Fine secolo - 4-5 maggio 1985
foto di Danilo Occasi della storia naturale, della storia che non è fatta dagli uo– mini, per entrare ne/l'ordine della storia_umana. Tutte le categorie della pol(tica, tutte le costruzioni della storia come storia di lotte fra uomini, sono incapaci di pensare una simile situazione. L'hanno pensata i poeti, Leopardi. In questa situazione l'uomo è restituito da una parte alla solitudine e alla responsabilità assolutamente personale, dall'altra è spinto a/l'identificazione senza mediazioni e alla possibile solidarietà con l'intero genere umano, con le sue generazioni future (e passate), con la sorte della vita della 'terra. Città, stati, classi, non lo aiutano ad affrontare questo orizzonte, e viceversa spesso e fortemente lo impac– ciano, come chiusure, nazionalismi, corporativismi,fanati– smi. Niente di meglio ha elaborato il diritto internazionale della sovranità fondata su/l'esistenza di stati nazionali, e niente di meglio ha elaborato la politica statale della de– mocrazia liberale: e tuttavia che cosa possono gli stati e le loro sovranità e le loro frontiere, sullo sfruttamento dell'al– to mare, o del cielo; come possono maneggiare la chiazza di petrolio che muove dalla guerra del Golfo e naviga fino ai mari più distanti; o la ripetuta minaccia di governanti iraniani pronti a chiudere le stretto di Ormuz, "dovesse pure scoppiare la terza guerra mondiale"; o la sorte degli orsi bianchi vagabondi che fanno decine di chilometri al giorno senza arrestar.si davanti ai confini non segnati fra stati che li proteggono alcuni, li massacrano altri; le piog– ge acide contrabbandate dal vento oltre le frontiere; /'ossi– geno dell'Amazzonia chefa da riserva al mondo intero, ma dipende da un governo un cui ministro, pochi anni fa, disse (e la sua follia non era priva di logica): "Potranno parlare del nostro ossigeno quando ce lo compreranno a un tanto al barile, come il petrolio"? Ho visto tempo fa in televisione un servizio su una base di Cruise a nord di New York, a Griffin. Uno degli addetti di– ceva: "Ho voluto venire qui a metter su famiglia. Non c'è nessun posto che sia al sicuro, del resto". E mi sono ricor– dato di quel canadese ossessionato dalla paura di una guer– ra, che qualche anno fa aveva raccolto moglie e figli ed era emigrato agli antipodi, in un arcipelago isolato e insignifi– cante che nessuna guerra avrebbe toccato -erano le Fal– kland Ma/vine. "Naturalmente il problema è troppo grande, e si può solo descriverlo con maggiore approssimazione. È quel concetto che nel diritto internazionale si chiama "patri– monio, retaggio dell'umanità". Sommariamente, due ten– denze estreme si esprimono nei confronti di questa situa– zione: quella a un "governo del mondo" centralizzato, a una nuova aggressività "buona", una polizia planetaria capace almeno di tenere a bada i più minacciosi capisca– richi; e quella a una deescalation verso dimensioni più ravvicinate e controllabili. "Ripristinare la bioregione", non rinunciare alla complessità, trovare una dimensione abbastanza complessa da non ridurti a un pezzo di Me– nenio Agrippa, e al tempo stesso controllabile, e di capa– cità di danni limitata. I Veneziani hanno disboscato la Val Venosta per fame navi - ma rìon hanno potuto di– struggere molto più della Val Venosta. Dobbiamo ammettere nei confronti di tutti i socialismi che nessun esperimento collettivistico ha fatto buona prova di sé, se non in esperienze volontarie, o strettamen– te limitate nel tempo -dai conventi ai kibbùz. Io sento, e ciascuno di noi probabilmente sente, che non ce la farei a vivere in una di quelle utopie che a volte noi stessi propa– ghiamo: i nostri stessi scacchi sono forse uno scampato pericolo. Possiamo chiamare "realismo" lo spazio fra un discorso limite e una situazione data. Il caso principale è il rapporto fra pacifismo e trattativa politico-diplomati– ca. Anche qui proverei a ricavare dalla circoscritta espe– rienza dei "blocchi etnici" poche e modeste regolette. La prima, che c'è bisogno dal basso, dai ranghi, di molti tra– ditori del proprio blocco che non passino dall'altra parte, non diventino semplicemente dei transfughi. Questi 'di– sertori" devono poter contare su loro omologhi nell'altro blocco perché il loro credito cresca, e perché la loro ma– turazione sia reciproca. A un certo punto diventa possi– bile associarsi, arrivare a un grado molto alto di integra– zione e di efficacia congiunta -ma alla condizione di aver conservato un'appartenenza. Per fare una pace bisogna che qualcuno, senza dover essere un eroe, dimostri che é possibile, e che in qualche modo ne sperimenti in anticiptr le condizioni, passi attraverso il ponte che si é sforzato di gettare fra le due parti. E si può anche azzardare una cer– ta asimmetria. Per quella sinistra cui anche noi abbiamo appartenuto, la riflessione sul rapporto con la natura e sul pacifismo era connessa alla riflessione sulla violenza politica. L 'insoddi– sfazione per le spiegazioni complottarde del terrorismo, o anche puramente "politiche", era forte di fronte al senti– mento che occorresse rimettere in causa non gli errori di un'ideologia o l'ideologia stessa, ma una "educazione", un modello antropologico, per dire parole grosse. Chi esauri– sce il terrorismo nelle sue "motivazioni politiche" assomi– glia a chi crede che si vada a caccia per economia. In ve– rità, persino i bracconieri vanno a caccia per divertimento. Il terrorismo era una specie di bracconaggio della violenza, che stava alle guerre, statali o di liberazione, come la cac– cia di frodo sta allo "sport dei re", alla cerimoniosa e san– guinaria caccia alla volpe. Di fronte alla scalata del terro– rismo, alla fine degli anni '70, molti ex militanti rivoluzio– nari sono rimasti così sconcertati da passare, per così dire, dai fatti alle pa;ole. Inabilitati dal loro vocabolario a ripu– diare del tutto fatti ripugnanti, li hanno rincorsi verbalmen– te: non si tratta-va infatti di rinnegare ifatti, ma il vocabo– lario. E' anche per questo, credo, che /'ecologismo prove– niente da sinistra può avere ora da noi una estraneità pro– f onda alle incursioni dei lupi traverstiti da agnelli che qual– cuno ha paventato, e che vengono sospettate nei movimenti pacifisti dell'Europa del nord. li problema é spostato più in là «Non ho un altissimo apprezzamento del pacifismo in– glese. La guerra delle Falkland-Malvine ne é stata una misura eloquente. In quei giorni c'era una grande manife– stazione antinucleare e nessuna iniziativa sulla guerra. In generale, sul pacifismo, é vero che é in parte viziato da un'ipoteca di schieramento degli anni '50, di unilatera– lità. Ma é vero anche che c'é uno stretto parallelismo fra la logica espansionista distruttrice dell'ambiente e la spinta agli armamenti. La posizione che pretende alla ra– gionevolezza é tutta interna a una spirale; come nella di– namica economica, concorrenza e competizione spingo– no all'espansione, e tutto funziona finché il rilancio spo– sta in là la resa dei conti. E' vero per tutto, questo "spo– stare più in là", dallo scarico dei rifiuti alla guerra, alla desertificazione, alla monocultura. In ciascuno di questi casi, se non si vuole arrivare alla distruzione occorre una forte spinta opposta all'autolimitazione. Certo, dovrebbe essere bilanciata. Nessuno può da solo smettere la produ– zione, per se stesso e per lo squilibrio che ne verrebbe al sistema intero: ma non c'é altra strada che cominciare. Con gli armamenti, come con l'astinenza dalla droga pe– sante: una terapia scalare, cominci a fare dei passi indie– tro, sulle armi, .sulla velocità delle automobili, e li fai an- FINE SECOLO * SABATO 4 / DOMENICA 5 MAGGIO che se non c'é ancora nessuno dall'altra parte che li fa. Se c'è, meglio. La sproporzione fra quello che si dovrebbefare e quello che si può fare é cattiva consigliera; perché dovrei proprio io, in questo punto del bosco in cui nessuno mi vede, evitare di buttar via il mio sacchetto di plastica? Se si dovesse raffi– gurare esemplarmente l'uomo del nostro tempo, un'imma– gine emblematica come il discobolo di Mirone, bisognereb– be scegliere il gesto dell'uomo che getta, che butta via. Qualcosa. Qualunque cosa. «I comportamenti del singolo sono postulati come le con– dizioni di qualunque rivendicazione più ampia: la plasti– ca buttata, il consumo dell'auto, le abitudini alimentari. Una delle qualità migliori delle battaglie radicali e dei movimenti civici in altri paesi sta proprio nella proposi– zione di "una cosa da fare". A me piace molto anche l'i– dea di Schmidt, di sospendere per un giorno alla settima– na le emissioni televisive". Come l'allegria imprevista delle domeniche petrolifere a piedi ... ''Ma sono tutte considerazioni che non possono rimuo– vere il problema del pacifismo. Il pacifismo antinucleare può spesso somigliare a un intergruppi, a un interpartiti, ma ha anche seriamente a che fare con la scoperta del li– mite. Dove sono andati oltre la contesa per la rappresen– tanza politica, i comitati pacifisti hanno anche portato a scelte di idealità, di spiritualità, se si può dire, diversa. A praticare cose, prima e oltre che rivendicarne dai gover– ni". L'esperienza che ricordavi delle Falkland-Malvine fa pen– sare se il pacifismo non sostituisca con l'ansia e /'attivismo contro "la guerra" la capacità dt occuparsi concretamente e efficacemente "delle guerre". Forse dovrebbe succedere il contrario, e non perché "le guerre" attuali siano un allena– mento nei confronti "della guerra" potenziale, ma perché sono la guerra. "Anzi, questo suggerisce un'altra regoletta: che conviene augurare a tutti di avere un banco di prova fatto di nemi– ci concreti, e che possa approdare allo scioglimento con– creto dell'inimicizia. Ai gruppi pacifisti farebbe bene con– frontarsi con conflitti più limitati ma con più effettive possibilità di intervento. Il Libano, Cipro, l'Irlanda, Gi– bilterra ...e sono già situazioni fin troppo grandi". Questa storia della guerra e delle guerre mi fa venire in mente San Francesco, ricomparso come un leader carisma– tico sugli striscioni dei verdi tedeschi: San Francesco e i suoi erano specializzati nelle "paci": non tanto nel predicar la pace, quanto nel metter pace, con mezzi di fantasia e di fortuna, nelle contese concrete. "C'é un esempio che ho visto per la prima volta nell'esta– te 1983 a Berlino: i manifestanti lanciavano palloncini ol– tre il muro, con attaccato un "Trattato personale di pace": "Io sottoscritto ...intendo concludere con ..." ecc. Scrivere nome e indirizzo e rispedire di qua. Nella" cate– na umana" fondata sul principio di attraversare il confi– ne del blocco, un aspetto essenziale é che a nessuno resta una mano libera per tener su bandiere, per tirare pietre, o che so io". Questa sì che é una regressione nel cammino dell'evoluzio– ne: la stazione eretta liberò le mani dell'uomo dalla loco– mozione, consentì loro di portare il cibo alla bocca, di im– pugnare selci appuntite, di suonare il violino e di premere pulsanti di missili, fino a che gli uomini tornarono a starse– ne buoni con le mani in mano ...e vissero felici e contenti. E' il momento di concludere, ora. Tornando alle liste verdi. Squadra giovane, non priva di generosità, al suo primo campionato: quale gentiluomo potrebbe non augurarle di ben figurare? E, tanto per cominciare, di evitare, nella foga della novità, gli autogol? Nelle liste verdi la sproporzione é forte, e sentita, fra la grandezza di un'intuizione e la sua incarnazione in liste e candidati. "Nei prossimi 15 anni si decide la sorte delle future generazioni" -lo si può dire per diventare consi– gliere comunale; ma é anche vero, per la prima volta. Battersi perché la temperatura del mare non aumenti di I o 2 gradi fino a conseguenze irreversibili -con quali forze? C'é un abisso. Ma, beninteso, non un abisso maggiore di quello fra i sogni della I Internazionale, e le persone che si riunivano in una stanzetta per fondarla.
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