Fine secolo - 27-28 aprile 1985
r h. prima volta mi parve di osservare che Carlino assurgesse a un sentimento estetico puro, che attraverso la parola dell'artista e, qui oserei dire del poeta sentisse la stanchezza delle inter– minabili strade delle nuove città argentine e della pampa infinita, percorse dal ragazzo ge– novese in cerca della madre; ragazzo aperto a ogni cenno di simpatia che gli venisse da igno– ti, ma solo nel cuore, quando si trovava im– brancato tra gente che non lo capiva, in multi– tudine solus, se sia lecito accoppiare un fanciul– lino con Giordano Bruno. E del resto questo sentimento di estraneità a un mondo di adulti che non appartengono alla sua famiglia, si ri– specchia più debole anche in altre novelle, e trova ogni volta consenziente il lettore piccino, che di questa distanza anche nella famiglia fa esperienza molto più spesso e molto più per tempo che non si creda: qui a me soccorre il ri– cordo. Nella parte che abbiamo considerata centrale, il diario, il fanciullo Carlino si dilettava di ve– der tratteggiate indoli di coetanei, quali vera– mente sono. Caratteri o piuttosto macchiette? Più spesso macchiette che caratteri, se caratte– re significa scultura a tutto tondo, la quale rappresenti ogni fattezza del ritrattato, mentre la macchietta riproduce solo un aspetto, una nota sola, magari esagerandola caricatural– mente, e ricacciando nelle tenebre tutte le altre (e poco importa che Teofrasto, il quale pure ha introdotto la parola carattere nella letteratura, non riproduca mai uomini nella loro comples– sità, ma appunto sagome, macchiette). Carlino non si è mai compiaciuto di nessun altro per– sonaggio quanto di Garoffi, del commerciante nato, che traffica di tutto, di tutto batte mone– ta, che già a quell'età (da grande diventerà me– diatore di case e terreni o forse agente d'affari) riesce a procurarsi sconti dal cartolaio e dal merciaio. E poco meno gli è piaciuto il mura– torino, col visetto tondo come una mela e il naso a pallottola, col cappello a cencio che, quando non fa bisogno, «attorciglia» e si ficca nel taschino (tanto più buffo ai suoi occhi, perché ora i ragazzi non portano mai cappello e di rado i grandi); vestito della roba smessa del padre, ancora bianco di calcina e gesso: il muratorino dall'andatura trasandata di ope– raio stanco, ma sempre pronto a fare il muso di lepre, sicché chiunque lo guarda ride. E an– che molto lo divertono Nobis il superbo, pur tanto di maniera, e Votini il vanesio, assai più icastico, che pare uscito dalle pagine di Teofra– sto, che il De Amicis, scrittore poco colto, non avrà conosciute. A me a a mio nipote paion queste le figure riuscite. Assai vivo ci sembra uno che già non è più macchietta ma carattere, Garrone, il ragazzo più grande degli altri ma molto maggiore dei propri anni per un'espe– rienza precoce, la quale tuttavia non gli ha messo addosso diffidenza, disistima degli uguali, volgarità, malignità, ma lo ha reso dol– ce e mite quanto un vecchio, senza togliergli la freschezza degl'impeti sani, lo sdegno contro la prepotenza e la codardia, il coraggio che non conta i nemici quand'è dovere affrontarli. Del ragazzo modello, quale è rappresentato da De– rossi, non è rimasto in mente a Carlino alcun tratto caratteristico, perché, insomma, non ne ha. Egli è la perfezione, e la perfezione non si ritrae visivamente, perché impersonale. É stato notato di recente che la ritrattistica greca muo– ve dalla riproduzione più o meno caricaturale di gente strana e buffa, gobbi, nani, negri; io credo di aver dimostrato che anche nella lette– ratura è così. Uno non saprebbe dire come Omero s'immaginasse visivamente Achille, Pa– troclo, Ettore; ma ogni lettore dell'Iliade e del– l'Odissea si raffigurerà senza sforzo Tersite, Dolone, Iro; tra gli dei Efesto. Efesto lo scian– cato è più facile a vedersi che non Apollo. Al De Amicis non riesce facile delineare perso– nalità forti, per le quali gli manca il respiro: tra i personaggi adulti del Cuore il più efficace è Coretti padre, che, pur dopo aver combattuto a Custoza e messo sù un negozio di legna, è ri- " . ..Non vorrei scoraggiare il lettore di buo– ne intenzìoni ma di scarse letture, il lettore di cui Pasquali non sospetta quasi l'esi– stenza. Basterebbe il saggio sul Cuore del De Amicis a invogliare questo lettore 'po– polare' ad accostarsi alle Quarte Strava– ganze. Due mondi sono contrapposti in questa mirabile rievocazione, in questa psicologicamente ammirevole stampa del– l'ottocento: il mondo rugiadoso, umido, sentimentale, onesto, umanitario del De Amicis e l'universo dry, asettico, quasi scettico, ferocemente consapevole di un moderno spirito disilluso. Un uomo di oggi rilegge il Cuore insieme con un fanciullo d'oggi; il tutore non frena il pupillo nell'am– mirazione, non ne paralizza gli slanci emo– tivi, non dimentica mai di essere un anzia– no accanto a un ragazzo; e riesce, da que– sto giovinetto, a imparare qualcosa su sé e sul mondo di ieri e di oggi. Che chiedere di più a un maestro, a un educatore?" (Eugenio Montale, "Un filologo stravagan– te", Il corriere della sera, 7 dicembre 1951) masto altrettanto bambino quanto il suo bam– bino. Non è né bambino né macchietta, è se– rio, anzi tragico il direttore, che pur tuttavia è personalità molto semplice, tutta accentrata in quel rimpianto per il figliolo che lo rende più padre per tutti gli alunni della sezione Baretti. E, se lasciamo da parte adulti e ragazzi delle elementari e discendiamo in un mondo ancor più piccino, fino ai bambini che non parlano ancora ma tartagliano e farfugliano, non c'è forse pezzo più disinvolto, più ingenuamente allegro di quello sull'asilo infantile dove ognu– no di quei marmocchi vive in un gesto solo: questo è il parere comune di Carlino e mio. Carlino ha determinato, secondo me, giusta– mente il valore rispettivo delle tre parti. Egli era offeso quanto noi grandi dal sentimentali– smo lacrimoso, ma soltanto dov'esso appare più crasso, più esasperato, più immotivato, nelle pagine attribuite ai parenti (nel senso ita– liapo, comprendendo cioè la sorella), e invece tollerava bene i tanti pianti e pianterelli che bagnano anche il diario scolastico; tollerava FINE SECOLO * SABATO 27 - DOMENICA 28 APRILE anche che un padre, secondando un impulso non ancora espresso del figliolo, lo incorag– giasse a regalare a un compagno povero un suo balocco costoso, una locomotiva che «cammina da sé», vale a dire quando è stata caricata colla chiavetta, un giocattolo di cui il compagno povero si era silenziosamente e tri– stemente invogliato. Io giudico tutto questo falso, e m'immagino bensì che il compagno ric– co in uno slancio di generosità, perchè i bam– bini mancano ancora di senso economico, doni al povero il giocattolo prezioso di suo, senza chieder nulla ai genitori, anzi di nascosto da loro, ma sono certo che il padre rimarrà male e non saprà se rimproverare apertamente o tace– re; anche più certo che il figliolo presto si ram– maricherà dell'atto inconsiderato: «se l'avessi ancora, quella bella locomotiva!». Carlo giudi– cava inveceridicolo e assurdo quel signore ma– scherato che si tira su nel carro carnevalesco una bambina smarrita dalla madre nel bailam– me e, nell'atto di riconsegnarla, si strappa «dalla destra un anello d'oro con un grosso diamante e, infilatolo con un rapido movimen– to in un dito della piccina: "Prendi", le disse, "sarà la tua dote di sposa"». «Che pazzo quel signore!» esclama Carlino dinanzi a quell'atto così immotivato e gratuito e a quelle parole così pompose. Anche se non c'erano ancora gli altoparlanti e la radio, che sogliono ora in tali casi entrare subito in funzione -ragionava Car– lino col suo buon senso-, c'era almeno la que– stura, dove la bambina sarebbe stata subito depositata e dove la mamma sarebbe andata subito a ritirarla. Anche qui io non sapevo dargli torto. Quello è uno dei punti più melo– drammaticamente stupidi del Cuore. A Carlo non dava invece noia quel certo amo- · re per la cerimonia, per l'atto simbolico, per il «gesto», come si è detto più tardi, che da un Iato rivela superstite nell'autore il militare, l'ufficiale di cui pure aveva presto spogliato l'uniforme (si pensi al cambio della guardia al Quirinale), ma dall'altro annuncia a distanza di più di quarant'anni il fascismo, che al De Amicis doveva mostrarsi postumamente così ostile. Questa simbologia, che a noi appare goffa ma che del resto in quei tempi era nell'a– ria, si ritrova anche nel Carducci là dove è più brutto, in certi finali, in quello del Piemonte, confrontato da me altra volta con scene del ballo Excelsior, e, volta in comico, nell'orribile chiusa del Canto dell'amore, ch'era pure inco– minciato così in alto. Si ritrova, solo con appa– renze più raffinate, in D'Annunzio, il quale per questo rispetto rappresenta l'anello di passag– gio dall'età umbertina al fascismo. Ma nel mondo del ragazzo la stretta di mano solenne del direttore o provveditore al bambino e del bambino, per esempio, all'eroico caporale dei pompieri, parimenti il bacio di riconciliazione dopo una lite con il compagno, il bacio di pace dopo un breve broncio del padre, hanno il loro posto legittimo e non appaiono ridicoli. Il bambino normale non è ironico, tanto è vero che soffre terribilmente quando è ironizzato: con ciò non si nega che anche molti adulti non intendono l'ironia e se ne impermaliscono; ma si asserisce solo che questi tali sono rimasti bambini, non nel miglior significato della pa– rola. Mi accorgo ora di essere scivolato senza avve– dermene dai sentimenti del bambino ai miei; perchè, dopo tanti anni di stacco, mi sono sen– tito eccitare dal contatto di Carlo a osservazio– ni di storia della cultura che non potevo fare quando, bambino, leggevo per la prima volta quel libro, ma che non avrebbero potuto fare neppure i miei genitori e i miei maestri, perchè l'intervallo era troppo piccolo, perchè essi vi– vevano ancora nell'età di Cuore e quindi man– cava loro la necessaria distanza. Ma non vo– glio abbandonare mio nipote senza dir chiaro che credo fermamente che Cuore gli abbia fat– to bene, allargandogli gli orizzonti, insegnan– dogli a interessarsi per coetanei e per uomini, a frugare in altri e in sé.
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