Fine secolo - 27-28 aprile 1985

FINE SECOLO* SABATO 27 - DOMENICA 28 APRILE Il ''Cùore''d.i De Amicis "Mi accorgo di essere scivolato senza avvedermene dai sentimenti del bambino ai miei". di Giorgio PASQUALI Pubblichiamo la prima parte de «Il "Cuore" di De Amicis», un articolo raccolto nel 1951 in "Stravaganze quarte e supreme" (Venezia, Neri Pozza). Rammaricandoci di non poter riprodur– re l'intero testo, abbiamo scelto la prima parte quale efficace testimonianza della sensibilità educativa di un maestro che era stato grande per gli adolescenti e i giovani, ma aveva sempre di– chiarato uno sdegnoso rifiuto per la scienza pe– dagogica. Due anni orsono, che ne avevo sessantadue, dopo un intervallo di molti decenni, ho ripreso in mano il Cuore di De Amicis per leggerlo con un ragazzetto di ott'anni e mezzo, cui de) resto non era nuovo. Questo mio nipote di acquisto, pure sveglio, non era (né è) eccezionale né di sviluppo né di cultura. La sua esperienza uma– na e linguistica è quasi ecJusivamente fiorenti– na: rade villeggiature, che l'hanno messo in contatto con coetanei di altre città e regioni, non hanno inciso su di lui. A scuola è bravo in componimento italiano, esprime cioè con orto– grafia impeccabile e sintassi per lo più, tranne certi popolarismi, corretta, pensieri ovvii in or– dine logico accettabile. Mai un soffio di ribel– lione: egli è per ora conformista, come quasi tutti i ragazzi: io temo che tra gli uffici del maestro di scuole medie inferiori sarà da ora in poi principale quello di destare il senso critico, non quanto alle lettere, che sarebbe presto, ma rispetto alle azioni e asserzioni dei grandi, e so già di profes~ori giovani che questo compito adempiono, e ne rendono ragione ampiamente anche in articoli di giornali politici. Letto, fino allora, aveva, oltre ai libri di lettura, ma con passione infinita, soltanto moltissimo Salgàri e moltissimi giornali per bambini, soprattutto di quelli a fumetti, peste della nostra educazione non solo infantile ma in genere popolare. Cu– riosità ampie ma non illimitate. Poco pronto nel calcolo, qualche volta s'imbarazza nella so– luzione di problemi aritmetici,che non è buon segno. I sentimenti erano e sopo quelli normali di un ragazzetto della sua età.- Pér quanto figlio uni– co, e per quanto sia dovuto rimanere a casa quasi un anno per ragioni di salute (ma ora si è rafforzato), per quanto cioè sia stato necessa– riamente viziato e tormentato dai genitori, pure, particolarmente i) babbo, molto giudi– ziosi, non è egocentrico, anzi è facile a ricono– scere spontaneamente di aver torto, se pure è talvolta, per difetto di pratica sociale, un po' brusco con i compagni.· Dunque non trascende il normale per nessun verso: per ora, ché la pu– bertà, seconda nascita dell'uomo, può fame un genio o un imbecille. Mi avvidi subito che, leggendo, non intendeva almeno tre parole per pagina. Non mi sorpresi: esperienze, pure scarse, ·di ispettore ed esami– natore in scuole secondarie mi avevano con– vinto che nessun alunno delle prime medie ca– pisce perfettamente in tutti i particolari ciò che legge a scuola e a casa impara a memoria con ammirazione e amore sinceri; che ognuno bada solo all'insieme, al senso e al sentimento generali. Del resto· gli insegnanti e peggio le in– segnantesse non esigono ordinariamente nulla di più, quasi scolari e maestri di buon accordo seguissero l'esempio di qualche professore uni– versitario di letteratura italiana dell'ultimo fi– gurino, estetico e antistorico, che guarda al– l'arte, ma non sa poi spiegare tutto iJ suo testo parola per parola, e, richiesto d'interpretare, risponde che l'italiano moderno si capisce da sé, perché noi siamo appunto italiani moderni. Il mio nipote si trovava, insomma, dinanzi a Cuore come noi studiosi dinanzi a un'opera critica o filologica scritta in una lingua che co– nosciamo maluccio e senza avere a mano un vocabolario o avendo troppa fretta per consul– tarlo spesso. Quando, immediatamente dopo, lessi con Carlino un altro libro per ragazzi, se– condo me di maggior valore artistico, Scurpid– du, Je difficoltà lessicali aumentarono, perché mio nipote, fiorentino, non conosceva certe espressioni sicilianeggianti che al Capuana ser– vono per creare l'ambiente, e, cittadino, non è pratico delJa vita e del lavoro e particolarmen– te degli attrezzi, contadineschi e pastorali, de– gli agricoltori della campagna catanese. Eppu– re, che a me sembra strano, Carlino non mi ,chiedeva mai cosa un certo termine sigpÙicas– se, ma io qovevo indovinare, e mi riusciva gra– zie a certe esitazione della voce, che egli non intendeva un particolare, e mi affrettavo a spiegarlo. Peggio ancora: Carlino non mi ha mai domandato perché il libro si intitolasse Cuore. Per lui quel nome era senza ragione, una sigla come Fiat o Flit; e lo strano è che io stesso mi sono sempre dimenticato di spiegar– gli quel titolo. Ugualmente ho dovuto dirgli io che per il De Amicis i parenti erano, fatina– mente e francesemente, i genitori: egli c'era passato sopra senza fare attenzione. E non si era neppure maravigliato che uno scolai:o vio– lento fosse rinchiuso nell'ergastolo, cioè in un riformatorio, in una casa di correzione o, come dicono ipocritamente, di patronato, mentre pure quella parola gli era certamente nota nel senso di terribile carcere a vita. La verità è che nel bambino la curiosità lessicale nasce e si svi– luppa molto più tardi che non quella naturali– stica, geografica, anche storica. L'interesse lin– guistico si annunzia tuttavia, secondo me, ab– bastanza presto, ma assume dapprima quella stessa forma nella quale si presenta per lo più nell'antichità greca e romana, è interesse eti– mologico. Il bambino è in certo modo prima linguista che filologo: dei testi gli importa sol– tanto, come si è detto, il significato generale e il sentimento generale. Difetta quindi un vero godimento estetico, che è sempre incorporato con la forma, anche con quella puramente grammaticale. Che il bambino sia, quale criti– co d'arte, contenutista, credo che sia verità pa– cifica. Eppure il passaggio da Salgàri a D~ Amicis, l'accettazione, non piena ma anzi, come vedre– mo subito, clausolata, di De Amicis significava per Carlo un passo lungo verso l'arte. Fino al– lora lo interessavano solo le avventure straor– dinarie, che costituiscono tutto Salgàri; mentre ora, non già che si curasse di come le cose eran dette, che si proponesse il problema della for– ma (anzi ancor oggi non s'immagina neppure che un tale problema possa esistere), ma alme– no s'interessava a persone, a tipi quali ricorro– no nella vita· vera, quali egli stesso aveva in 7 contrati, o almeno. quali poteva figurarsi senza sforzare la fantasia. . . i Ho parlato di accettazione condizionata. Il Ii~ bro di De Amicis confessatamente .si divide in tr~ ·serie alternate, d1stint~ anche per diver~ità La libreria di Stardi in un disegno di A.Ferraguti Nella pagina a fianco: un'illustrazione di E.Nardi per "Dagli Appennini alle Ande". di caratteri tipografici: vicende di una classe terza (secondo la numerazione odierna,. quar– ta) di una scuola elementare (allora pare si di– cesse «sezione») di Torino durante )'anno sco– lastico 1881-'82, narrate da un alunno a guisa di diario, in caratteri ordinari; i racconti detta– ti mensilmente dal maestro, in corpo maggio– re; lettere dei genitori e della sorella maggiore allo storico medesimo ( e insieme autobiogra– fo), Enrico, in corsivo. Ora Carlo ha fin dal primo mese seguito con partecipazione la sto– ria, si è entusiasmato per i racconti, ma ha re– spinto, si può dire a limine, le lettere della fa– miglia, tanto le ha respinte che da un certo punto in poi, nonostante certa resistenza mia, timida e contro coscienza, le ha regolarmente saltate. Già gli sembrava, egli diceva stupida, noi diremmo forse libresca, che significa lo stesso, quella invenzione che genitori e sorella facessero trovare al ragazzo, col quale abitava– no insieme, letterine invece di sbrigare tutto a voce. E poi tutto quel dolciume e dolciastrume e zuccherume! Carlino sa per esperienza che, se manca di rispetto alla mamma, e poco importa se in presenza di estranei («della maestra di tuo fratello») o a quattr' occhi, si busca lì per lì uno schiaffone, al quale seguiranno forse, dopo qualche tempo, parole della mamma stessa, se– rene insieme e tenere, che troveranno la via del suo cuore; ma sa anche che la mamma si sde– gnerà sì ma non si contristerà, e mangerà di buonissimo appetito e dormirà )a notte tran- · quilla come il solito. Sa anche che Je le sue pa– role irriverenti, se eccezionalmente saranno ri– portate al babbo, non «entreranno nel suo cuore come una punta di acciaio», ma gli frut– teranno un'altra sgridata, forse qualche altro ceffone, in certi casi la privazione del settima– nale cinematografo. E Carlino trovò subito stonato che la sorella maggiore, ricevuto uno sgarbo dal fratello, messo di malumore da un rimprovero del padre, gli rinfacci che, quando egli era piccino, essa gli stava per ore e ore ac– canto alla culla invece di divertirsi con le sue compagne, e che, quando era malato, ella scen– deva dal letto ogni notte per sentire se gli bru– ciava la fronte: tutti atti naturali e quasi neces– sari, che perdono di valore quando uno se ne vanti. E la formula scritta del ragazzo, ravve– dutosi d'un tratto: «non sono degno di baciarti le mani», lo fa ridere, lui; a me quel pezzo di eloquenza sentimentale sembra addirittura un'immoralità. Io, che anche di fronte à ragaz– zi non mi sento obbligato a mostrarmi confor– mista, ho confessato presto che quel ragionare a vuoto su sentimenti astratti è un'uggia e nul– la più. Ma so da libri di lettura di quel tempo e dai ricordi di mia moglie (di qualche anno più giovane di me) che, se De Amicis con Cuore ha contribuiito esso stesso alla formazione di un certo clima sentimentale nella scuola grazie al– l'indole sentimentale del'autore che si rivela già tale negli scritti giovanili di lui ancora uffi– ciale sulla vita del reggimento (una vita in ve– rità dura e arida), egli attinge in parte a un cli– ma che già )o attorniava, che a lui preesisteva; e quel mondo si rifletteva nelle romanze del Tosti e persino nei romanzi popolari, nei ro– manzi per le domestiche, di Carolina Invemi– zio; e molto più tardi venne evocato con affet– to nelle Stampe de/l'Ottocento dal mio coeta– neo Aldo Palazzeschi, e manda ancora bagliori nelle pagine migliori di Angioletti, parecchio più giovane di noi. · E gli davo poi francamente ragione quando si riscaldava per i racconti del maestro. Egli si fa– ceva trasportare di più da quelli che presenta– vano casi di eroismo militare, di coraggio, se si può dire, fisico, per quel medesimo complesso di sentimenti per i quali il ragazzo maschio preferisce giocare alla guerra e magàri ai ban– diti; a noi grandi piaccion più altri che ci inse– gnano sopportazione più che umana e sacrifi– cio di sé, non sempre usque ad effusionem san– guinis. Ma -grande e piccino eravamo ·d'accor– do nell'ammirare l'ultimo e più esteso dei rac– conti Dagli Appennini alle Ande. E qui per la

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