Fine secolo - 23-24 novembre 1985

Unamattina in purgatorio Claudio Lolli, insegnante di materie letterarie, Istituto tecnico «Aldini Valeriani». Bologna Lunedì pomeriggio: una telefonata dell'Istituto Aldini Valeriani di Bologna, enorme scuola alla prima periferia -della città, blocco di ce– mento a tre bracci che permette dai piani più alti una visione panoramica dell'Ippodromo· (coincidenza? Implicito invito in caso di falli– mento?), mi precipita nel ruolo di professore. L'istituzione che mi aveva cacciato .dalla porta con sollievo reciproco, nel '78 mi fa rientrare dalla finestra in questo scorcio di '85. Comin– cio a temere le coincidenze, '78, '85: non sarà scritto che devo collezionarmi tutte le annate · «indimenticabili»? Questa volta comunque sono dall'altra parte, anche se non so ancora dall'altra parte di che cosa. Passo parte della notte, nervoso,. a sfogliare frettolosamente la «Didattica dell'italiano» di Altieri Biagi, sotto– lineando convinto la distinzione che vi si .fa tra «autorità» e «autorevolezza» del professore; - spengo la luce alle due su questa frase: «agli in– segnanti nessuno ha mai insegnato di insegna– re»: Sono già cotto: quando incontro final– rpente, la mattina dopo i miei temporanei di– ciottenni dell'85 so che incarno. uno degli obiettivi delle loro lamentele: la scarsa profes– sionalità del corpo docente. La prima doman– da che mi fanno è quanto resterò: sono il quar– to supplente di italiano in due mesi di scuola. Il diario di classe è pieno di buchi: pare che tutti dopo un po' se ne vadano o per crolli psi– cofisici o perché trovano una sistemazione mi– gliore. Ai miei ragazzi non interessa nulla del– l'italiano o della storia, ma suppongo che non amino sentirsi abbandonati e incapaci di desta– re un interesse profondo e duraturo. Hanno già fatto. un (famigerato) tema in classe che nessuno ha corretto. Lo ripesco negli abissi di un armadietto di latta grigia, e ne leggiamo qualcuno insieme. Il titolo è proprio sui ragaz– zi dell'85, e cominciano a discutere animata– mente tra loro. Quelli del '68 e del '77 li defini– scono «teppisti» e «drogati», la parola rivolu– zione li fa sorridere. Ma si discute. L'immagine che questi futuri operai, futuri piccoli profes– sionisti, futuri disoccupati vogliono çiare di sé è di calma e di serenità, di mqdesta ragionevo– lezza, obiettivi accessibili e pratici, domanda di partecipazione sociale e di preparazione pro– fessionale. Non dimostrano fastidio se si sen– tono chiamare «bravi ragazzi»; da fastidio in– vece che tutti, tutti senza distinzione, applau– dano alle loro manifestazioni e questo sentirsi, in certo modo, ancm.:apresi in giro, ancora ri– fiutati, rimossi dalla retorica politica e giorna– listica finisce con l'innescare anche nei più ra~– segnati al ruolo di «positivi» civili postulanti, una rabbia intermittente ma vera, un corto cir– cuito improvviso tra il ricon.oscimento della propria impotenza e la complessità strutturale dei problemi tirati in ballo. In quest'aula di purgatorio sono ancora aperte molte porte: si può andare verso la rarefatta luce della bontà paradisiaca o scivolare giù nella vitalità dram– matica dell'inferno. Ma mancano venti minuti all'uscita, prendere in mano Dante è impensa– bile. Ho appoggiato sulla cattedra alcune· libri portati per sicurezza. Chiedono di che si tratta. Non hanno mai sentito parlare di Baudelaire né di Ginsberg. Sono tenuto anche a questo, debbo rimescolare un po' le carte, per cercare di interessarli a qualcosa («l'unico vero obietti– vo è fame dei buoni lettori», avevo sottolinea– to sempre -sul prezioso manuale di Altieri Bia– gi). Leggo a caso L'Albatros e le prime righe dell'Urlo: a dispetto della mia scarsa convin– zione stanno a sentire, si lasciano prendere. Soprattutto un ragazzo i~ prima fila, che ha grande difficoltà di espressione (balbetta) e che sul giubbotto ha la scritta: «Fuori dalla Nato». Quando si alza e se ne va ho l'impressione, dai suoi occhi eccitati e sorridenti, che non si ac- contenterà mai di qualche banco in più o di una luce migliore in questa grande aula grigia, di un profess re stabile per tutto l'anno. Ma cosa pensare di questo sguardo? Non sono riu– scito a trovare una risposta neppure nelle note a corpo piccolissimo della insostituibile «Di– dattica dell'italiano» di Maria Luisa Altieri Biagi. Durerà poco,ma è bilingue Fabio Bonafé, insegnante di italiano, Liceo scientifico «Albert Einstein», Merano Come prima cosa direi che io non c'ero. Sì, non c'ero per niente sabato 9 novembre qùan– do più della metà degli·studenti della mia scuo– la sono andati con "quelli dell'altra parte" in giro per piazza Mazzini, corso Libèrtà, via Roma, via Piave fino a fermarsi davanti al tin– novato teatro che la vecchia (e cara?) ammini– strazione austriaca ci ha lasciato a Merano, prima che diventasse Italia. Ero proprio da un'altra parte dell'impero, 1 ovvero della Re– pubblica, a Trieste, e verso le nove di mattina vedevo passare un abortito corteo di neofasci– sti çhe sfilavano per piazza Oberdan gridando con i megafoni "Trieste è italiana e italiana re– sterà". Avrei voluto dire un abortito corteo di cretini, che avevano tentato probabilmente di calamitare gli studenti, in quella mattina di cortei sparsi, dappertutto, in qualcosa che non era-lqro: . 3: Ma poi non ho detto cretini, perché in questa storia di Trieste, come in quella della mia pic– cola città, ci sono ancora dei problemi profon– di interpretati maldestramente o con gli qcchi annebbiati, ma non problemi cretini. Erano forse in due o trecento, avvolti anche nelle bandiere tricolori, e alcuni aggressivamente esaltati. Mi sono chiesto:· "Con cbi ce l'han– no?" "A chi gridano?" "Contro cosa cercano coraggio?" ' Ho incontrato quella stessa mattina degli ami– ci sloveni, una minoranza quasi sconosciuta in Italia. Avrei voluto sapere·subito la loro lin– gua. Quelli là fuori, invece,·gridavano contro la possibilità di imparare la lingua degli altri, degli sloveni appunto, che vivono da sempre con loro. Forse ce l'avevano soprattutto con Roma che è·la fogna di tutti i problemi nazio- . nali e che di queste cose nori capisce quasi niente. A Merano, intanto, erano sui duemila, italiani e tedeschi. Soprattutto tedeschi.. Hanno orga– .nizzato e fatto il corteo insieme, hanno parlato italiano e tedesco. Ohibò! mi sono detto/Così non era mai successo. Senza tanti discorsi su crucchi e mangiaspaghetti, questi studentini te– sta vuota hanno fatto una cosa egregia. Qui da, noi le aule ci sono, i professori- sono lì dal I O settembre, le p11lestre funzionano. C'è . solo paura delle tasse, che si pagano senza distin– zione di lingue. In ogni caso è ·successo. Nel giorno in cui I~ casse si inchinano ai farsetti, alla festa di uno sciopero di scuola (che si fa gratis) gli studenti testa vuota hanno spodesta- FINE SECOLO * SABATO 23 / DOMENICA 24 NOVEMBRE to dalle pagine dei giornali i bla bla (un po' cretini, un po' maldestri) dei politici locali che spiegano l'iti1lianit~ o la tedeschità del Sud Ti– rolo, e i diritti etnico-divini alla sedia di un Sindaco, dandò la loro versione, (un po' creti– na, un po' maldestra, ma pur sempre di alta politica) della pacifica convivenza. Forse non dura anzi meglio dirselo suhito. non durerà. (Così facciamo capire che noi ce ne in– tendiamo.) Ma intanto questi l'hanno fatto in– sieme, italiani e tedeschi. Se anéhe faranno fatica a spiegare perché– l'hanno fatto insieme, in una provincia dove le associazioni sportive sono. divise, le messe sono divise, le merende sono divise, èiovemille italiani in una volta vanno.a bersi i discorsi tri– colore di Almirante, e i tedeschi continuano a considerare lo sciopero una cosa poco perbene e un po' troppo italiana, questi qui 'a me. mi piacciono' lo stesso, anzi di più. Quasi sempre Sandro Ciampicacig/i, 36 anm, insegnante di matematica a/l'Istituto Tecnico Industriale «Se– veri», Roma Ora che anche Cossiga e «Porta Portese» (gior– nale romano di compravendite e piccoli an– nunci, n.d.r.) sono scesi a fianco degli studenti in lotta, si può for~ fare serenamente qualche osservazione. Inseg110da qualche annp in isti– tuti tecnici indùstgali, dove la presenza stu– dentesca è quasi e$clusivamente maschile; le strutture scolastich~ sono quasi sempre fati– scenti; gli insegnati maschi hanno l'attività principale, quasi sempre, fuori dalla scuola; le insegnanti femmine esibiscono, quasi sempre, opulente pellicce. Gli studenti provengono, quasi sempre, da quartieri~ghetto e vivono in famiglie dove il livello culturale è basso mentre il reddito forse non lo è, almeno a giudicare da abbigliamento, moto, motorini e spese quoti– diane per fare la merendina; molti hanno il computer, quasi nessuno legge libri, quasi tutti si saziano col Corriere dello Sport. Quando si spostano, mi fanno pensare ai bisonti del gran– .de Zeb McKay e quando parlano, alle note de– licate della Curva sud; esuberanti, certamente, e impulsivi, se è vero che a volte aderiscono agli scioperi senza sapere il perchè e altre volte non aderiscono agli scioperi senza sapere il perchè. Si sono mossi, a Milano come a Roma, per soddisfare concrete esigenze: ottima cosa. Adesso· sono tutti contro la finanziaria, ma quasi· nessuno sa di che si trattà (gli aumenti _previsti, se tradotti in cifre giornaliere, equi– varrebbero a un quarto di quanto spendono per lo spuntino di metà mattina). Non ho po– tuto osservare le manifestazioni dal vivo di sa– bato mattina, ma non solo, mi occupo di Vale– tio (11 mesi). Ma da quel poco che mi pare di essere riuscito a capire da resoconti amiçali, te– levisivi (evviva la diretta TV!) e giornalistici, sembrerebbe che le tendenze siano già òclincri– te: gli slogan tendono ad andare oltre e altro– ve, le teste dei cortei tornano ad essere terreno di caccia, l'ostracismo a cattolici e fascisti spa- 19 !anca le porte a intolleranza e sopraffazione. La parola passerà così (o è già passata) ai Ser– vizi d'ordine e per la gran massa degli studenti comincerà, lentamente, il ritorno a casa. Può darsi che sia la particolarità della situazione che vivo a indurmi a simili considerazioni; po– trebbe darsi, però, che la situazione che vivo non sia poi così particolare. Ma una cosa vor– rei comunque dire: provo un grande affetto per i «miei» studenti, quelli cioè con i quali ho un rapporto quotidiano di lavoro, ma questo movimento dell'85 proprio non riesco ad\ amarlo. Be', ioe'ero Nella Mustacchio Terra, insegnante di italiano e storia af/'lstituio tecnico commerc_iale,Crotone. Sabato 16 novembree 1985, ore 10, Crotone. Nel corteo organizzato dal COS (comitato or– gai;iizzativostudentesco) ci sono anch'io, a 36 anni suonati, con un piccolo gruppo di colle– ghi, tutti più o meno mimetizzati a gridare nuovi slogan e a rilanciarne di vecchi, magari con qualche parola in più o in meno. Mi sem-. bra di essermi scrollata di dosso venti anni, di essere quella che in altri cortei gridava contro padroni e sindacati e contro maschi _e ma– 'schietti. A dist~nza di qualche giorno dalla manifestazione non credo che il solo desiderio di ricreare certe esaltazioni e di rivivere certi eroici furori mi abbia spinto a partecipare, bensì la necessità di capire fuori dall'aula sco– lastica, al di là .dei programmi ministeriali, quei giovani che incontro ogni giorno e con i quali è difficilissimo dialogare.· Fra gli slogan · ripetuti "noi siamo il futuro, ma quale futu– ro", mi pare quello che più degli altri contenga il senso di questa lotta. In una intervista un giovane di Milano ha affermato che la sua ge– nerazione, quella del 2000, dovrà essere com– petitiva e professionale. Io non so se il giovane del Nord riuscirà ad essere competitivo e pro– fessionale ma sono più che certa che per i gio– vani a sud di Eboli non sarà possibile. E non lo dico per ripetere il solito lamento rassegnato ma per dare più gambe alla protesta degli stu– denti del Sud e del Nord. Fabbriche chiuse o in via di chiusura, totàle assenza di nuove tecno– fogie, assistenzialismo diffuso e clientelare, flo– ridezza del mercato della droga, terreni fertili per la mafia, questa la nostrà realtà, questi gli stimoli per i nostri giovani! L'urgenza dei pro– blemi richiede a livello politico un rilancio del– le scelte·educative perchè la scuola diventi ve– ramente una sede dove i problemi culturali e didattici e le esigenze esistenziali trovino rispo– ste adeguate. Altro che tagli sulla scuola, altro che tasse indiscriminate! Per tutelare la scuola pubblica i buchi neri che riguardano l'attività scolastica hanno bisogno di una grande bonifi– ca. Ai nostri giovani' non basta la derattizza– zione, la disinfestazione da pulci e pidocchi, hanno bisogno di tutto!

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