Fine secolo - 31 ago.-1 set. 1985

sera. Christos cucina·da Dio, Orif porta i soldi in mazzette spillate, e si macina lavoro. Tanto vale ingoiare la pillola del lavoro collettivo L'architettura è di Hernandez e si lotta palmo a palmo per conquistarsi lo spazio. Chennit non protesta più. La tela è a terra nel cortile, si lavorano sei pezzi distinti che saranno uniti alla fine. Didier Bossuit ha la carnagione bian– co-lattee gli si arrostiscono persino i peli delle gambe. Miero sempre chiesto perchè, senza saperne nulla (a tal punto da aspettarmi un deserto dovec'è invece una sontuosa vegetazione) l'Al-. geriami ispirasse meccanicamente più rispetto, ad esempio, del Marocco. Sono napoletano e in Italia napoletano e marocchino sono sinoni– mi di meridionale disadattato. Mai sentito dire «Algerino!» per maltrattare qualcuno. Forse perchè i marocchini sono venuti per primi coi tappeti o perchè a casa di zia Bianca, requisita dai francesi durante la guerra, hanno segato le gambe di sedie e tavoµ per stare più comodi. Certamente anche per colpa di Gillo Pontecor- . vo (la battaglia di Algeri) e di Humphrey Bo– gart (protagonista di «Casabalanca» è lui e non M'med Couar). E M'med Couar, Medi, ha 30-anni, è maroc– chino ed è partito dieci anni-fa per conquistare Parigi. Lì ha fatto di tutto, come distribuire patate a un self-service, le più fresche ai tipi in cravatta, le altre al resto dell'umanità in cami– cia. E' arrivato dopo di me. Ha sbattuto sul muro un quadro, sul concettuale, in poche ore e poi si è arenato per incompatibilità di carat- Sull'Esplanade di Riad El Feth si monta la grande tela collettiva. In basso, da sinistra: Eugenio di corvè a tagliar patate; un gruppo di lavoro nel giardino d1villa Abd El Tif. ·tere con Hernandez. Finirà molto arrabbiato all'aereoporto il 7 luglio e sarà fermato in do– gana perchè tra Algeria e Marocco non corre buon sangue. Pazienza, il solito Bagcir riuscirà a infilare il gruppo che parte per Parigi nel volo successivo. . · li mio oriflamme è censurato. C'è una donna nuda e «forse» non è il caso·di esporlo in piaz– za. Ho visto per strada una pubblicità con una. silhouette con un seno conturbante. Fannien– te! Lo regalo a Fathia Bisker che è carina. Il grande «frèsq4e», 180 mq, è un buon lavoro. Tiene, è ben integrato. Quasi nessuno ha fatto la sua pittura ed è questo il suo pregio. Siamo venuti a patti con la sua mostruosa grandezza e con la necessità di parlare alla gente che ci sarà alla festa. Io faccio le due gran gambe pubblicitarie sulla sinistra, da cui spuntano gli omini di Didier Bossuit, che entrano nella tor– ta di Manoli Zahsarioudakis, da cui escono al– tri personaggi di Driss Ouddahi. Non dipinge– vo figure da anni ·e mi sono divertito. Manolis fa le torte, un Holdenbourg bidimen– sionale di 27 an'ni. A· parlargli, penso che la Grecia è in ogni caso la patria della filosofia. Cerca di convincermi che lui non c'entra e che ·è la sua non padronanza della lingua che mi inganna. Capisce il francese solo quando lo parlo io, che lo parlo abbastanza male e con la cadenza italiana, e il suo francese lo capisco solo io, due parole al minuto. Le sue torte mi piacciono e ho pazienza. Il Museo dell'AÌ-mée è un grande castello pc,– st-mòderno in marmo e vetrate colorate. Molti artisti algerini hanno lavorato per un anno a rappresentare con dovizia di particolari e fe- . deità topografica le battaglie del loro popolo contro le dominazioni straniere. Le armi e i documenti della guerra di liberazione sono più forti di un obice di Pino Pascali, ma la retorica' oleografica è insopportabile. Noi europei, e non solo, siamo molto critici. Driss Ouddahi ha lì due quadri che ama. E' un buon pittore;· forse, con Boui:dine, il migliore del Musée del– l'Armée, gli diciamo francamente che al Ca– stello non sta di casa l'arte. Annuisce, ma non è contento. Forse ha ragione Emile Menhem, non esiste una storia dell'arte universale, non si può guardare agli artisti arabi con gli stessi occhi. Uno degli artefici delle opere dell'Armée ci dice che per secoli l'Islam aveva vietato la ri– produzione della figura, e le battaglie dell'indi– pendenza sono il simbolo di una riappropria– zione, di una libertà conquistata. Il discorso è appassionato ma non passa. Se non ci fosse stato Emile Manhem, avremmo capito molto meno. Ha un nome occidentale perchè è cristiano di nascita. Vive a Parigi da qualche anno dove lavora come grafico ad un giornale libanese che ·si chiama «II settimo giorno», tanto per non chiamarsi «Vittoria», «Il giorno del trionfo» o giù di lì, come suona– no le testate di molti giornali libanesi. Abbia– mo passato una notte a sentirlo parlare dell'I– slam, del ruolo della religione e dell'integrali– smo, che lui stesso non ama, di come l'occiden– te s.ipermette la tolleranza in quanto _dominan– te come se la permetteva l'Islam in Sicil_ia quando lo era a sua volta. Mi promette di invi– tarmi in Libano quando la guerra sarà finita, perchè il popolo libanese è un popolo libero e mercante, e le gallerie, in tempo di pace, guar- dano al mondo. ·- Mentre il grande frèsque era a buon punt9 ho chiesto a M. Orif di cambiare albergo. Lavo– riamo da matti e in albergo, la sera, c'è una tensione insopportabile. Un consiglio. Non an– date al El Aurassi senza la cravatta e l'aria di uomini d'affari, vi trovereste male. E' così in tutti i Grand Hotel del mondo? Evitateli! Co– munque io sono napoletano é almeno per i taxi ho scoperto un trucco, se proprio volete abita– re al El Aurassi: a cinquanta metri c'è il Mini– stero della Difesa. Se in piena notte, dopo il ri– storante, chiedete di andare al Ministero della Difesa, non potète che essere degli agenti se– greti: niente supplementi, notturne o altro, e lo sconto sul prezzo del tassametro. E' troppo tardi. Si avvicina la festa e tutti gli alberghi sono prenotati .. La riuscita del grande fresque mi ha caricato e trovo la concentrazione per la mia tela indivi– duale, alla faccia dell'Hotel e del telefono che mi impedisce di parlare con l'Italia. La grande pittura collettiva è presentata al col. Snoussi e al resto dello stato maggiore dell'O(– fice il 25 giugno. La Tv riprende l'avvenimento mentre il vento tenta di impedirlo. Il Ten. Col. è contento e ci ·annuncerà ufficialmente, di nuovo davanti alla Tv nella «cerimonia della firma», che ne sarà fatta una riproduzione in– tegrale in ceramica per l'ingresso della torre sotterranea dell'Esplanade di Riad El Feth. Tutti contenti, il più è fatto. Resterà da· pensare al ritorno, avremo dei pro– blemi con le prenotazioni e ripartiremo con un giorno di ritardo. Il 7 luglio sono a casa, Giu– lia ha tre mesi e mezzo ed è il doppio di come l'ho lasciata, già emette i primi fonemi. Tutto è concluso. I quadri sono al. Musée. Per mè, e per molti, è il primo Museo che ci accoglie. 25

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