Fine secolo - 16-17 novembre 1985
!ora: papa Benedetto XIV, Ludovico XV, Giu– seppe IL Caterina II, Federico II, e poi quanti uomini di stato, ministri, generali, studiosi e professori universitari, filosofi, e ancora quanti cantanti, attori, artisti della sua epoca. Conob– be le loro mo·gJie amanti, e a volte con loro le condivise, ottenendone anche di vedere l'altra faccia di fatti e avvenimenti, conoscerne più vere cause. E' stato giustamente detto che, anche se andas– sero perdute tutte le altre pubblicazioni che rappresentano il XVlll sec., le «Memorie» da sole basterebbero a rìnipiazzarle. Altrettanto fondate sono le critiche: Casanova ha in qual– che modo taciuto una serie di vicende, oppure ne ha falsato completamente il racconto, o vi gioca un ruolo del tutto diverso. Secondo Goe– the esse sono «Dichtung und Wahrheit»; Poe– sia e Verità, mai interamente verità, mai inte– ramente poesia. Sul tempo in cui vennero terminate le «Memo– rie» vi sono solo supposizioni. La prima ver– sione fu certamente ultimata già tra il 1792 e il 1793. Casanova stesso si augurava di finire di scrivere la storia della sua vita fino ai 50 anni, «dato che in seguito non avrei da narrare altro che tristi vicende; ho scritto le 'Memorie' solo .per potermi divertire con i lettori, ora li affiig- gerei e francamente non ne vale la pena». Dal– le sottili variazioni dei manoscritti; depositati presso la éasa editrice Borkhaus, che pubblicò l'opera per prima a vent'anni dalla morte dello scrittore, possiamo supporre che la prima ver– sione ebbe un carattere più filosofico, ma an– che più spontaneo. Nel corso degli anni Casa– nova rielabora il manoscritto, ma alcune parti saranno ultimate solo pochi mesi prima della morte. Una malattia incurabile alla vescica, che lo costrinse a letto, gli impedì di lavorare oltre e la morte il 4 giugno 1798 pose fine alla sua opera. Casanova morì al cospetto del conte W aldstein e del principe de Ligne, il quale scriverà di que– sta morte nel «Fragment sur Casanova»: «Poiché ogni giorno di più andava perdendo il suo appetito, rimpiangeva poco. la vita, ma la concluse nobilmente rivolgendosi a Dio e all'u– manità: Buon Dio e voi testimoni della mia se lo tirasse in faccia allo sprovveduto cliente. Comunque qui la seriosità è tale ·da finire in vera e propria incoscienza. Il richiamo ad una tradizione mummificata impedisce di vedere come sullo scadere del XX secolo ogni raccolta di masse sia di per sé potenziale occasione di violenza. Il carnevale di Rio conta ogni anno le sue vittime e i suoi feriti, quello di Venezia lo farà ben presto. I sintomi ci sono già stati nelle passate ediziom, e se nulla è successo di grave, ne vanno benedette le forze dell'ordine; che hanno preferito lasciar accendere falò in Piaz– za San Marco piuttosto che fare a botte. Le - conseguenze di quei falò le conosciamo tutti: la preziosa pietra d'Istria delle colonne delle Pro– curatie cotta e rovinata, l'ira impotente del .So– vrintendente alle· Belle Arti, polemiche a vo– lontà. Ma è salva la tradizione, di cui a Vene– zia si parla continuamente, una tradizione ri– veduta e corretta, e vissuta appunto -senza. quell'ironia .che ne era il. sale. Una tradizione in cui si ammette Giorgio Baf– fo, prqntamente riducibile a facile versificato- . re, sia pur su temi erotici, rria da cui si conti– nua a estromettere Giacomo Casanova, che ha sì scritto le Memorie, accolte tra i classici della lingua francese, e alcuni saggi di stòria politica (sulla Polonia in modo particolare) tra i più acuti del suo tempo, ma che rimane pur sem– pre un baro e un puttaniere. Una tradizione in cui si parla di divertimento e si guarda con simpatia al libertinaggio della Serenissima. ma da cui si an_nullaogni tentazione trasgressiva Nella pagina accanto,la facciata principaledel castello di Duchcov. Qui sopra, la vista dallafinestradi Casanova(foto di Vaclav Sedy). Qui accanto,una cortigianavenetadi fineCinquecento . FINE SECOLO* SABATO 16 / DOMENICA 17 NOVE~BRE 27 morte, ho vissuto da filosofo muoio da cristia– no. Casanova,,fu seppellito con gli onori dbvuti alla presenza di quasi tutti gli abitanti di Du– chcov; vicino alla cappella di Santa Barbara. Erano tempi agitati e ci si scordò presto di Ca.– sanova. Per un lungo periodo non si seppe nemmeno dove fosse sepolto e a quanti anni fosse morto. A ciò contribuì anche l'errore del compilatore del registro di Duchcov·, che segnò la morte di Casanova all'età di ottantaquattro anni, mentre· ne aveva settantatre. Quando un secolo dopo il cimitero fu chiuso, scomparvero anche le ultime tracce aella tomba di Casano– va. Sparì anche la sua lapide, supponendo che ve ne fosse stata una. Ma dato che erano nu– merosi i visitatori che cercavano la tomba di Casanova, fu posta sulle mura del cimitero una lapide con la scritta: Giacomo Casanova Venedig 1725 - Dux 1798. Nel febbraio 192_2 riprese vita la vecchia leg– genda di Duchcov, secondo la quale Casano– va, per sua volontà, era stato seppellito nel parco del castello, e non nel cimitero. Gli ope– rai, al lavoro nel parco dietro al castello qi Du– chcov, avevano ritrovato la pietra sepolcrale, ma non la tomba di Casa~va, c~me scrissero i giornali. Era una lapide modesta e assai stra– na, in cui nome e data presentavano degli erro– ri: Cassanova XDCCLXXXXIX. Molti storici non ebbero alcun dubbio sulla sua autenticità, anche se si trattava di una vera e propria falsificazione, cosa della quale erano .al éorrente solo gli abitanti di Duchcov. Era successo che gli scalpellini che lavoravano al restauro delle statue del parco, avevano scolpi- to una semplice iscrizione. La fecero dissotter~ rare da altri operai, e-quando la notizia_si pro– pagò clamorosamente, non ebbero il coraggio di confessare. I dubbi furono del tutto sfatati grazie all'interessamento di Viteslav Tichy, studioso di Casanova, che conobl?e personal– mente uno degli scalpellini e descrisse poi tutta la vicenda nel libro «Casanova in Boemia». Come che sia la lapide è conservata nel castello di Duchcov. (Traduzione di Susanna Florio) che del divertimento è la chiave. Una tradizio– ne dove sembra definitivamente sparito il grande cosmopolitismo dei veneziani di un lempo, la loro capacità di girare il mondo con l'occhio crudele e cinico di chi nelle istituzioni più di tanto non credeva. Oggi c'è chi delle an– tiche istituzioni ha fatto un culto (in consiglio comunale a Venezia un c_onsiglieresi rivolge al sindaco chiamandolo «doge») ·e al tempo stes– so si diverte a giocare sui sentimenti più xeno- . fobi di una città costretta per decenni alrisola– mento. Proprio a Burano un mese fa sì è tenu– ta in piazza una rappresentazione, che ricorda– va la partenza per San Pietroburgo di Baldas– sarre Galuppi, il compositore settecentesco di cui si celebrano i due secoli dalla morte. Il «Buranello» rimase tre anni alla corte dello zar, dove djvenne il primo musicista occidenta– le a scrivere partiture per la liturgia ortodossa. Non c'è male, no? Peste e dannazione! Tradizione per tradizione, ci sia lecito allora · scegliere quella letteraria, che vuole Venezia sì città della dissoluzione 'l' «umido sesso femmi– nile d'Europa» di ApoHinaire ma soprattutto teatro; scenario non neutrale di eventi umani che non si fanno storia, duplicazione terrena del'inferno. E' più divertente leggere delle allu– cinate peregrinazioni di Thomas Crabbe, l'al– ter ego di Baron Corvo, o delle atmosfere di Cazotte che assistere al salutismo fasullo della «Vogalonga». Nella dannazione c'è molta più ironia che non negli artefatti balli in maschera.
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy