Fine secolo - 28-29 settembre 1985

FINE SECOLO* SABATO 28 / DOMENICA 29 SETTEMBRE 28 Dio, io credo nel popolo ebraico". Ho trovato questa dichiarazione scandalosa, e questo sen– timento di scandalo mi ha impedito di trovare una replica immediata. Ma avrei potuto ri– spondere: la grandezza di questo popolo è ve– nuta un giorno dal fatto che-esso ha creduto in Dio, e che ha creduto in Lui in modo tale che la sua confidenza e il suo amore per Lui erano più grandi della sua paura. Ed ecco che oggi questo popolo non crederebbe più se non in se stesso? Che cosa può venirne di buono? - Eb– bene, è in questo senso che io non "amo" gli Ebrei e che non "credo" in loro; io appartengo semplicemente al loro popolo, questo va da sè, al di là di ogni controversia o discussione. Noi potremmo discutere anche in termini poli~ tici; sarèmmo allora impegnati in una riflessio– ne sul patriottismo. Che non possa esserci pa– triottismo senza una opposizione e una critica permanenti, è senz'altro un'opinione che ci ac– comuna. Ma io posso dirle inoltre che il male commesso dal mio popolo mi affligge natural– mente più che il male commesso da altri popo– li. La pena che provo così non è destinata a esere proclamata anche se impone, nel più se– greto di me stessa, certe azioni e certi compor– tamenti. In generale, il ruolo del "cuore" in politica mi sembra del tutto contestabile. Lei sa quanto me come coloro che riferiscono sem– plicemente certi fatti spiacevoli sono spesso ac– cusati di mancare di anima, di mancare di cuo– re, o di mancare di ciò che lei chiama Herzen– stalct. In altri temini, sappiamo ambedue come queste emozioni siano spesso utilizzate per dis– simulare la verità deÌ fatti. Non posso discute– re qui ciò che avviene quando le emozioni ven– gono esibite in pubblico e divengono un fatto– re negli affari politici, ma si tratta di un tema importante e ho cercato di descrivere i risultati disastrosi di simili pratiche nel mio Saggio sul– la rivoluzione discutendo il ruolo della pietà nella genesi del carattere rivoluzionario. C'è da rammaricarsi che lei non abbia letto il libro prima della campagna intrapresa per sna– turarlo e che trae origine dall' "establishment" ebraico di Israele e di America. Sono putroppo poche le persone capaci di resistere all'influen– za di questo tipo di campagna. Mi sembra del tutto inverosimile che lei abbia potuto ingan– narsi su alcune affermazioni senza aver subito una tale influenza. L'opinione pubblica, so– prattutto quando è stata accuratamente. mani– polata, come è qui il caso, è una cosa molto potente. Così, io non ho mai fatto di Ei– chmann un "sionista". Se l'ironia della frase le è sfuggita - la frase era chiaramente in oraÌio obliqua: essa riferiva parole dello stesso Ei– chmann - non ci posso fare davvero niente. Posso soltanto assicurarle che nessuno dei nu– merosi lettori che hanno letto il libro prima della pubblicazione ha mai avuto a questo ri– guardo la minima esitazione. Inoltre, non ho mai chiesto perchè gli Ebrei "si sono lasciati massacrare". Al contrario, ho accusato Hau– sner /procuratore dello Stato d'Israele all'epoca del processo Eichmann, ndr/ per aver posto questa domanda a tutti i testimoni che gli sono passati davanti. Nessun popolo, nessun grup– po in Europa, ha reagito diversamente sotto la pressione immediata del terrore. La questione che ho sollevato è quella della collaborazione di funzionari ebrei all'epoca della "soluzione finale", e questa questione è molto imbaraz– zante perchè non si può pretendere che fossero dei traditori (c'erano anche dei traditori, ma è altro affare). In altre parole, fino al 1939e an– che fino al 1941, tutto ciò che hanno fatto o non hanno fatto i funzionari ebrei è compren– sibile e scusabile. È solo più tardi che la cosa diventa molto problematica. La questione è stata sollevata durante il processo e io avevo dunque il dovere di rilevarla. Ciò costituisce la nostra parte di quello che si chiama il "passato non padroneggiato" e, per quanto lei abbia forse ragione di affermare che è troppo presto per emettere un "giudizio equilibrato" (di fat– to, ne dubito), credo davvero che non supere- remo questo passato se non impegnandoci a giudicarlo in tutta lealtà. Ho esposto chiaramente la mia posizione e tut– tavia è evidente che lei non l'ha capita. Ho det– to che ogni resistenza era impossibile, ma che esisteva almeno la possibilità di non fare nien– te. E per non fare niente non era necessario esere un santo; bastava dire: non sono che un semplice ebreo e non desidero avere alcun al– tro ruolo. Che questa gente o alcuni fra loro, come lei dice, abbiano meritato di esere impic– cati, si tratta di una questione del tutto diffe– rente. Oggetto della discussione non devono esere tanto le persone quanto gli argomenti coi quali esse si gi~stificano agli occhi propri e a quelli degli altri. Questi argomenti, noi siamo abilitati a giudicarli. Inoltre, non dobbiamo di– menticare che si tratta qui di situazioni che erano senza dubbio terribili e disperate, ma che non erano quelle dei campi di concentra– mento. Quelle decisioni soi:io state prese in un'atmosfera di terrore, ma nòn sotto la pres– sione immediata e sotto l'impatto del terrore. Si tratta di rilevanti differenze di grado, che chiunque studi il totalitarismo deve conoscere e tenere in conto. Restava a queste persone una qualche limitata libertà di decisione e di azione. Perfino gli uccisori SS conservavano, oggi lo sappiamo, una limitata scelta di alter– native. Potevano dire: "Desidero essere rileva– to dalle mie funzioni di uccisore" e non succe– deva loro niente. Dal momento che in politica si tratta di uomini e non di eroi o di santi, è questa possibilita di "non-partecipazione" (Kirchheimer) che è decisiva per il nostro giu– dizio non verso il sistema, ma verso gli indivi– dui, le loro scelte e i loro argomenti. E il processo Eichmann riguardava un indivi– duo. Nel mio resoconto non ho parlato se non di ciò che è stato sollevato nel corso stesso del processo. E' per questa ragione che non pote– vo menzionare i "santi" di'cui lei parla. Dove– vo limitarmi ai combattenti della resistenza il cui comportamento, come ho detto, era tanto più ammirevole perchè avveniva in circostanze in cui la resistenza aveva davvero ressato di es– sere possibile. Non c'erano santi tra i testimoni dell'accusa, ma c'era un uomo di una purezza totale, il vecchio Grynszpan, di cui ho riferito la testimonianza in dettaglio. Dalla parte tede– sca, dopotutto, si sarebbero potuti anche men– zionare altri casi oltre a quello del sergente Schmidt. Ma ho dovuto limitarmi a lui perchè era il solo segnalato nel processo. Che la distinzione tra vittime e carnefici fosse cancellata, da una volontà deliberata e calcola– ta, nei campi di concentramento, è un fatto ben noto, e ho insistito come altri su questi aspetti dei metodi totalitari. Ma, lo ripeto, non ·è qui quello che io intendo per partecipazione degli ebrei alla colpevolezza, o per crollo totale di tutti i valori. Esso faceva parte del sistema e non aveva niente a che fare con gli Ebrei. Che lei possa credere che il mio libro sia "una caricatura del sionismo", sarebbe per me un mistero se non sapessi che molti, negli ambien– ti sionisti, sono diventati incapaci di aprirsi a opinioni o ·a ragionamenti che escono dalle strade battute e che non si accordano con la loro ideologia. Ci sono delle eccezioni, e uno dei miei amici sionisti osservava in tutta inno– cenza che il libro, e in particolare il suo ultimo capitolo (riconoscimento della competenza del tribunale, giustificazione del rapimento) era molto filoisraeliano - che di fatto è. Ciò che la svia, è il fatto che i miei argomenti e il mio ~ modo di affrontare i problemi sono differenti da quelli cui lei è abituato; in altri termini, il guaio è che io sono indipendente. Intendo con ciò, da una parte, che non appartengo ad alcu– na organizzazione e che non parlo mai che in mio proprio nome, e, d'altra parte, che ho grande fiducia in ciò che Lessing chiama Sel– bstdenken, al quale,-a mio parere, non possono mai sostituirsi né l'ideologia né l'opinione pub-– blica, né le "convinzioni". Quali che siano le sue obiezioni circa i risultati, lei non li com– prenderà se non convincendosi che sono vera– mente i miei e di nessun altro. Mi rammarico che lei non abbia esposto i suoi argomenti contro l'esecuzione della condanna a morte. Penso che discutendo questo punto, avremmo potuto scoprire dove erano collocate le nostre differenze più di fondo. Lei dice che fu un "errore storico" e io trovo imbarazzante invocare lo spettro della Storia in un tale con– testo. Per me, l'esecuzione non era solo giusti– ficata politicamente e giuridicamente (e que– st'ultimo punto era di fatto il solo che impor– tasse), ma sarebbe stato del tutto impossibile non eseguire la sentenza. Il solo mezzo per evi– tarlo sarebbe stato di accettare il suggerimento di Karl Jaspers e di consegnare Eichmann nelle mani delle Nazioni Unite. Nessuno lo deside– rava e probabilmente non era realizzabile; non restava dunque altra alternativa che impiccar~ lo. La grazia era fuori questione, non sul piano giuridico - la grazia non attiene al sistema giu– ridico - ma perchè la grazia si applica alla per– sona piuttosto che all'atto; la grazia non per– dona l'omicidio, ma grazia l'omicida in quanto la sua persona vale più di tutto ciò che egli ha potuto fare. Questo non era vero per Ei– chmann. E risparmiare la sua vita senza gra– ziarlo era giuridicamente impossibile. In conclusione, veniamo alla sola questione in cui lei mi abbia capita e per cui io sono felice che lei abbia toccato il punto capitale. Lei ha completamente ragione: ho cambiato parere e non parlo più di "male radicale". Da molto non ci siamo più visti, altrimenti avremmo for– se già parlato di questo argomento. (Fra pa– rentesi, non vedo perchè lei qualifichi di ritor– nello o slogan la mia espressione "banalità del male". Nessuno, che io sappia, ha utilizzato questa epsressione prima di me; ma non è im– portante). Oggi, il mio parere è che il male non sia mai "radicale", che sia solo estremo, e che non possieda né profondità né dimensione de– moniaca. Esso può invadere tutto e devastare il mondo intero precisamei:iteperchè si propa– ga come un fungo. Esso "sfida il pensiero", come ho detto, perchè il pensiero cerca di at– tingere alla profondità, di pervenire alle·radici, e dal momento in cui si occupa del male, viene frustrato perchè non trova niente. È qui la sua "banalità". Solo il bene ha profondità e può essere radicale. Ma non è qui il luogo di appro– fondire seriamente queste questioni; ho inten– zione di svilupparle in futuro in un contesto differente. Eichmann può restare appropriata– mente il modello concreto di ciò che ho da dire. Lei propone di pubblicare la sua lettera e mi chiede se ho delle obiezioni. Non mi pare che occorra rimaneggiare la lettera per metterla in forma indiretta. Il valore di questa controver– sia risiede nel suo carattere epistolare, e so– pràttutto nel fatto che essa è imposta da una amicizia personale. Se dunque lei è pronto a pubblicare la mia risposta insieme alla sua -let– tera, io non vi vedo evidentemente alcun osta– colo. HANNA ARENDT

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