Fine secolo - 28-29 settembre 1985
FINE SECOLO* SABATO 28 / DOMENICA 29 SETTEMBRE che questa lontananza ha a che vedere con l'i– solamento in cui vivono e con la rottura avve– nuta nella società rispetto a quegli anni. Han– no voglia di difenderli, ma non sanno come farlo. Ho scoperto che tutti intrattengono un · buon rapporto con quella storia. Appena ieri, tanto tempo fa Mi rendo conto che gli intervistati hanno do– vuto confrontarsi con me, strenuo difensore di tutto ciò e ancora molto "militant" in questo senso. Sono infatti convinto che il cambiamen– to che contrassegna la società contemporanea, errori compresi, debba essere ricondotto alla fine degli anni sessanta. Anch'io non sono un nostalgico, trovo semplicement~ falsa la ma– niera in cui viene affrontato quel periodo, con quel sospiro di sollievo per qualcosa che è pas– sato. E dato che la penso così, è possibile che le persone siano state influenzate dalle mie convinzioni, e inoltre sono stato io a scegliere gli intervistati. Ma non ho nemmeno mai avu– to la pretesa di raccontare una storia oggetti– vamente, piuttosto che come l'avevo vissuta io. Qualcun altro avrebbe raccontato certamente un'altra storia. Vuoi sapere com'era? Un occhio della testa Ecco, gli occhi della nostra generazione hanno funzionato bene, ma la testa... Noi abbiamo visto molte cose con gli occhi giusti, abbiano provato sensazioni giuste, abbiamo identifica– to perfettamente tutto quello che non funzio– nava nella società e scoperto che i modelli di vita, a partire da quelli quotidiani, non aveva– no niente a che spartire con le nostre voglie e necessità. Fino a quando ci siamo mossi lungo queste sensazioni, abbiamo provocato la so– cietà e sollecitato conflitti. Contemporaneamente, eravamo imbevuti di idee e immagini di rivoluzione del secolo pas– sato, che nulla avevano a che vedere con noi. Abbiamo quindi reso possibili rotture sociali, ma fornito spiegazioni che non corrispondeva– no loro. Abbiamo toccato tutti i problemi come la sessualità, il lavoro, la cultura, la mu– sica e la moda, ma improvvisamente siamo come cascati all'indietro a caccia di modelli antichi. Per gli anarchici poteva esseie la rivo– luzione spagnola, per i marxisti-leninisti forse la Cina, oppure la Russia degli anni venti, o il proletariato del '30. La nostra musica era Bob Dylan e i Rolling Stones e cosa siamo andati a proporre? Canzoni operaie, ·canti della resi– stenza italiana e melodie russe. E se riascoltia– mo le nostre parole troviamo che abbiamo sempre parlato del proletariato, e mai di noi. Che strano, era una rivolta partita da noi stes– si, dai nostri bisogni più particolari e poi sia– mo riusciti ad articolare tutto questo come un progetto sociale di un'altra classe che natural– mente aveva tutt'altri bisogni. Mi chiedi se oggi quella testa ha cominciato a funzionare nel modo giusto. Se prendo sempre le stesse persone di allora, credo che la barriera degli anni sessanta sia stata superata e che si sia passati finalmente ai decenni successivi. Non importa se sono giornalisti o politici; se conducono una qualche forma di vita alterna– ·tiva, ma ho trovato tutti con un linguaggio molto più concreto e un rapportò più reale nei confronti-della società. Non si cerca più un modello a cinquemila chilometri di distanza e nella notte dei tempi, si tenta invece di formu– lare possibilità di vita del movimento che han– no a che vçdere con l'oggi. Esiste per molti una questione difficile da risol– vere: si vuole buttare a mare il vecchio, ma non sempre tutto quello che ha detto la storia è sta– to superato . .Si potrebbe scoprire, per fare un esempio scandaloso, che il fascismo ha avuto delle buone idee in materia di ecologia. Avventurieri? Avventuristi? Avventurosi? Un fatto ha certamente definito questa genera– zione come le altre: un bisogno di rivoluzione, cioè di avventura. Si vuole semplicemente con– quistare il mondo. Non voglio sostenere che è un compito dei giovani, ma certamente è vero che quando si hanno diciassette, diciotto anni (ma poi dura fino ai trenta ...) non si vuole ve– dere solo la casa del vicino, ma tutto, afferrare ogni cosa ed essere ovunque. In questa necessità di avventura e di movimen– to consisteva allora il nostro bisogno di rivolu– zione e oggi la difficoltà di affermazione per i Verdi e per un genere particolare del movimen– to ecologista. Loro sono per i piccoli passi, so– stengono che bisogna accontentarsi del poco, che «small is 'beatiful» e non hanno posto per un'idea d'avventura. Proteggere pecore, far crescere pomodori non ha molto di esaltante e non attira la gioventù. La tensione si crea con l'azione e in questo sta il segreto di Greenpea– ce, quelli che si misurano con la Marina fran– cese. Quella nostra rivoluzione portava in sè qualco– sa di affascinante, e quando parli scopri che in molti c'è ancora tanta voglia di avventura. Non è semplice soddisfarla. Per un quaranten– ne significa entrare in un'età in cui i rapporti sociali diventano più stanziali e la vita non è proprio così avventurosa. Può sempre sostene– re che mettere su famiglia, crescere figli è an– che un'avventura; ma credo che sia diverso. L'avventura parlamentare Per la mia generazione, come per il mio amico Joschka Fischer, anche il parlamentarismo può diventare un'avventura. Ma vale solo se riesci a usare il potere che hai per proiettarti sempre più in avanti. Entrare nel governo? Be– nissimo, se è per vedere fino a dove puoi arrj- vare, per toccare il centro del potere. Così an– che il parlamento ha un suo fascino; se invece è solo un luogo di protesta e una sorta di tribu– na della lotta di classe, allora tutto questo è noioso. Il trucco consiste nel trovare in ogni cosa che fai una dinamica. Se la perdi, diventi un nostalgico dell'avventura. Il nostro movimento era anche molto cristia– no: il popolo per noi doveva essere aiutato e servito. Q:uesto nostro connotato è stato ora ripreso dalle istituzioni cristiane. Ma non so se que:,ta è la nuova tensione. Ho trovato molto dinamismo fra le donne, e la storia di Susan Browmpiller è un esempio. Vie– ne dal movimento femminista, ha partecipato a tutte le azioni di donne, si è liberata molto presto dalla politica della sinistra tradizionale maschile e oggi è una militante del movimento «Donne contro la pornografia». Rappresenta una posizione complicata e contraddittoria: Dani · lRosso, il giorno dopo Lo chiamano ancora Dani il rosso, per via dei capelli e della politica. Veste trasan– dato, con scarpe rosse da basket, giub– botti e pantaloni di pelle e nessuna cami– cia. Adora il calcio, ed è capace di lascia– re tutto pur di essere presente sabato po– meriggio a Francoforte nella sua squadra di dilettanti. Quando è in Italia parla di Maradona, ma è con-1into che saranno i francesi a vincere il prossimo campionato mondiale. Vive come allora in una comune, e i suoi coinquilini sono oggi dei giovani che cer– cano la linea in giornali di moda, ha una ragazza con figli e una sua rivista, «Pfla– sterstrand», dalla quale si può sapere tut– to quello che succede a Francoforte. E' corteggiato da giornali e televisioni, ed è il prototipo dello spirito libero. Poche ideologie, se si esclude quella di essere sempre diverso. Scherzando, ma non si sa quanto, vuole che un giorno farà il Mi– nistro degli Esteri tedesco e sogna di tor– nare in Francia ossequiato dalle note del– la Marsigliese. Un piccolo e umano risar– cimento sui tempi andati. Parigi, a noi due. A Parigi, poco tempo fa, passando per Rue Saint Denis, la via delle prostitute, è stato fermato da una ragazza che lo ha ri– conosciuto. E' stato trascinato in un bar a parlare per tutta la notte dei vecchi tempi con lei e le amiche. Erano un collettivo di «prostitute anarchiche». In fondo non è cambiato molto da quando l'ho conosciuto, era in Germania all'inizio degli anni '70, e invitava noi, severi mili– tanti di Lotta Continua, a parlare di politi– ca nella sua comune, dove tutti giravano nudi e i bagni erano privi di chiave per scelta ideologica. E' sempre stato uno che si fa amare e stimare. Persino dalle donne. · Severino Santiapichi è un giudice romano che ha avuto modo di conoscere un pez– zetto di storia "rivoluzionaria", la peggio– re certamente. E' stato il presidente della -corte che ha giudicato in primo grado i brigatisti responsabili dell'assassinio di Aldo Moro e della sua scorta. Quando sulla sua scrivania è arrivata la richiesta di autorizzazione per Dani a intervistare Adriana Faranda e Valerio Morucci, non ha potuto fare a meno di fermarsi sul suo nome e chiedere: che fa oggi? Sempre sulle barricate? In questo momento è ad Amsterdam, in una sala di regia a montare il documenta– rio sugli anni sessanta finanziato dalla Terza Rete televisiva francese e da quel– la olandese e prodotto dalla Be/bo Film Produktions. Ha impiegato mesi per riper– correre all'indietro questa storia. L'ultima tappa è stata l'Italia, nella rocca di Palia– no, un paesino vicino a Frosinone, dove si trovano ora detenuti Adriana Faranda e Valerio Morucci. I due hanno confessato di aver pensato per giorni e giorni al '68 e di aver scoperto che si ricordavano poco, perchè tutto era scorso nella ·vita come un fiume. Del futuro hanno detto che non ci pensano, perchè sarebbe troppo dolo– roso; ma che hanno comperato una moto, una "on the road", sempre chiusa in un garage. Loro ne conservano le foto in cel– la e sanno che quando mai usciranno non esisterà più. Magistrati e Ministero di Grazia e ç3iustizia hanno autorizzato que– sto incontro, l'hanno visionato e autoriz– zato. «Nella nostra Germania di Stam– mheim questo non sarebbe potuto acca– dere», ha ammesso Dani. Se per i vecchi il documentario sarà un piacevole e sofferto ricordo, cosa capi– ranno i giovani? «E' questa la grande scommessa, racconterò di me, di. quello che è successo; ho cercato in tutto il mon– do le immagini di allora, ma sinceramen– te non so dire cosa penseranno dopo. «We want the world, and we want it now», cantava Jim Morrison dei Doors quindici anni fa. lo non voglio esaltare la mia ge– nerazione, e neppure distrugger/a. Noi siamo quelli dei Rolling Stones, dei Bea– t/es, dei Who, delle loro canzoni ricche di dolore e nostalgia, e di voglia di movi– mento e di avventura. Tristi eroi come Ja– mes Dean o Be/mondo e Jean Seberg in un film come «Fino all'ultimo respiro» hanno espresso la nostra fame di vita».
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