Fine secolo - 18-19 maggio 1985

Foga chirurgicae circospezioneomeopatica sifronteggiano nella brancapiù di.laçantedella moderna medicina: il restauro dei monumenti. Questo confronto è 9ui messo alla prova di unofra i più celebrati e vituperati documenti dell'arte antica, il Laocoonte. Una complicata storia di estetica e ortopedia, che non è ancorafinita. FINE SECOLO* SABATO 18 / DOMENICA 19 MAGGIO 21 --------------------------· di Orietta ROSSI PINELLI ----------------------------- . . • .~ -'.~= . .- .... ~·. :.. I l restauro coinvolge tanti problemi diffe– renti fra loro, quanto profondamente in– trecciati: quello più evidente della t~ e poi la ricerca filologica, i mutamenti di oriem– tamento estetico (nella critica), di gusto (nd pubblico e nei collezionisti) e, non ultima,. l'in– fluenza di emozioni imprevedibilmente diverse. I problemi sono ancora più complicati quando si tratta della scultura antica, cioé della mate– ria principale da cui si é formato il nostro modo di guardare e di figurarci l'arte. I termini della teoria e della storiografia del restauro da una parte, e gli schemi operativi seguiti dai re– stauratori dall'altra, hanno mostrato notevoli coincidenze, e si sono reciprocamente confor– tati, sin dai tempi di Cavaceppi e Winckel– mann. Oggi é possibile indicare due linee di fondo che orientano sia gli interventi di restauro sulla scultura antica, che l'interpretazione dei re– stauri subiti in passato dalle opere. 1. La prima considera le opere d'arte pervenu– teci come il risultato di una lunga stratificazio– ne storica che ha trasformato materialmente (e irrimediabilmente), l'oggetto originario; la consapevolezza di ciò impone il sostanziale ri– spetto di questo processo. Il restauro in questo caso é puramente conservativo e conoscitivo. Questo atteggiamento presuppone l'accettazio– ne della relatività delle nostre possibili cono– scenze storiche, e della possibilità di raggiunge– re un grado assoluto di certezza nella ricostru– zione dei singoli episodi. Si possono raggiun– gere solo risultati approssimativamente verosi– mili. Mancano infatti troppe tessere (oltre alle perdite accertabili possono essere intervenuti fattori fortuiti a scombinare le carte). Inoltre sappiamo anche che le nostre ricerche sono fortemente predeterminate dalle nostre do– mande. Il mito dell'origine ritrovata La seconda linea ritiene invece che sia possibile recuperare l'immagine primitiva dell'opera at– traverso l'eliminazione delle aggregazioni suc– cessive. «Derestaurare» diviene così necessario .... ,.,.JMII~-~-.;,. ...:... ·-t - "" . . :r_ ..i-~-.. ., . T . C,I J;f; ~ ·-·-..,. ' ,~ ... , ........ ~r"."'!~--·· ..•. ,.,..---·.,. _-O .. r1-f1 · ~ a LAOCOONTE I • RIF1ATTO Al*F2ZI L'analogia fra la vecchia chirurgia del/' «integrazio– ne»,. e la nuova del «dere– stauro>>. per appagare esigenze di ordine critico-filologi– co ed estetico. Questa tendenza osserva una ferrea scala di valori, persuasa di poter separa– re il Bello e il Brutto. Spesso discutibili pre– messe pseudofilologiche si combinano a una venatura di feticismo (i casi più clamorosi di danni perpetrati in nome di questa sceha ci stanno davanti in tanti disastrosi saccheggi ar- Senza dire, a ulteriore sfavore di questa posi-. chitettonici, ma non meno sostanziali scempi zione, che oggi, dopo la piena riabilitazione hanno riguardato la scultura). dell'arte manierista e barocca, quasi nessuno Questa posizione decide di igp.orare come la oserebbe legittimare l'eliminazione di un re- . maggior parte delle statue che ci sopo pervenu- · stauro di Cellini o di Algardj, mentre la censu– te sia stata manomessa dagli interventi subiti · ra che continua a gravare su certa scultura nel corso del tempo: la cosidetta Artemide di neoclassica (tanto fredda e accademica!) con– Versailles fu sottoposta nel XVI sec. ad una sente una maggior disinvoltura nei confronti cura snellente; opere di manifattura ·scadente delle integrazioni di autori di. fine Settecento– sono state rilavorate ·per "migliorarne" la qua- -primo Ottocento. Anche per la esiguità degli lità, come certi bassorilievi di villa Medici; o studi sugli scultori di quegli anni, salvi i pochi addirittura sono state create opere sostanziai- che vengono considerati dei maestri. Mi do– mente nuove, risultate dall'assemblaggio di mando se non si tratti poi dello stesso atteggia– pezzi antichi, come le numerose versioni rica- mento critico-emotivo, quello che un tempo vate da consistenti torsi di copie romane del portava a integrare e oggi a «derestaurare». Si Discobolo mironiano, che hanno dato vita al é disposti a manomettere un'opera pur di ere– Guerriero cadente di Monnot, a un Diomede dere di aver recuperato un'immagine origina– che fugge con il Palladio di Cavaceppi, a un na. Endimione di autore incerto. Gli addetti ai lavori erano stati tempestiva– mente avvisati: per esempio da Giovanni Casa– nova, Discorso sopra gli antichi, Lipsia 1770: «In un paio di secoli gli Antiquari avran da fa– ticare molto sopra le Antichità uscite dalle Manifatture nostre». La del suggestione Laocoonte, dal 1506 La storia dei restauri del Laocoonte vaticano é senz'altro la più affascinante e intricata con- ..,.,..,. ___ ~·-:-X~':..,.'' r·,~•r-:~~~:::~ -i FIG.1 centrazione su una sola opera di integrazioni, rimozioni, supposizioni, interpretazioni ge– stuali. E nonostante una ricca e colta biblio– grafia, é ancora estremamente arduo rimetter- ne in ordine le tessere. · L'intreccio di interessi suscitati da quest'opera dipende dalla suggestione che la statua ha sem– pre conservato, a partire dal suo Ijtrovamento nel 1506, durante uno scavo casuale nella villa di Felice Freddi alle Sette Sale sul colle Oppio. Già le fonti che trattano del ritrovamento sol– levano forti incertezze. Non si riesce infatti a stabilire in quali condizioni sia stata rinvenuta l'opera, al momento dello scavo, e in particola– re se le figure si trovassero unite o separate. Una lettera del Trivulzio, del 1506, insiste sulla perplessità di alcuni artisti romani a proposito dell'affermazione di Plinio, secondo cui il gruppo del Laocoonte sarebbe stato scolpito da tre scultori di Rodi in un unico blocco di marmo. Il Trivulzio sosteneva che erano state individuate quattro commettiture «che non si possono conoscere facilmente, se non da per– sone peritissime di quest'arte ...». In realtà i blocchi di marmo impiegati sono sette, e oggi é messa in discussione la stessa frontalità della disposizione dei personaggi. Secondo Howard, la frontalità rivela una ma– trice rinascimentale e fa supporre dunque una ricomposizione delle tre figure. subito dopo il ritrovamento. Le testimonianze grafiche con– temporanee al ritrovamento del gruppo, e che lo mostrano ancora lacunoso nel braccio di de– stra del Laocoonte e del figlio minore, nella mano destra del figlio maggiore, e in alcuni al– tri piccoli tratti, sono concordi nel presentare la scultura saldamente collegata nelle sue tre parti e con un ben definito assetto frontale (un disegno anonimo di Diisseldorf, pubblicato da Winner, risalente agli anni 1506-8; un'incisione di Marco Dente e una di Giovanni Antonio da Brescia, 1508). L'opera era, di per sé, certamente molto sugge– stiva, ma a eccitare gli animi per il ritrovamen– to valeva anche una referenza culturale: la sta– tua era tra quelle di cui Plinio narrava le mera– viglie nella sua «Storia naturale». Plinio nomi– nava i tre artisti che vi av.evano lavorato -Age– sandro, Atanadoro, Polidoro-, sosteneva appunto che era stata scolpita in un solo pezzo

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