorano duro. Si tengono in forma. Faticano, lottano. Eppure, per ben cinque stagioni, dal 6 febbraio 1967. non hanno vinto una gara. Le Volpi di Frien– dsville hanno perso 119 incontri. Giocatore: «Quattro anni fa, Friendsville vin– ceva per un punto. Un avversario intercettò un passaggi-o,e conquistò la palla. Fu un canestro facile, ma ...era il canestro sbagliato». Secondo giocatore: «Qualche anno prima, an– che mio fratello era stato con le Volpi. Era già il secondo anno che le cose avevano preso que– sta piega. Per l'anno seguente, speravo in un'inversione di tendenza. Non fu così. Sono cinque anni che andiamo avanti in questo modo». Terzo giocato.re: «Sembra che i nostri avversa– ri abbiano sempre buon gioco, ecco cosa sem– bra. Un esempio: l'anno scorso incontriamo una squadra che non aveva mai vinto. Con noi vinse. E giuro che volevamo vincere noi. Dav– vero». Mettetevi nei panni di Johnny French o di Joe Housley. E persino di Bino Ingram. Immagi– nate per un attimo che cosa significhi perdere sempre. Ma proprio sempre. E adesso immagi– nate di stare al posto del nuovo giovane allena– tore, Rick Little. È al suo primo lavoro e che cosa ha in mano? Giocatori dalla lunga carrie– ra, ma di perdenti. Date un'occhiata ai tiri d'allenamento: mancato, mancato, mancato. Ancora mancato. L'Accademia di Friendsville è un liceo quac– chero. E i quaccheri, com'è noto, credono fer– mamente che sia il carattere, e non la vittoria, la cosa più importante. È passato un giÒrno. Anche al liceo Lanier. Oggi, le Volpi di Friendsville, 119 sconfitte sec– che alle spalle, affrontano le Aquile di Lanier. · C'è qualcosa di commovente, perfino di gran– dioso, in tutto questo. Le Volpi stanno all'erta, come molle. Ma quella di Lanier è una scuola più grande. I suoi giocatori, in campo, sembra– no giganti. Nella Bibbia dei quaccheri, Davide uccide Golia. Però, nel mondo vero fu Lanier a passare in vantaggio. E subito, nei primissi– mi minuti di gara. Vi risparmiamo la suspense. Cercarono di •vincere. Ce la misero davvero tutta, le Volpi. Si sfinirono a forza di concen– trazione e di volontà. Persero: 66 a 30. .Si rivestirono in silenzio. Attraversarono, tutti insieme, la palestra vuota. E, tutti insieme, pre– sero l'autobus che li riportò a casa, a Frien– dsville. «Uno di questi giorni ...» disse qualcu– no. Ma qualcun'altro lo interruppe: «Sabato sera». Sabato sera giocano la prossima gara.

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