Fine secolo - 25-26 maggio 1985
FINE SECOLO * SABATO 25 / DOMENICA 26 MAGGIO GIORGIO MANG .......... , IL FURAGRAZIE Uno scrittore prezioso tratta tutte le lingue come se fossero morte. O meglio, tratta le parole come se fossero belle addormentate, che aspettano di essere risvegliate. Tra i vocabolari e gli altri libri c'è solo una dif– ferenza di ordinamento interno. C'è chi legge un vocabolario come un romanzo, e chi legge un ro– manzo come un vocabolario. I libri giacciono nelle case, in piedi o sdraiati, come album ento– mologici o filze di erboristi che aspettano di es– sere cautamente aperti per risfoderare colori e odori. Ci sono case in cui ci si aspetta che siano conservate fra i fogli chiusi parole più rare e pre:::iose, prototipi, pezzi unici, da cui il custode trae ogni tanto esemplari da mandar fuori, inse– riti, nero su bianco, in altri libri, destinati al ma– neggio di sconosciuti. Giorgio Manganelli deve avere, a stare ai pezzi che manda in giro, una formidabile collezione, nella casa da/l'ingresso laterale, in una stradina laterale dal nome eri– treo, in cui è trincerato. Il mio vocabolario da trincea, il primo esplosi– vo verbale, è lo Zingarelli. Poi c'è il secondo impiego, Tommaseo, Premoli, Carena, che è un dizionario di arti e mestieri. Il Battaglia no, mi dà un certo disagio stare accanto a un voca– bolario non finito. Certo, non c'è niente da noi che uguagli l'Oxford, che ho in esemplare mi– crofotografico, da compulsare con la lente. Lo Zingarelli è ottimo, a meno che si abbia biso– gno di un vocabolario storico. Anche al Tom– maseo si continua a ricorrere fruttuosamente. Ma secondo lei che cos'è un vocabolario, un cimitero, un cronicario, o un vivaio di parole? O tutt'e tre? In verità lo scrittore maneggia ogni lingua come se fosse il latino o il greco antico, come se fosse una lingua morta, anche quando si tratti del romanesco che si grida qui di sotto. Non esistono per questo modo parole inutilizzabili. Esiste bensì un gusto particolare per il sapore delle parole peregrine o inconsue– te. Pochi giorni fa ho letto in un articolo di Zolla sul Corriere la parola 'adorcismo'. Lei sa che cosa vuol dire? No, naturalmente. Ho cer– cato sullo Zingarelli, e ovviamente non c'era: è il contrario di esorcismo. Altro è il caso delle parole coniate per fermentazione della lingui– stica. Qualche anno fa un'amica mi telefonò preoccupata per chiedermi che cosa sapevo dell"idiòletto': lei sa che cos'è? Ah, più o meno? E' l'insieme degli usi di una lingua ca– ratteristici di un individuo in un momento dato. Mah. Che cosa vuole che le dica del vocabolario. L'altro giorno leggevo il Vasari, la vita di Pon– tormo, piena di parole sapide, a riprova dell'i– nesistenza di parole morte dal punto di vista letterario. Per esempio 'furagrazie', parola de– liziosa, sa che cosa vuol dire? E' colui che ru– bando favori consegue privilegi indebiti. Op– pure trovo la parola 'ramarri' in una citazione dal Varchi, con un senso insolito: e vedo nel Tommaseo che nel '500 si chiamavano così le persone che ai bordi di una processione ne as– sicuravano un ordinato svolgimento, una spe– cie di servizio d'ordine processionale. Forse erano vestiti di verde. Un'altra parola è 'tavo– laccino', colui che all'esterno di un edificio il cui accesso è a pagamento fornisce i biglietti: deriva probabilmente da tabula, nel senso di regolamento amministrativo ... Oppure 'speda- lingo', uno che sta in un ospedale, come dice la parola, ma con compiti perlomeno di sorve– glianza. La più bella è furagrazie, certo, questo conquistatore di grazie furtive. Ora che mi ci fa pensare, ricordo che quando ero piccolo a casa mia c'era un grosso Rigutini e Fanfani, me l'hanno regalato di nuovo di re– cente, allora era da me molto ammirato. Io avevo bevuto da r-agazzouna reverenza tossica per il vocabolario di D'Annunzio. Lei ricor– derà nel suo supplemento l'articolo di Praz che coglie D'Annunzio con le mani nel sacco del Tommaseo? C'erano gli errori celebri, il 'miele di Sosillo', allusiva espressione provenuta a D'Annunzio da un errore nel voltar pagina, associando due termini che non si erano mai incontrati. Ma anche gli errori poi sono lì, c'è una misteriosa esistenza delle parole dichiarate inesistenti. O i veri falsi, come la scritta sulla Fibula Praenestina, "Manios me fefaked", su cui tanto si sono affannati i glottologi, ed era di un incisore ottocentesco. Non esistono pa– role «false». In Italia si gioca meno con le pa– role fantasma, non c'è stato un Lewis Carroll, con le sue parole portemanteaux. D'Annunzio viaggiava con una sua edizione portatile del Tommaseo: da noi è diventato possibile a tutti, con l'edizione BUR voluta da Spagnol. Recuperare parole arcaiche e inven– tare parole nuove sono attività affini. Poi ci sono i neologismi dispettosi, litigiosi, dall'esi– stenza breve ma virulenta. Anche la politica è stata feconda di simili neologismi negli scorsi anm. Mi chiede in quali altre occasioni impiego il vocabolario. Lo si può aprire anche come un testo oracolare, come con le sortes vergilianae, si apriva a caso l'Eneide per divinare e trarne incantesimi, come si gettano i dadi. Nel punto in cui sono impàcciato, estraggo una parola e cerco di esserne mosso, di dar adito alla fanta– sia. Lei chiede se fosse motivata la polemica contro i ricchi che hanno duemila parole mentre i po– veri ne hanno sì e no quattrocento. Probabil– mente è una semplificazione. Quando l'Irlanda diventò indipendente dovette porsi il problema della lingua, e solo la sua regione occidentale era davvero monolingue: così la ricostruzione linguistica partì da quella popolazione, non senza qualche inconveniente. Per esempio, si trattava di pescatori e pastori che mancavano del tutto di termini urbani, e in compenso ave– vano una quantità di parole, trecento mi pare, connesse alle malattie del bestiame. Ho letto che gli esquimesi hanno molte parole perdesi– gnare quello che noi chiamiamo laconicamente «neve». I linguaggi dialettali o locali non sono poveri, e anzi sono spesso ricchissimi, ma spe– cializzati, settoriali. Spesso per la «difesa della razza linguistica» - una difesa però pacifica, e motivata dal rischiò dell'estinzione - si coniano parole autoctone: in Islanda, per esempio, per non dire 'telefono', si <iice'sini', che deve voler dire 'filo'. Sì, anche l'abbecedario è un elementare voca- bolario figurato. A Pinocchio l'aveva compra– to Geppetto vendendo la giacca, e lui lo vende per andare a vedere i burattini. Del mio abbe– cedario ricordo la lettera R, con accanto una rana. Certo, il mio vocabolario di scrittore è ri– cercato, come dice lei, ma non in modo delibe– rato o capzioso. Non attingo a un repertorio molto definito: probabilmente di preferenza il Cinque-Sdcento, con una preferenza per il Sei– cento. Ma poi ci sono autori linguisticamente fecondissimi come il Pulci, nel Quattrocento; o come Folengo. No guardi, non esistono belle parole: ci sono parole che agiscono e parole che non agiscono. La bellezza in sè le parole la ignorano. Ma ci sono parole dal bel suono. Con molte vo– cali, soprattutto. Da ragazzo io trovavo bellissi– ma la parola Aglaia. In «Fame» di Hamsun il protagonista smania di inventare una parola, e la parola che inventa é Ylayali, "dal suono ae– reo". Aglaia, già. Naturalmente, anche il suono agi– sce. Mi viene in mente che nella traduzione di Sterne di Foscolo, il Viaggio sentimentale, si dice «aerino» per indicare l'azzurro chiarissi– mo, è molto sottile. L'aveva sentito?. No, io ho qualche conoscenza del linguaggiofu– nerario, frequentando i cimiteri: lì si dice per esempio che «l'alma s'inciela». E «il fra/e», na– turalmente. Nel suo linguaggio, quali sono le espressioni inavvertite, che sfuggono al suo con– trollo e insieme la tradiscono? Ma tutte le forme linguistiche sfuggono al con– trollo. Non sappiamo mai che cosa diciamo. Le parole dicono molto di più di quello che noi intendiamo. Questo spiega l'intimo e inesauri– bile mistero del testo letterario. Ho detto altre volte che è parlando che so che cosa penso: V111.n11:: l. 11. r11· nr.1. r111n 1n: 1·n111. 11. parlo per sapere, non per dire. In questo senso possiamo dire che il dizionario è anche un de– posito di illusioni, perchè la parola che agisce va molto al di là. Una particolare manifesta– zione è la traduzione, la differenza di spettro lessicale fra l'originale e la traduzione. La tra– duzione è la riduzione di possibilità delle paro- le. Si dovrebbe parlare qui del dizionario bilin– gue: quando dico che 'home' vuol dire 'casa' non dico niente, sostanzialmente nessuna pa– rola corrisponde a un'altra. Un lavoro di er– meneutica decisamente temerario ci fa illudere di capire che cosa vuol dire; e l'illusione è tan- to maggiore per le parole più comuni e ovvie. Insomma, se ci intendiamo, questo avviene in larga misura inconsapevolmente; è come se ., stessimo accanitamente commerciando in un punto, e lo scambio si compisse in un altro punto. Può avvenire che ci si incontri, ma que- sto avviene per il carattere magico della paro- la, non per il suo significato dichiarato. O magari per i silenzi. Il vocabolario, gremito com'è, non conosce i silenzi. Ma anzi, si può ritenere il vocabolario un luo– go estremamente silenzioso, in cui le parole giacciono come mera virtualità: in attesa di esi– stere. Lei dice che il vocabolario è grigiamente democratico, con quel suo ordinare le parole indistintamente alfabetico? Ma proprio in que– sto c'è un'altissimo grado di arbitrarietà, di enigma. L'ordine è anch'esso illusorio. Le pa– role vi stanno come ibernate, aspettando di es– sere evocate. Come la bella addormentata. Come signorine sedute in silenzio in attesa d'essere invitate a ballare. Così, a far da tappezzeria. Finchè ... Wittgenstein, · maestro e vocabolarista Il grande filosofo aveva cominciato da soldato volontario, poi da volontario maestro di paese - con alcuni tratti che ricordano il prete maestro di Barbiana. Quando Wittgenstein torna dalla guerra del 1914-18 (a cui ha partecipato volontario per un rigorismo morale accompagnato da un for– te bisogno d'espiazione - e a qualcuno confes– serà d'avervi voluto partecipare sperando di trovarvi la morte), è in pieno svolgimento in Austria la riforma della scuola primaria, rea– lizzata con grande mobilitazione di energie in– tellettuali dal ministro socialdemocratico Otto Glockel, ispirata dal più avanzato ma anche prudente e realistico pensiero pedagogico che ha il suo esponente di punta nel filosofo Karl Biihler. Wittgenstein non condivide del tutto l'impostazione del Biihler, ma spinto da uno slancio missionario e dal senso del dovere ac– compagnato dagli abituali sensi di colpa, deci– de di partecipare alla grande impresa. Nel settembre del 19_19 (nell'agosto è stato rila– sciato dal campo di prigionia di Cassino, da dove ha rifiutato di venire via, prima dei suoi compagni, per intervento del Vaticano) s'iscri– ve a un corso di formazione per insegnanti. Il 5 luglio del 1920 riceve il diploma di insegnante elementare. Il settembre successivo comincia il lavoro in un paesino della Bassa Austria. Re– sterà maestro fino al 1926, cambiando due vol– te di località per dissapori con l'ambiente. C'è chi sostiene che questa esperienza sia stata determinante per l'evoluzione dal primo al se– condo Wittgenstein. Certo è che la riflessione sull'apprendimento infantile è costante in que– sti anni, come è costante la dedizione ascetica, di assolutezza morale, alla missione assunta, che investe anche i bambini con un carico d'impegno non sempre disgiunto da metodi violenti, anche fisici. Pare costante, a pensare all'esperienza analoga di Don Milani, in questi intellettuali cittadini che scelgono gli 'ultimi' per riscattarli con la cultura, un rigore che confina col 'totalitari– smo', e che si traduce in un.assoluto pedagogi– co che sottomette a sè tutto. Un tratto comune significativo sta anche nell'attenzione primaria data all'educazione linguistica, al disegno di rendere liberi mediante il posesso della parola e del vocabolario. "Il padrone possiede tante parole ..." diceva Don Milani, e gli faceva eco Dario Fo. E proprio un vocabolario compila per i suoi scolari e fa anche stampare più tardi (1926) Wittgenstein. E' una raccolta alfabetica di circa 7 mila paro– le, ma compresi anche articoli, congiunzioni, preposizioni semplici e articolate, perché ha lo scopo dichiarato di servire all'apprendimento della corretta ortografia, e niente più. In effet– ti, il vocabolario non mira ad arricchire il lin– guaggio dei bambini (arricchimento che il maestro intanto assicurava coll'ip.segnamento delle varie discipline e con esperienze come gite, visite ai musei ecc.), ma a consolidare la conoscenza corretta di parole già possedute. Le parole sono quelle che i bambini usano e useranno nel loro ambiente, le più comuni, quelle di più diretta esperienza: il corpo uma– no, le malattie, la medicina, termini di uso fa– miliare, connotazioni psicologiche o morali delle persone, le piante, i giochi, le relazioni so– ciali ecc. Il dizionario di Wittgenstein è pubblicato in Italia, con ampia prefazione di D.Antiseri, presso l'editore A.Armando (L.Wittgenstein, Dizionario per le scuole elementari, Roma, 1978).
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