Fine secolo - 27-28 aprile 1985

ScevolaMariotti: il non fascista costituzionale Scevola Mariotti fu allievo della Scuola Nor– male dal '37 al '40 (quando dovette andarsene per 'intemperanza' antifascista) e vi ebbe mae– stro Pasquali, dal quale derivò i suoi interessi di studioso per la poesia e la metrica latina ar– caica. In un bilancio, quale si può fare in una conversazione, dell'importanza di Pasquali per gli studi classici in Italia, è questo un punto centrale: a .lui si deve l'avvio nel nostro paese di una vera scienza metrica. E ancor oggi, circa i problemi che Pasquali affrontava nella Prei– storia della poesia romana, non c'è da essere pessimisti quanto lo è, per esempio, Sebastiano Timpanaro nella sua introduzione alla recente ristampa di quell'opera. Allargando il discorso e divagando, un altro punto da mettere a fuoco è l'interesse di Pa– squali per la poesia ellenistica e l'ellenismo (sua è appunto la voce Ellenismo nell'Enciclo– pedia Italiana). Basta ricordare le Quaestiones Callimacheae del 1913. Era in Pasquali un par– ticolare gusto, lui uomo molto intellettualizza– to, per i poeti dotti, i poeti grammatici (a lui si deve quella sorta di puntualizzazione teorica sulla 'poesia allusiva' nel celebre saggio, occa– sione di una polemica con Benedetto Croce). Su quel tipo di letteratura pesava ancora la condanna o il fastidio delle estetiche e dei gusti romantici. E sta qui il motivo insanabile della lontananza di Pasquali dal crocianesimo. Ap– partiene a questa sfera d'interesse anche l'Ora– zio lirico, del '20: libro dal quale più tardi l'au– tore prese le distanze e che non volle mai ri– pubblicare (è stato ristampato da La Penna nel '64) perchè giudicava eccessiva la pretesa di trovare o immaginare dietro ogni ode oraziana o parte o situazione di essa un'occasione, uno stimolo letterario, un precedente greco, spe– éialmente ellenistico. A questo proposito ricor– do io che il mio insegnante di liceo insisteva molto sul fatto che fosse impossibile apprezza– re la lirica oraziana senza un'adeguata cono– scenza dei poeti ellenistici. Un libro, comun– que, dice il professor Mariotti, pieno di dottri– na e di gusto, anche a rileggerlo oggi. Un'altra battaglia importante di Pasquali fu quella contro la critica estetizzante (alla Ro– magnoli) e le letture irrazionaliste; e contro il ricorrente malcostume di piegare le scienze del– l'antichità a funzione di retorica patriottarda, già ben prima del fascismo. A questo proposi– to, nonostante debolezze e vanità, Pasquali non concesse mai nulla al culto della romanità del regime fascista, anzi lo contrastò ferma– mente, e soprattutto non inquinò mai il suo la– voro di studioso e di maestro. E qui stava uno degli aspetti sostanziali della sua estraneità al fascismo. A proposito di fascismo. Scevola Mariotti ebbe, come altri allievi, un rapporto di affet– .tuosa confidenza col maestro, da cui non era– no esclusi i giudizi sull'Italia del momento. E per tutti c'è un punto fermo: Pasquali era co– stituzionalmente non fascista, non solo nella sua probità e libertà di studioso, ma in ogni sua manifestazione. Sfuggiva però a lui la tra– gicità della politica fascista per il paese, fino al punto di pensare con orrore alla sconfitta ita– liana quando ormai la guerra volgeva a quel- 1' esito. Ricorda Mariotti che nel '43, nell'ap– partamento di Lungarno Vespucci 4, a Firen– ze, discutendo della situazione, gli espresse l'o– pinione che era auspicabile, oltre che ormai inevitabile, che l'Italia perdesse la guerra. Pa– squali si coprì inorridito il viso colle mani, esclamando agitatissimo:"Non dire così, non lo devi dire!" Poco dopo, il precipitare della si– tuazione avrebbe scatenato in Pasquali quella crisi nervosa che lo tenne lontano dagli studi e dalla scuola fino al 1947. Era crollato un mon– do al quale si era ingenuamente appoggiato, gli era venuta meno ogni bussola. Si sentiva in colpa verso tutti:"Ho tradito tutti, fascisti e antifascisti. Nessuno mi stima più". Fra le pubblicazioni dedicate alla figura di Pasquali segnaliamo il volume miscellaneo "Per Giorgio Pasquali - Studi e testimonianze", a cura di Lanfranco Caretti, Pisa, Nistri– Lischi, 1972. Il volume è completato dall'elenco delle pubblicazioni di Pasquali e da una bibliografia essenziale su Pasquali, a cura di S.Timpanaro. MarinoRaicich: le carte perdute Marino Raicich fu allievo di Pasquali alla Normale nel dopoguerra. E' stato per vent'an– ni professore di scuola, per undici deputato del Pci (ed estensore in quella veste di progetti di riforma della scuola media superiore), poi per cinque anni, fino a questo febbraio, direttore del Gabinetto Vieusseux. Nel '79 da Sansoni ha ristampato, con un'am– pia introduzione, gli scritti più significativi di Pasquali sull'università e la scuola, a partire da L'Università di domani (in collaborazione con Piero Calamandrei), del '23. Nell"83 su Be/fa– gor (fascicolo II) ha fatto conoscere la lettera, conservata dalla famiglia Pintor, di Pasquali a Fortunato Pintor che gli aveva mandato un te– legramma di congratulazioni per la sua nomi– na ad Accademico, agli inizi di dicembre del 1942. Nella lettera Pasquali rievoca i debiti d'amicizia che ha da lunga data (la sua chia– mata a Firenze nel 1923) verso Pintor, senza mai accennare al fresco titolo d'Accademico. Ricorda invece Raicich, per tradizione orale (che è unanime presso altri allievi), che in Nor– male, quando ricevette la notizia per telefono da Bottai in persona, Pasquali si lasciò andare a fanciullesche manifestazioni di gioia, con sal– ti, piroette, manate sulle natiche. E amici e al– lievi si felicitavano affettuosamente, accettan– do la sua vanità, anche se non condividevano il motivo della festa. Del resto era una nomina tardiva, alla vigilia della catastrofe; ma ciò pa– reva sfuggire all'ingenuo 'fanciullo'. Per di più era curioso che Pasquali, nella sua smania per l'Accademia (in cui era stato accolto il 'nemi– co' Bignone - ne deformava la pronuncia in Bi– ghnone), non si rendesse conto che l'Accade– mia d'Italia era nient'altro che una brutta co– pia della corrispondente istituzione francese, e ben lontana dalle ammirate accademie tede– sche, centri di organizzazione del sapere e della ricerca. E che lui, così antiretorico, non pro– vasse ripulsa per spadino, feluca... Com'è noto, in Pasquali alla germanofilia s'ac– compagnava un totale disdegno per la cultura e la scuola francesi (anche Mariotti faceva no– tare che l'opera. del grande filologo francese Havet era appena nominata nella Storia della tradizione e che probabilmente quel maestro non aveva avuto nessuna importanza nella ela– borazione dei problemi affrontati in quel li– bro). Raicich precisa che l'amore di Pasquali per la cultura tedesca, per il suo senso del dovere operoso, venne incrinandosi da ultimo (come traspare nel tardo scritto sul testamento di Mommsen), quando cominciò a riflettere al re– troterra di quella cultura, alla società che la esprimeva, al rovescio della medaglia. Parlando di Pasquali ricorre la questione delle lettere e delle carte private. Qualcosa è stato pubblicato in questi anni (in particolare su Bel– fagor e La Nuova Antologia) e qualcosa, poco, si potrà vedere in una piccola mostra docu– mentaria che verrà allestita al Vieusseux in oc– casione di una giornata di studi pasqualiani. La signora Maria Nosei, una volta, allo stesso Raicich, presso il Vieusseux, raccontò una sto– ria poco chiara di una cassa sparita o distrutta per responsabilità di una domestica. Ma ci sono speranze che rie~erga. Al Vieusseux c'è un piccolo fondo donato da Dino Pieraccioni; un centinaio di lettere conserva Lanfranco Ca– retti. r: FINE SECOLO * SABATO 27 - DOMENICA 28 APR~LE Sebastiano Timpanaro: fra Pasqriali e Marx A riparlare con gli antichi allievi di Pasquali, si rischia di sentirsi dire le stesse cose: aneddoti spesso divertenti, sempre benevolmente rac– contati, a confermare la stravaganza dell'uo– mo ("la figura più caratteristica della filologia classica italiana, il professore più caratteristico della nostra università", come scrisse Giacomo Devoto in una commemorazione dal titolo molto bello, "L'amicizia") ma anche la pecu– liarità del gruppo, della confraternita dei 'pa– squaliani'; o, all'altro capo, il ricordo di un uomo geniale e di una cultura straordinaria, cui però soprattutto si voleva bene. Si direbbe che Pasquali riuscisse a suscitare nei suoi sco– lari sentimenti filiali e paterni insieme, come di una grande autorità e di una esposta fragilità. Forse anche per il suo procedere brusco e ar– rancante, per lo sguardo basedowiano dietro le lenti spesse, per la malinconia che traspariva dietro la disponibilità fanciullesca all'allegria e allo scherzo -e che rende tanto commovente il più bello fra i suoi scritti dell'ultimo periodo, "Il testamento di Mommsen", una specie di sottile autobiografia interposta. Gli scolari co– noscevano i lati scoperti del maestro, come l'entusiasmo per la sua bella moglie -"E' bellis– sima!", diceva ispirato- e l'amarezza di esserne mal compreso. Il mondo della filologia cui ci si accosta raccogliendo testimonianze su Pasqua– li è un mondo rigidamente maschile: c'era stata bensì una studiosa d'ingegno e di fama, Medea Norsa, collaboratrice di Vite1li, ma era stata una vera eccezione. Fra gli scolari di Pasquali non figurano donne, e quelle che ne frequenta– vano i seminari erano trattate con speciale im– pazienza. Alceste Angelini, studente a Firenze nei primi anni '40, poi insegnante, traduttore di classici e poeta a Siena, ricorda che alle stu– dentesse poteva toccare in sorte di essere cac– ciate bruscamente da un esame maldestro, ciò che avveniva più difficilmente coi ragazzi. Se– bastiano Timpanaro ricorda che era un fatto, allora, per ragioni di cultura e di educazione, che le ragazze apparissero più sgobbone e meno ingegnose dei ragazzi: ma conferma che in Pasquali c'era un pregiudizio sull'inferiorità intellettuale delle signorine, dolci creature più brave a imparare che a capire. Succedeva bensì che in un seminario una ragazza figurasse bene, e allora Pasquali se ne entusiasmava come di un caso assolutamente singolare, che confermava la regola. Come succede, le ragaz– ze stesse finivano per adeguarsi al modello loro imposto. Dopo la guerra, nota Timpanaro, le cose cambiarono un po'. Pasquali si accorse che le eccezioni diventavano sempre più nume– rose, e anche splendide. Ma un fondo misogi– no restò sempre. Timpanaro è, si direbbe, un uomo diviso in due: pasqualiano in filologia, leopardiano e marxista in politica. Probabilmente le cose sono ancora più complicate. Sta di fatto che pochi allievi sono stati così criticamente obiet– tivi nei confronti del loro maestro, e così affet– tivamente fedeli. Timpanaro è oggetto, nono– stante la sua scontrosità leggendaria, se non di un culto, certo di amicizie iniziatiche. Oltre al rigore morale, ne fanno un termine esemplare di confronto l'ampiezza di interessi e la chia– rezza della scrittura. Sulle orme di Pasquali, Timpanaro è imprevedibilmente tornato perfi– no con un libro recente dedicato alla rivendica– zione del De Amicis socialista ("Il socialismo

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