Fine secolo - 23-24 novembre 1985
.-·~-~:. .• , . . , . .,. ·:- . ·: . . . . ' . - ~· .. . ·. ..· .. " FINE SECOLO* SABATO 23 / DOMENICA 24 NOVEMBRE ·14·· nifestare, sì, ma anche di ricercare presso gli adulti confronto e consiglio. Qualunque sia il segno, positivo o -negativo, che a questa diver- sità si vuol dare. · · Come si diventa professore Come ho già &tto, io sono una professoressa quarantenne. Il '68 di cui tanto si parla è stato per me anche il primo anno di scuola dall'altra parte, dietro la ca.ttedra: e il senso dei molti anni passati da allora me Io danno anche i tan– ti ex alunni che incontro per la strada .ormai adulti, con bambini e calvizie. Sono entrata nella scuola, come succedeva in quegli anni di grande espansione scolastica,. senza difficoJtà, quasi senza pensarci: e senza alcuna preparazione. Non che, per dirla senza false modestie, non sapessi diverse cose: di ita– liano, di storia, di letteratura in genere. Forse anche di più di adesso. Ero laureata -in lettere, avevo fatto un esame di abilitazione, feci poi un esame di concorso, in cui dovetti tra l'altro dimostrare di saper svolgere un tema sulle ope– re minori di Dante e fare una lezione sulle tra- . gedie di Giovan Battista Giraldi Cinzio. In– somma riuscii a dimostrare di aver studiato: nessuno pretese che sapessi anche insegnare. Come tutti i professori, quello che ho imparato del mio mestiere e che veramente mi è servito l'ho appreso ·poi sul campo a spese dei ragazzi che mi sono stati affidati, e continuo ad ap– prenderlo: ché la possibilità di prendere a mo– dello i miei ex professori di liceo, così come era avvenuto per le generazioni precedenti_ alla mia, è svanita con la scuola & massa, la Lette– ra di Barbiana e la rottura col passato operata dal '68. . Ma a me e ai miei colleghi nessuno è mai venu– to a chiedere conto di come e di cosa insegna– mo. Tanto meno ad ascoltare suggerimenti o a dare consigli. A nessuno sembra interessare come facçiamo, negli anni Ottanta, a svolgere nella scuola di massa il programma di lettera– tura italiana che era in vigore quarant'anni fa, o a far leggere I Sepolcri del Foscolo a ragazzi che arrivano all'ultimo anno di studi superiori, ~negliistituti tecnici, non solo senza alcuna no– .zione della cultura classica, ma ignari del signi– ficato di parole di uso comune come ipocrisia, navata, indulgente. - Nessuno, tanto meno il ministero che continua , a sfornare ogni anno gli stessi temi di maturità, ha mai proposto ai docenti un ripensamento_ su come si insegna a scrivere e che cosa, a ra– gazzi per i guaii l'unica forma di lettura è, se c'è, quella del manuale scoll!.stico. Nessuno sembra sapere, al di fuori delle ipotesi delle ri– viste specializzate, in che senso debba andare la formazione cult_uralepromossa dalla scuola, mentre avviene che i giovani sì formino co– munque fuori-della scuola, attraverso bombar– damento televisivo e contatti coi coetanei, sot– toposti a una quantità di stimoli che gli inse– gnanti nemmeno conoscono. I grandi dubbi e le piccole certezze Così il professore, isolato nel suo impegno quotidiano con una classe che richiede un'at– tenzione costante e assoluta, si pone, soprat- . tutto se è come me insegnante di lettere, pro– blemi di impossibile soluzione sul suo ruolo e le sue funzioni. Pilò essere solo un esperto, un tecnico per così dire, o non deve cercare di essere anche un "maestro"? Possiamo puntare tranquillamente a un mondo senza libri, come sembra facciano le grandi società di computer e &oftwaresolle– citate da più parti ad occuparsi della scuola, o dobbiamo proporre il gusto della lettura come un valore da non distruggere e l'amore per i li– bri come un segno di civiltà? · Il mio lavoro mi piace. Vorrei saperlo fare bene. Lo facci_ocome so e posso. Chissà se sono un bravo o 'un cattivo maestro. Ma quelli che usano questa formula dovrebbero almeno spiegarne il significato. Cos'è un buon inse– gnante? I pareri sono discordi. Certi scolari pensano che sia uno che promuove, altri uno che "capisce"; certi genitori. uno che capisce i loro ·figli e boccia quelli degli altri; per certi professori un buqn insegnante è chi .riesce a far lezione senza che voli una mosca e per alcuni presidi chi non èrea grane; l'ispettore del mini– stero piovuto all'LT.F. di Pisa l'anno scorso proclamò che non può essere un buon inse– gnante uno che non tiene in ordine il registro. Comunque io penso che il lavoro scolastico, proprio perché non dà prestigio 11épotere ed è in maniera spesso così assurda isolato dal mondo di oggi sia ancora una delle poche atti– vità che si svolgono in un ambiente umana~ mente·positivo, dove i rapporti personali sono spesso ricchi e l'impegno disinteressato è fre– quente. Si potrebbe certo fare' di più e di me– glio, e non solo nel senso delle aule e dell'infor– matica. Pure a volte mi chiedo se, dal punto di vista educativo, non sia deformante esaltai-e i valori della tradizione umanistica, l'atteggia– mento critico, il rispetto per l'altro, la since– rità, la coerenza tra parole e fatti; o se non sia proprio questa educazione a una realtà diversa che isola la scuola dalla società e che immette ragazzi sprovveduti in un mondo di lupi. Tuttavia so che all'utopia di un mondo miglio– re, inseguita per vie politiche nei miei anni gio- · vanili e poi caduta, sul piano educativo e cul– turale non so rinunciare. Il movimento del/' 85 Ma nòn si può chiedere, a chi ha coltivato certi sogni in gioventù e vive oggi una limitata e se– renamente apprezzata realtà, di partecipare con entusiasmo alle attuali agitazioni degli stu– xienti. Il movimento dell' 85 è visto da molti professori di questo tipo con un misto di sim– patia e di ironica benevolenza. Simpatia e be– nevolenza sono i sentimenti che si provano spesso per i propri alunni e che sono suscitati in particolare in questo caso da un certo pater– nalismo e dall'inconfessata nostalgia per i pro– pri anni giovanili. L'ironia è prodotta da un senso inevitabile di distacco. I professori come me non sono, purtroppo, come i ragazzi che nella scuola vengono e van– no: ormai ci sono quasi da vent'anni, hanno conosciuto il '68 e il riflusSo, la battaglia per i decreti delegati e la vita formale e burocratica dei consigli attuali, la fine dell'utopia e la realtà prosàica del lavoro q1,1otidianodi oggi. Sono abituati a perdere. Per questo guardano c~n sim~at~a le_grandi ~ alle~re m,_ani~estazion! d1 questi giorm, perche quei ragàzz1 sono "1 loro" studenti, amati e odiati, ingenui e rompi– coglioni; diffidano dei troppi riflettori impro\;'– visamente puntati sulla scuola; pensano che forse qualcosa si muoverà: ma non ci contano tanto. Le professoresse E' indubbio che la professoressa riunisce sfor– tunatamente in sé due condizioni oggetto di particolare disprezzo e derisione: oltre ad esse– re insegnante è anche donna. Non voglio qui fare del vittimismo. In fondo sono nel vero an– che quelli che dicono: "Sì, c'è del pregiudizio maschilista nei loro confronti: ma anche loro, se non facessero di tutto per essere cosLantipa– tiche, almeno davanti alle ·telecamere...". Ed è, se mi si consente un paragone azzardato ma di attualità, quello cbe si dice degli ebrei. Dunque una· professoressa è una donna: maga– ri con aléuni privilegi, perché ha studiato fino alla laurea, spesso ha un tenore di vita discre– to, nonostante il _suomagro stipendio, e forse anche una domestica a ore. Ma, come tutte le -donne che lavorano, anche lei è drammatica– mente priva di ogni controllo sul suo tempo. e V" le sue occupazioni, continuamente divisa tra ruoli e·mansioni contrastanti. Se ha un intervallo nelle lezioni, la .vedi preci– pitarsi a fare la spesa; se ha un consiglio di classe nel pomeriggio, deve darsi da fare a tro– vare la baby-sitter; se arriva a scuola con la faccia pesta in genere è stata sveglia a cullare il figlio piccolo con la febbre. Certe volte, al ter– mine di una mattinata di•lezione, la professo– re;:ssasi trattiene in sala degli insegnanti a fu– mare una sigaretta, cercando una scusa per ri– mandare il ritorno a casa, alle sue mansioni di moglie e di madre. C'è anche la professoressa che chiede incredi– bili aggiustamenti d'orario che le consentano di andare a prendere i bambini all'asilo; quella che si fa odiare dai colleghi perché quando i fi– gli si ammalano resta a casa; quella che si fa odiare dagli alunni perché non trova mai il tempo per correggerè i loro compiti, o li perde assieme alla borsa della spesa, o li sporca con la pappa del bambino. C'è la professoressa che vorrebbe promuovere tutti, quella che ne vor– rebbe ammazzare qualcuno e quella che... "sono tutti miei figli". - guate di fronte alla loro spontanea incoerenza. Certo, la maggior parte dei giovani ha poca voglia di studiare, checché ne dicano i loro striscioni, ma ha le sue ragioni, ammesso che in altri tempi le cose fossero diverse. L'ideolo– gia utilitaristica che domina oggi la nostra so– cietà impone che ogni fatica sia ripagata in ter– mini materiali ed economjp, mentre lo studio, in generale, appare ed è assolutamente impro– duttivo. I giovani di oggi non vogliono studia– re anche perché si chiedono quale futuro que– sto studio prepari loro e hanno sotto gli occhi la realtà dei loro fratelli maggiori, costretti ad affollare le università 1_1on più nella speranza di una sistemazione migliore, ma solo nell'attesa vana che i tempi cambino. Conclusione provvisoria.. Tornando alle professoresSe, ce ne sono quindi di tanti tipi ed è legittimo criticarle, apprezzar– le, compatirle e trovarle simpatiche (o antipati– che, se si vuole). Quello che non è legittimo è dire di loro banalità e falsità gratuite: che le tasse scolastiche aumentano per pagare i loro C'è infine quella che arriva a scuola disperata perché ha litigato col marito, rotto la lavatrice e la colf si è licenziata: ma entra in classe e su– bito dimentica le sue miserie, presa in un vorti– ce di rapporti e di problemi altrni. Perché alle professoresse come me succede spesso, a scuo– la, di vivere questa esperienza straordinaria: di lasciare fuori dalla porta gli affanni della loro vita quotidiana e immettersi in una società di– versa da quella adulta a cui si appartiene, con cui si condividono interesse e atteggiamenti; una società di giovani allegri e perentori, ru– morosi, insicuri e amichevoli, ignorantissimi in italiano ·e storia e çapaci di strabiliare per la loro competenza calcistica o musicale. E non si può fare a meno di invidiarne la possibilità an– cora vergine di scoprire tu to, di compatirne le contorte-e dolorose insicurezze, di apprezzarne la stimolante aggressività. - stipendi, che per non perdere i! posto si inven– tano le classi (Panorama parlava di "caccia al– l'handicappato"), che vorrebbero andare tutte in pensione. anticipatamente con i soldi dei contribuenti. . · Nella mia limitata esperienza personale, sono stati più, i professori che le professoresse ad aver beneficiato delle cosiddette baby pensioni: perché, nonostante quello che dicono i giorna– li, non è presente nell'ambiente scolastico il mito della casalinga e le donne, ultime arrivate nel mondo del lavoro e della cultura, sono for– temente affezionate al ruolo sociale garantito dàlla professione. E' stato più diffuso, almeno nell'ambiente che conosco, il pensionamento anticipato di liberi professionisti e insegnanti maschi, che avevano alternative al lavoro sco– lastico più gratificanti delle man-.ioni domesti– che. Certe volte da un'ora di lezione si esce spremu– ti come limoni e col"senso di un fallimento to– tale, altre volte con una sensazione di vitalità e di permanente entusiasmo giovanile. Quale scuola e quali studenti? Il tarlo che tutto corrode, negli alti e bassi di questa professione, è in reàl<a l'incertezza sui risultati, il dubbio che ben altro si debba fare, che le acquisizioni siano minime, che non si realizzi nessun lavoro metodico e finalizzato · con precisione. Ma finché non sarà ri_soltoil problema del cosa insegnare, e perché, in una . società come quella odierna, che vede tutti i paesi occidentali, con gli USA in testa, interro– garsi sgomenti sui risultati dell'istruzione pub– blica, gli insegnanti continueranno a lavoràre come sono capaci, affollando corsi di aggior– namento frammentari e disorganici che non offrono risposte alle loro confuse domande, senza esaltarsi troppo se i loro studenti hanno scoperto che ci si può divertire anche facendo una manifestazione, naturalmente pùrché non sia strumentalizzata. Sono gli stessi studenti, che a Pisa, il 5 novem– bre scorso, hanno disertato le aule per la cosid– detta "festa delle matricole''; rispondendo così con uno sberleffo alle terroristiche circolari dei presidi che temevano in tale occasione vandali– che incursioni di "elementi estranei alla scuo- · ·1a" e avevano perciò chiuso tutto come una fortezza e fatto intervenire_a presidio la poli– zia. Gli studenti, con la stessa serena allegria con cui altri giorni dichiarano di voler studia- . re, quel giorno hanno deciso che volevano far festa: e non si son fatti vedere. Così le profes– soresse che con taglio moralistico e sentendosi un po' ridicole Ii avevano, come tutti gli anni, invitati a non "screditarsi" così e a distinguere tra astensione seria e motivata e sciopero fe– staiolo, si sono trovatè una volta di più inade- Così il fatto che anche molte donne siano an– date in pensione prima del tempo non è stato che un'ulteriore sconfitta nella lotta per l'occu– pazione femminile, la cassa integrazione delle professoresse, vittime della crisi, dell'aggravar– si delle condizioni di lavoro, della Tiecessità di far qualche posto ai g1ovani, della difficoltà di continuare a lavorare fuori casa, sia pure a part-time. Molte delle donne che hanno appro– fittato gli anni scorsi di un privilegio che è sta– to giustamente abolito l'hanno fatto con incer– tezze e ripensamenti, e col senso di una scelta obbligata e non volontaria. In definitiva, come ci sono buoni e cattivi gior– nalisti, forse si può dire che ci sono buone e cattive professoresse: e non si fa del buon gior– nalismo quando lo si dimentica. E'-le cattive professoresse spesso non sono né ignoranti, né• veramente cattive, né antipatiche: soJo hanno, coine succede, molti problemi che nessuno le aiuta a risolvere, e magari hanno anche sba– gliato lavoro.
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