Fine secolo - 25-26 maggio 1985

,. f f ' ) ► .. . ' ' /· d'accordo sul come chiamarle in buono italiano. Il mon– do va in quarta e la lingua è ancora in prima! Garibaldi negli atti pubblici dichiarava: di professione agricoltore; e Tolstoi, qualche volta, discorrendo: ciabat– tino. Sia modestia vera o brutto carattere, tutte le volte che viçne in questione la sua opera di scrittore, romanzie– re, novelliere, Alfredo Panzini cambia discorso e preferi– sce mettere avanti le benemerenze del suo 'Dizionario moderno'. Quella è la sua Caprera, quello il suo sottosca– la e il suo deschetto. E per continuare l'immagine del sot– toscala, di lì sotto egli presta orecchio attentissimo al ru– more delle generazioni che salgono e discendono, di lì sotto egli segue coi suoi registri alla mano il nascere e il morire delle parole e la varia fortuna e decadenza dei modi di dire, e prende nota dei propositi e degli sproposi– ti del pianerottolo e della strada, del piano nobile e della soffitta, e di tutti quei commenti, frizzi, strafalcioni e pa– rolacce che la tromba delle scale, nuovo orecchio di Dio- •· nigi. sensibilizza nel suo sgabuzzino. L'autore stesso è, prima di ogni altro, spaventato dal nu– mero stragrande delle locuzioni che s'è visto morire sotto gli occhi dal tempo della prima edizione a oggi, ma s'è in– gaggiato in una impresa dalla quale oramai non si può più tirare indietro, e, come il parpaglione, ritorna sempre intorno a quel lume, acceso con amorosa mano quando la 'Lanterna di Diogene' e le 'Fiabe della Virtù' non era– no ancora scritte. Caso mai si avverasse quello che soste– neva Ferdinando Martini, che cioè alla fine del secolo ventesimo la lingua italiana sarà «sostanzialmente diver– sa» da quella che era al cadere del secolo passato, questo di Panzini potrà essere il gran regesto del passaggio dai vecchi al dizionario della nuova lingua italiana. «Quante parole che erano vive venticinque anni addietro e oggi sono morte o morenti! e quante sono vive che moriran– no!» Cammin facendo, l'opera ha preso un valore storico, al quale l'autore di sicuro non pensava quando ci mise le mani la prima volta. Vedeva piovere, non credeva che di– luviasse; non supponeva che negli anni prossimi a venire la lingua dei padri avrebbe subìto tanti e così ripetuti as– salti da tutte le parti! L'idea di un vocabolario «negati– vo» e cioè di tutte quelle 'parole e maniere francesi e dia– lettali che prevalgono per incuria e ignoranza' degli scrit– tori e dei parlanti, l'aveva avuta già Foscolo un secolo e mezzo fa, ma lo aveva concepito appunto come semplice Appendice a un vero e proprio Vocabolario della lingua italiana. E tale in origine era anche il 'Dizionario Moder– no' che fino alla 5a edizione portava il sottotitolo: 'Sup– plemento ai dizionari italiani'. Che cosa ha inteso dire Panzini sopprimendo quel sottotitolo? che forse, oramai, quello che doveva essere un po' come un curipso 'dessert' rispetto alla materia dei vecchi vocabolari minaccia di di– ventare un mostruoso assaggio di quella nuova lingua in formazione che dovrà dar materia ai vocabolari dell'av– venire? Che i neologismi di ieri son già forse gli arcaismi di domani? Fatto sta che questo Dizionario s'è infoltito e ingrandito ogni giorno di più e la rana senza scoppiare è già diventata grossa come un bue. ' - C'è una storiella che dice: Lo sai perchè il cane dimena la coda? No? Perchè la coda non può dimenare il cane. Cer– te volte verrebbe fatto di pensare che andando di questo passo fra qualche tempo la coda avrà acquistato tanta forza da dimenare veramente il cane, e che, per essere in– tesi da tutti, anche i romanzi di Panzini avranno bisogno d'essere voltati in italiano moderno. Tutte le volte che può, naturalmente l'Autore suggerisce quella voce di puro stampo· italiano che possa sostituire vant~ggiosamente la voce o frase straniera o bastarda; ma questo gli viene fatto di edizione in edizione sempre più raramente, e il più delle volte egli si limita a prendere le generalità del piccolo nuovo mostro che è entrato a far parte dell'uso comune. Ci vorrebb'altro eh~ pinze da giardiniere purista per aver ragio.ne di certi dannati reti– colati! Allora? Allora, agli effetti e p er gli usi del 'Dizio– nario', l'importante è di prendere atto del documento, magari con tanto di data a fianco, e con quelle due righe di spiegazione che possano «spianarlo» all'intendimento dei lettori di domani. Alle due righe di spiegazione poi Panzini di solito aggiunge altre sue righe di personalissi– mo commento che sono il sale, il pepe, l'olio e l'aceto che rendono a ogni pagina così saporito e spassoso questo che-in ultima analisi dovrebb~essere solo un istrumento di consultazione e di studio. Quest'opera portata avanti per quarant'anni con tanta attenzione e pazienza e un animo tra investigativo e spa– ventato è insieme utilissima e divertentissima. La stessa deficienza di un metodo rigorosamente scientifico le con– ferisce riga per riga un carattere di reazione tutta perso– nale di grande efficacia. E' un vocabolario gonfio di sfo– ghi e di sospiri come una fisarmonica. Panzini ci s'è mes– so tutto, come filologo e come artista, come cittadino che protesta e come umorista. Non s'era mai letto, dopo quello (1858) di Prospero Viani dei 'Pretesi francesismi', un dizionario così ragionato alla domestica e tant_o sim– . paticamente ricreativo. Ai tempi del Viani furon proteste: «Sarebbe strano, - scriveva amaramente Cesare Guasti, - che si volesse provare nella lettura del Vocabolario della Crusca il diletto che si prova nel leggere un novelliere». Che paura di divertirsi, alle volte, hanno le persone se– rie!" IL DIZIONARIO MODERNO (Da Antonio Baldini, «Buoni incontri d'Italia», Sansoni 1942 - ma è un artico– lo del 1935). ~- .· ... . •.• ~ ; .. :~'i~F ---~-~-' - ~ - -, ' ,.,.:~~~!.•~~- , -~· .. • ... - • - ... ~ ....... . . .. ~-----:. .,;:.- .. _; - ~~~~ ... ' ''D' Annullzio spogliaTommaseo" "D'Annunzio certo lavora più sul Tommaseo-Bellini /il Nuovo dizionario della lingua italiana/ che sugli autori e testi direttamente: anche a proposito del 'Notturno', io ho fatto una serie di riscontri curiosi. E so, di certa scien-– za, che tre volte nella sua vita, a tre diversi periodi e orientamenti estetici, D'Annunzio spogliò tutto il Tom– maseo-Bellini ordinandone le voci e i modi che gli piace– vano in apposite rubriche 'oggettive': per es. sotto 'nave': tutti i modi interessanti questa voce e le operazioni che vi si riferiscono; così sotto 'aratro', 'rosa', etc. Ebbene: in fin dei conti fece bene: anche quello era un modo, un po– vero modo, di differenziarsi dall'infinità di porcaccioni e · analfabeti che scrivono in Italia. Io preferisco il Tomma– seo-Bellini alla teoria dello spirito come atto puro, con la quale si giudica tutto e non si fa nulla. Ma lei ha toccato cotesta materia con una difficile delicatezza; e, in fondo, rispettando la fatica, anche bassa e poco splendente, di quest'artista che diciamo infaticabile forse perchè è sem– pre affaticato e bisognoso di sostegni". · . . (Da una lettera di Emilio Cecchi a Mario Praz, 31 mag- gio 1922, ora pubblicata in «Carteggio Cecchi-Praz», a cura di F .B._Crucitti Ullrich, Adelphi 1985). FINE SECOLÒ * SABATO25 / DOMENICA26 MAGGIO "Meglioun vocabolario che un romanzo'' "Devo confessare .... una mia vecchia debolezza, che è quella di occuparmi a ore perse di cose che non capisco, non per edificarmi una cultura organica, ma per puro di– vertimento: il diletto incontaminato dei dilettanti. Prefe– risco orecchiare che ascoltare, spiare dai buchi di serratu– ra invece di spaziare sui panorami vasti e solenni; pref eri– sco rigirare tra le dita una singola tessera invece di con– templare il mosaico nella sua interezza. Per questo i miei famigliari ridono benevolmente di me quando mi vedono (cosa frequente) con in mano un dizionario o un vocabo– lario invece che un romanzo o un trattato: è vero, preferi– sco il particolare al generale, le letture saltuarie e sminuz– zate a quelle sistematiche ... Un caso particolare di questo libertinaggio «sportivo» consiste per me nella frequenta– zione inconsulta dei dizionari etimologici: esercizio tanto più remunerativo in quanto fatto a puro titolo gratuito, senza uno scopo pratico, senza intenti critici di cui del re– sto non sarei capace, e senza una seria preparazione lin– guistica. Ne posseggo cinque, per l'italiano, il francese, il tedesco, l'inglese e il piemontese: quello che mi è più caro è quest'ultimo ..." (Primo Levi, «Libertinaggio coi dizionari. Le parole fos– sili», La Stampa, 9 genn.1985). Simenon:se • • piove, piove -Lei è un caso unico di fecondità come scrittore. E' vero che per le decine e decine di libri di cui è autore, ha usato n~n più di duemila parole? «Duemila sono troppe, non sono arrivato a questa cifra. Ci sono delle ricerche universitarie in proposito. Del re– sto, Racine ne impiegò ottocento. Ho sempre cercato di scrivere con semplicità, con parole concrete e non astrat– te per farmi capire da tutti. Boileau insegnava che se pio– ve, basta scrivere che piove: non _cheil cielo piange o che scendono gocce grandi o piccole. Questa è una delle ra– gioni per cui i miei libri sono stati tradotti in centotrentu– no lingue. Quando mi rileggevo, tagliavo fasci di aggetti– vi». da: Gfulio ·Nascìmbeni, Sìmenon:«Finalmente sono un uomo nudo» -Intervista a Georges Simenon- Corriere del– la Sera, 19 maggio 1985.

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