Fine secolo - 27-28 aprile 1985

Giorgio Pasquali, poco più che trentenne, in una foto "unica" dei primi anni dell'insegnamento fiorentino. Peretti arrivava a Firenze, studente della provincia bianca, quando Pasquali cominciava il suo insegnamento. Fin ·dalla prova d'esame, il grande professore fece del raç,azzo intimidito un amico: 'Sono ricco, posso prestarti dei soldi". · Peretti, nato nel 1901, è diventato un importante filologo e professore, ma ricorda ancora l'incontro col maestro e amico come l'inizio della "vera vita". E ricorda anche i momenti dell'angoscia e della disperazione. di Aurelio PERETTI Mentre a Pisa si trova chi vuol escludere il nome di Giovanni Gentile dalla lapide comme– morativa dei docenti e gli studenti dell'Univer– -;ità e della Scuola Normale Superiore morti per cause di guerra, mi torna insistente nella memoria l'immagine di Giorgio Pasquali nel– restate del 1945. La guerra ci aveva separati per due anni. Quando lo rividi nella villa sotto Fiesole dove era sfollato e dove rimase per qualche tempo a guerra finita, trovai un altro uomo, malato e depresso, come fosse preso da un incubo. Conversai con lui penosamente, ri– cordando gli anni migliori e i suoi scolari mi– gliori, cercando di interessarlo con alcuni pro– blemi di non so quale mia ricerca. Quando mi accomiatai, egli mi accompagnò fuori e so– stammo nel giardino della casa a guardare il paesaggio fiesolano a noi tanto familiare. Il tramonto inondava di luce i poggi digradanti, la distesa di Firenze, i colli a sinistra che si rin– correvano fino a Settignano. Si veniva in quei luoghi in anni tanto lontani e più lieti, nelle trattorie di Maiano e di Vincigliata, a festeg– giare insieme con altri suoi vecchi scolari e gio– vani amici qualche lieto avvenimento, come per me la vittoria nel concorso per la cattedra liceale, la libera docenza, il passaggio per Fi– renze in viaggio di nozze. Sull'onda montante dei ricordi e degli affetti, feci anche il nome, ahimé, del Salviatino. Pasquali, a quel nome, trasalì visibilmente. M'interruppi bloccato dal suo turbamento, improvvisamente fu silenzio tra noi, greve e teso fino allo sgomento: avevo visto i suoi occhi, quei poveri occhi malati e spenti dietro le grosse lenti, riempirsi di orrore e di lacrime. Si era parata davanti a noi, per colpa mia, la figura insanguinata di Giovanni Gentile, ucciso l'anno prima mentre rincasava tra gli uliveti di quei colli, i colli delle nostre ore più serene. Fu cosa di un attimo, ed egli s'impennò in una fissità smarrita, come stralu– nato, e scappò via senza guardarmi, incespi– cando nella soglia di casa, chiamando a gran voce la moglie Maria. Il tempo della paura e del dolore Altri particolari di quel giorno, del mio ritorno in città da san Domenico di Fiesole, sono ca– duti dalla mia memoria, tanto ero sconvolto e addolorato per ciò che era accaduto. Ma il gri– do disperato del mio maestro amico, l'intuizio– ne che ebbi del male di cui allora soffriva, que– sto sì è rimasto nella mia memoria, si è confic– cato nel cuore come un chiodo arrugginito. Ciò che lo lacerava dentro, che lo sgoment:wa e stralunava come se il mondo gli crollasse ad- ILMAESTRO dosso, erano l'odio e la violenza che gli pareva non avessero più fine. Egli lo paventava da molto tempo: al mio rientro in Italia nel luglio del 1943, mi aveva confidato le sue ansie per ciò che sarebbe accaduto alla fine della guerra, per il sangue che ci avrebbe sommersi nella stretta finale. E mi sovvenne, allora, della dedi– ca del suo Orazio lirico, che reca in fronte il nome di un amico 'che combattè e morì senza odio' nella prima guerra mondiale. Ciò che legava Pasquali a Gentile non erano nè le idee filosofiche nè tanto meno quelle poli– tiche, ma l'affetto, la comune e ricca umanità, l'amicizia consapevole per il riformatore della scuola italiana, per il rifondatore della Scuola Normale, per l'infaticabile organizzatore del– l'Istituto dell'Enciclopedia Treccani, per colui che l'aveva chiamato a insegnare filologia clas– sica ai ragazzi della Scuola pisana. Pasquali aveva un senso greco della democrazia, vedeva nel fascismo un fenomeno teratologico della storia. Non lo prese sul serio, se non quando 'la fazione' -così chiamava con noi il regime e il partito- ci portò in guerra. La tessera del partito gli fu data motuproprio dai gerarchi fio– rentini e all'ultimo momento, perchè l'onore a lui conferito per merito scientifico dall'Acca– demia di Svezia non toccasse a un italiano sen– za tessera. La sua nomina a Accademico d'Ita– lia, che fu una sorpresa per molti e forse anche per lui, fu dovuta a Ugo Oietti e a Paolo Emi– lio Pavolini, accademici fiorentini suoi amici, che al momento giusto, dopo votazioni andate a vuoto, seppero far convergere sul nome 'neu– tro' di Pasquali la maggioranza dei voti man– cata ad altri due candidati politicamente più favoriti. CO Il contrasto con Croce La feluca piovutagli dal cielo per transazione accademica, se allora gli procurò invidie e ma– levole dicerie, nel dopoguerra gli impedì di rientrare col dovuto onore nella risorta Acca– demia dei Lincei. Lo storicismo di certi marxi– sti servì a spiegare o giustificai-e i crimini stali– niani e le follie della rivoluzione culturale, ma non bastò a comprendere e valutare storica– mente, entro i limiti del suo tempo, uno studio– so che in gioventù si era.formato nell'ambiente intellettuale tedesco. Si arrivò a cambiare le carte in tavola per addossare a Pasquali re– sponsabilità che egli non ebbe. La sua polemi– ca contro Croce sul poeta latino Terenzio avrebbe suggellato agli occhi dei giovani di al– lora la 'trahison des clercs', facendo crollare le loro speranze nel riscatto degli uomini di cul– tura dalle esigenze della politica. In verità Pa– squali si limitò a rispondere a un attacco pole– mico che il Croce gli mosse per primo sulla sua interpretazione di Terenzio: lo fece da par suo, e senza usare il tono derisorio e le grossolanità impiegate dal Croce. Il torto di Pasquali non era quello di aver interpretato a suo modo l'ar– te di Menandro e di Terenzio, ma di aver pre– sieduto la commissione che poco tempo prima aveva negato la libera docenza a un pupillo di Croce. Io so per certo, perchè molti scritti filo– logici e stravaganti di Pasquali li conobbi in statu nascendi, che non fu Pasquali il giudice più avverso al candidato crociano, il quale sce– neggiò poi sull'argomento un risibile pam– phlet. I pasqualiani della viva voce Gli specialisti che interverranno alle celebra– zioni di quest'anno, parlando sine ira ac studio, tratteranno dello studioso e dello scrittore, del– la sua opera scientifica e dell'operosità cultura– le, e consoleranno forse i pasqualiani superstiti di aver perduto immaturamente il loro mae– stro. Ma vi è una parte di lui che non è stata affidata ai suoi scritti, vi è un'eredità ineffabile e incomparabile che sopravvive nel ricordo di chi ne ha ascoltato per anni la voce, e si è con– solato in tanti frangenti della vita con la sua comprensione e il suo affetto. II. mio incontro con Pasquali risaliva al 1921, l'anno del suo trasferimento da Messina a Fi– renze, come successore di Girolamo Vitelli nel– l'Istituto di Studi Superiori. L'eco delle celebrazioni nazionali del centena– rio di Dante aveva dato ali al mio desiderio di evadere dal natio borgo e dall'ambiente vicen– tino. Vidi per la prima volta Pasquali in un'au– la dell'Istituto: dettava il tema di versione dal greco a mezza dozzina di ragazzi provenienti da ogni parte d'Italia, concorrenti con me ad una borsa di studio. Il nome di quel giovane professore non diceva nulla, proprio nulla, al ragazzo veneto che, per poter vivere e studiare a Firenze, aveva accettato un posto di istituto– re in un collegio cittadino. Irrequieto, scattan– te, scapigliato, girando continuamente tra i banchi, Pasquali durava fatica a vigilare e a star zitto, come si conviene a un esaminatore e come i suoi colleghi d'italiano e di latino, Gui– do Mazzoni e Felice Ramorino, avevano fatto nei giorni precedenti. Il mio accento veneto e il mio nome, ch'era lo stesso della sua nonna materna, al momento della consegna della mia traduzione gli offrirono l'argomento di un dia– logo fitto: perchè avevo preferito Firenze ad altra sede di studi, perchè facevo quel concor– so, come e dove vivevo. Mi parvero subito straordinarie la semplicità, la simpatia, il calo– re umano, con cui si interessava di me e della mia vita pratica e privata. "Io sono ricco" Che un luminare della scienza, quale doveva essere quel professore universitario, si occu– passe con tanto interesse dei miei piccoli gran– di problemi personali, trattandomi subito da uomo e da figliolo, era una scoperta stupefa– cente per un ragazzo uscito da una scuola me– dia dove le paratie di sussiego e l'abito del su– periore impedivano qualunque relazione per– sonale con i professori. Ma quando, udite le ragioni della mia venuta a Firenze e le condi– zioni difficili alle quali era stata possibile, mi disse, con semplicità e franchezza le più stupe– facenti, che lui era ricco, molto ricco di fami– glia, e poteva aiutarmi con un prestito che gli avrei restituito a suo tempo, poco mancò che mi prendesse il capogiro: per non essere so– praffatto dall'emozione, mi congedai da lui alla lesta, commosso e incantato da quell'uo– mo meraviglioso. Poi venne la borsa di studio, e seguirono quattro anni di vita comune. L'amore per i suoi ragazzi, veramente, in– formò la vita di Giorgio Pasquali. Quando seppe che un giovane romagnolo, che stimava molto per la finezza dell'ingegno e per la deli– catezza dell'animo, si era ammalato di un male incurabile poco tempo dopo la laurea, pro– mosse una colletta tra i compagni di scuola amici dello sfortunato e integrò del suo la som– ma necessaria per acquistare una radio, cosa rara e costosa in quegli anni lontani. Un gior– no, accompagnato da due ragazzi venuti con lui da Firenze, Giorgio Pasquali bussò alla porta di una povera casa di Romagna per leni– re col suo dono un grande dolore, per riempir– ne di voci e di musiche la solitudiné.

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